Salve amici sono andato a vedere Gravity, del regista Alfonso Cuarón, con Sandra Bullock e George Clooney. Ecco cosa ne penso.
Due astronauti in missione con lo Shuttle, Ryan Stone (Sandra Bullock) e Matt Kowalsky (George Clooney), stanno lavorando ad alcune riparazioni di una stazione orbitante quando una pioggia di detriti li investe, rendendo il loro velivolo inutilizzabile e uccidendo l’equipaggio a bordo. A questo punto, l’unica speranza di salvezza per i due consiste nel tentare di raggiungere un’altra stazione orbitante e riuscire a rientrare sulla Terra.
Questa è la storia che Alfonso Cuaròn, talentuoso regista messicano in grado di spaziare da Y tu mamá también aHarry Potter e il prigioniero di Azkaban, ci racconta nel suo ultimo film, frutto di 5 anni di lavorazione. Una storia tipicamente hollywoodiana, e la presenza di due star come Sandra Bullock e George Clooney fa di Gravity un film blockbuster. Ma intorno alla vicenda principale, di per sé banale e, per certi versi, già vista, Cuaròn costruisce un impianto visivo e tecnico decisamente innovativo: la macchina da presa riesce a rendere perfettamente l’assenza di gravità ed entra fin dentro i personaggi, regalando allo spettatore il loro punto di osservazione verso lo spazio infinito. La tecnologia 3D, mai prima d’ora utilizzata con tanta sapienza tecnica, diventa un’esperienza visiva che, per un’ora e mezza, ci trasporta nel vuoto o all’interno dei complessi meccanismi che governano le macchine spaziali.
Una trama semplice su cui si innestano le più innovative tecniche del cinema moderno, quindi. Ma Gravity non è solo questo, ma molto di più. C’è un secondo livello di lettura nel film, riservato agli spettatori più sofisticati. Oltre alla scontata lotta dell’uomo per conquistare la propria salvezza, Cuaròn ha voluto raccontare una storia umana intima, che solo nella tragica esperienza nello spazio trova la sua soluzione: l’astronauta Stone, infatti, non riesce più a dare un senso alla propria esistenza dopo la morte della figlioletta di quattro anni. Ed ecco che il suo vagare nello spazio si trasforma in un percorso di concepimento e rinascita, momenti simboleggiati nel film da immagini forti e toccanti, con richiami alla migliore tradizione del film fantascientifico (in primis il 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick). Il film si sviluppa attraverso una lunga gestazione, che culmina con l’uscita dall’utero e il primo respiro a pieni polmoni.
Gravity, per concludere, è un ottimo film commerciale ad alto budget che contiene in sé la forza narrativa del grande cinema d’autore. Alfonso Cuarón si conferma regista di talento, in grado di realizzare una fusione sincretica tra diversi linguaggi narrativi.
[Stedano Milani per DETTI E FUMETTI – Sezione Cinema – articolo del 21 ottobre 2013]
