Scrivere di emotività non è facile

Il  Teatro non è soltanto recitazione, è qualcosa che fa emozionare. Per chi ha letto le tre interviste,  all’attrice Francesca Stajano alla fotografa di scena  Alessi Fanutti  ed al regista Raffaello Sasson,  dove il tema erano le  emozioni,  avrà intuito che ciò che emerge sono la capacità di “sentire” l’emozione e di “esprimerla”.  Esprimerla con la recitazione, che Francesca Stajano fa con i movimenti del corpo, con l’espressione del viso e con la voce, modulandola a seconda delle situazioni. Sentirla come riesce a farlo  Alessia Fanutti che  la estrapola con la fotografia e ferma in uno scatto l’alone che traspare da un personaggio che in quel momento esprime una sensazione, che sia di gioia o di dolore.  Da un palco in apparenza vuoto e silenzioso, ma pieno di tutti i personaggi che fino a quel momento hanno calpestato quelle assi, una foto, può rendere visibile l’emozione  a chi sa guardare. E nel  caso del  Raffaello Sasson,  l’esperienza dell’emozione esprime con i personaggi che animano il palcoscenico, di fronte ad un pubblico severo che non ammette incertezze ma solo conferme che l’emozioni, possono e devono entrare a pieno diritto nell’animo umano. Dare vita  all’emozione non è facile.

Scrittori, registi e artisti tentano  con il loro lavori di stimolare l’animo umano.  Non sempre ci riescono ma quando ciò avviene,  allora esci dal tuo solito stato difensivo ed entri in un mondo totalmente diverso, fatto di sensazioni che ti trascinano in vortici a cui è impossibile sfuggire, a volte è così forte da farti star male; ne sa qualcosa chi ha avuto a che fare con la sindrome di Stendhal. Apro una piccola parentesi per chi non sappia cosa sia la sindrome di Stendhal detta anche sindrome di Firenze (città in cui si è spesso manifestata), è il nome di una affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati. La malattia, piuttosto rara, colpisce principalmente persone molto sensibili e fa parte dei cosiddetti “malanni del viaggiatore”. E qui entra in ballo la sensibilità, non solo deve essere innata ma deve essere anche educata. Una domanda che mi sono posto, è stata come si fa ad educarla, una delle tante possibili risposte potrebbe essere quella di osservare. Anche se non basta, ma farlo, può giocare un ruolo determinate per stimolarla, la sensibilità intendo. Come stavo dicendo non basta osservare ma compenetrare in ciò che si vede. Nel mio caso, mi riferisco al teatro, dove si tutto è finzione ma è anche un luogo vero, perché veri sono gli attori il regista con le loro problematiche, che mettono da parte una volta entrati in scena. Da qui in poi tutto sta nella bravura e nella sensibilità del’attore, che farà vivere il  personaggio, dandogli la possibilità di emozionare.

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – rubrica di Teatro – articolo del 28 maggio 2013]

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