IMITARE LE API – La nuova copertina di DYLAN DOG

Anche noi di Detti e Fumetti vogliamo partecipare alla polemica   sulla ultima copertina di Dylan Dog [n.338] disegnata da Angelo Stano per la testata bonelliana curata da Roberto Recchioni.

 Vogliamo partecipare per dare il nostro piccolo contributo alla causa spezzando una lancia a favore di Stano e Recchioni, noi che della citazione abbiamo fatto la nostra mission [a fine articolo ve la raccontiamo] da ormai quasi 5 anni.

Per farvi comprendere che fare citazioni è bene e che si inserisce in un discorso più alto, consono alla Cultura dei nostri due amici, ci è venuto in aiuto Amedeo Quondam (Professore Ordinario di Letteratura italiana presso l’Università della Sapienza di Roma) con un suo interessante saggio sull’argomento.

La copertina n.338 di Dylan Dog è definibile come una sfida culturale che da smalto all’idea rivoluzionaria portata avanti dal nuovo curatore della testata Bonelli.

 Esagerato mi direte.. ma è proprio così e questa idea è alla base di tutto quello che finora abbiamo pubblicato su questo blog; vi vedo scettici e quindi, per convincervi, mi gioco il Jolly riportandovi qualche passo di Quondam:

 “[…] Non c’è dubbio: l’imitazione è per noi — oggi — una pratica sconveniente, anche brutta (in senso morale), irrimediabilmente segnata in modo tutto negativo. È un radicale e radicato disvalore. Questa istintiva ripulsa dell’imitazione dimostra quanto la nostra cultura contemporanea sia ancora direttamente erede delle grandi parole d’ordine della “rivoluzione” romantica e idealistica, e quanto sia ancora profondamente segnata dalle sue componenti ideologiche liberali e libertarie. Queste remote radici formano — in modo ormai del tutto naturale e scontato — il cuore profondo del nostro sistema comunicativo, nelle sue stesse pratiche quotidiane: per tutto ciò

che attiene alla “creazione” nella comunicazione estetica, infatti, il dato primario ed elementare consiste nell’assioma secondo cui ogni soggetto “creativo” si definisce, essenzialmente, a partire dalla propria irripetibile autonomia e libertà, cioè dal suo diritto irrinunciabile, e non condivisibile, all’identità e alla proprietà

di ciò che produce, in senso anche strettamente giuridico. E infatti il “diritto d’autore” — in senso proprio, in quanto copyright: tutela della “proprietà” estetica e divieto di copia delle opere d’ingegno — è sancito formalmente solo a partire dal primo Ottocento, dalla promulgazione del codice napoleonico.

[…]

Per questo, con l’irrompere dell’età delle “rivoluzioni”, il tempo dell’esperienza comunicativa ha assunto ritmi frenetici, dopo secoli di placido scorrere di un tempo senza tempo: la discontinuità originaria ha prodotto altre fratture, senza sosta, a cascata, in accelerazione progressiva, e sempre più audaci e radicali, oltre ogni limite, oltre la nozione stessa di limite.

[…] Questo elementare paradigma della nostra cultura contemporanea rende estremamente difficile e precaria la comprensione, prima ancora che la descrizione, di un sistema culturale radicalmente diverso: quello del Classicismo di Antico regime, un sistema che ha sempre considerato l’imitazione come il suo stesso principio

produttivo, anzi come l’equivalente generale della sua economia comunicativa: imitazione della Natura e dei Modelli (soprattutto quelli eseguiti dagli Antichi) che virtuosamente l’hanno imitata; un sistema tutto fondato sul principio di autorità e di tradizione, e quindi sulla funzione positiva del loro riuso; un sistema che non si scandalizza, insomma, di costituirsi sul principio di “non originalità” come autentico valore forte e — ripeto — positivamente produttivo: anche nelle sue procedure più radicali di copia e di furto, di quanto a noi oggi sembra configurarsi come reato di “plagio” (purché realizzati, copia furto plagio, con destrezza: per mezzo di un’arte che nasconda l’arte); un sistema, infine, codificato sul primato delle regole, persuaso, anzi, che solo sulla certezza esemplare e stabilmente perenne della norma fosse possibile produrre la forma della poesia e dell’arte.

[…]

…l’imitazione come principio positivo e produttivo, la tradizione come insieme di valori da tramandare, la norma come forma (disciplinate e governate dalle antiche arti della retorica e della poetica), si costruisce e caratterizza compiutamente tutta la lunga durata della comunicazione estetica del Classicismo.

[…]

La riscoperta degli Antichi, la loro “rinascita”, non è qualcosa che riguardi soltanto la straordinaria e gloriosa età delle scoperte, quando con passione ed emozione in polverose biblioteche tornavano a vivere (cioè di nuovo a comunicare) libri da troppo tempo senza più lettori. La riscoperta degli Antichi è il cuore profondo e produttivo dell’economia stessa della comunicazione classicistica, … la riscoperta delle loro reliquie, … i loro modelli per il pronto riuso da parte della nuova cultura umanistica, sono una riscoperta e costruzione, in termini di progetto e di desiderio. Tutto è già stato detto dagli Antichi, i loro sono modelli funzionali al loro riuso, all’imitazione, alla riscrittura, al delle loro figure retoriche, dei loro temi, delle loro immagini.

[…]

La tradizione degli Antichi si costituisce in un formidabile, per estensione ed efficacia, patrimonio da tramandare tramite il suo riuso integrato, tra citazione e prelievo, riscrittura e parodia, imitazione e plagio, sempre sotto il segno di un’intertestualità primaria, funzionalmente segmentata in una gamma articolata e ricchissima di “luoghi comuni” (loci communes), cioè di topoi memorabili.

Occorre comprendere che la comunicazione classicistica si prefigge di imitare, replicare, citare, copiare, plagiare. E’ ricca di regole e vincoli e si attribuisce consapevolmente questo destino di “servitù”, essendone orgogliosa.

 

[…]

Imitare le api («apes debemus imitari …»[Seneca] deve essere il precetto morale da applicare a tutte le forme della comunicazione, cioè di raccogliere i “fiori” di diverse esperienze di lettura (di testi altrui, è ovvio: naturalmente “belli”) per ricomporli in un prodotto nuovo, di grande qualità e soprattutto nostro, in quanto “miele”. Un furto che richiede l’intervento dell’arte, perché il risultato sia positivo e perché non sia riconoscibile il processo (e la fatica) del raccogliere e rielaborare.

 

Il topos delle api implica due corollari: il primo riguarda il rapporto diretto con la natura (imitare è possibile solo seguendo le indicazioni che la natura fornisce); il secondo riguarda i “fıori” da utilizzare per il prelievo. Questo secondo corollario pone, dunque, il problema del canone degli autori: neppure gli Antichi

hanno tutti lo stesso valore di rappresentatività per quanto riguarda norma e forma, cioè non hanno lo stesso grado di valore linguistico e letterario, e debbono, quindi, essere ordinati e disposti in una gerarchia di eccellenza, funzionalmente orientata a regolare e guidare il loro riuso tramite l’imitazione.

[…]

Arte e poesia debbono comunque servire, proporsi e atteggiarsi come uno strumento per conseguire un fine etico o di conoscenza. Una conoscenza che deve “persuadere” cioè è indispensabile per trasmettere la conoscenza coinvolgere le passioni, impiegare dispositivi piacevoli (delectare)..[…]”.

 

 

Per concludere, come promesso ad inizio articolo vi raccontiamo la nostra mission: DETTI E FUMETTI è un blog (con una parentesi anche da free comic press) che si è prefisso di fare da collegamento tra il mondo del fumetto, gli addetti ai lavori e il lettore comune allo scopo di attirare nel suo piccolo un sempre più folto pubblico verso il fumetto, di dare dignità e visibilità alla nona arte. Per farlo abbiamo pensato di alternare il fumetto e gli articoli ad esso dedicati con rubriche di altro genere: teatro, cinema, musica,ecc.

 

DETTI E FUMETTI è nata anche per promuovere un fumetto dedicato alla citazione, agli aforismi degli Antichi e grandi personaggio di cui abbiamo parlato sopra,perché crediamo che un fumetto che promuova la Cultura è una idea che può essere vincente o come direbbe il suo protagonista Osvy: “la cultura ti salva svelandoti il mondo”.

 

Osvy è un porcospino in cui si trasforma un giorno uomo per recitare aforismi; è stato scelto il porcospino perché fu questo l’animale che per primo vene rappresentato in un EX-LIBRIS, l’etichetta, solitamente ornata di figure e motti, che si applica su un libro per indicarne il proprietario. Recitare aforismi, citare e imitare perché l’aforisma è un aiuto che l’uomo offre ad un altro uomo, una guida per evitare l’errore o porvi rimedio, il conforto che l’esperienza può dare a chi deve ancora affrontarla. Osvy è raccontato attraverso il medium letterario del fumetto perché il fumetto sintetizza il mondo reale così come l’aforisma sintetizza un pensiero; se ne deduce che il fumetto, ed in particolare la strip breve, è un aforisma grafico.

Non potevo non farlo. Per cui eccovi la Cover Variant di Pippo Panda, tributo a J.Romita e a tutti gli altri illustri fumettisti.

 

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI- sezione Fumetto – Articolo del 29 agosto 2014]

2 pensieri riguardo “IMITARE LE API – La nuova copertina di DYLAN DOG”

  1. Posso anche d’accordo sulla “teoria” – che qui voi promuovete a poetica – ma bisognerebbe anche ragionare, come fa Genette, sui rapporti fra opera che cita e opera citata.
    La citazione assume una sua qualità espressiva solo se il lettore è in grado di coglierla, e in molti dei casi che” citate” basate sulle variazioni di una copertina di spider man funziona così. Ma prendiamo ratman: lì la citazione è funzionale alla poetica di Ortolani : parodiare ed omaggiare un genere.
    Ora è evidente che in Dyd la cosa dovrà funzionare in maniera diversa. Non dico che non possa funzionare… Dico che per valutarlo dovremo aspettare di leggere la storia dietro la copertina. Se la citazione sarà il tassello di un discorso più ampio, sicuramente sarà un elemento funzionale al racconto. Ma se, viceversa, la citazione sostituisce il racconto, se diventa il solo livello di lettura possibile, diventa un “trucco” gratuito e stucchevole. Che – paradossalmente – non arricchisce l’opera che cita, ma la rende solo una banale imitazione parassita di un originale.

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