Cari lettori di Detti e Fumetti, oggi parleremo con Pino Quartullo di scuole di recitazione oltre che di teatro e cinema.

W. Allora Pino facciamo un breve riassunto della tua vita a beneficio dei nostri lettori. Sei nato a Civitavecchia il 12 luglio 1957. Ti sei laureato in Architettura e diplomato in regia all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico. Hai conseguito un diploma in recitazione presso il Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Gigi Proietti. Nel 1987 vieni nominato all’Oscar con il cortometraggio Exit nella categoria live action, insieme a Stefano Reali. Dal 2000 al 2013 sei stato direttore artistico del Teatro Traiano di Civitavecchia. Hai insegnato recitazione all’ ACT Multimedia, hai fatto molti laboratori molti stage di recitazione. Hai fondato la scuola delle Arti a Civitavecchia.
W. Perché la recitazione?
P. Per me è stata una cosa istintiva assolutamente naturale. Già quando frequentavo l’asilo salivo, sul palcoscenico dalle suore sentendomi magneticamente attratto dalla recitazione.
W. aver conseguito una laurea in architettura ti ha aiutato nella tua carriera di attore?
P. La laurea in architettura è stata molto importante per me, anche perché il mio piano di studi era già finalizzato allo spettacolo. Ho inserito gli esami di scenografia, storia del teatro. La mia tesi di laurea riguardava il progetto di un teatro circolare, con il pubblico al centro e il palcoscenico intorno al pubblico. Aver studiato architettura, mi ha anche insegnato dei codici di progettazione che ho poi ritrovato sia quando scrivo delle sceneggiature o quando devo pensare ad uno spettacolo. Immaginare una scenografia avere delle idee, fare una ricerca storica o di immagini. Per cui l’ architettura è stata fondamentale.
W. Quali responsabilità ha il regista nei confronti degli spettatori?
P. La prima responsabilità che ha il regista nei confronti degli spettatori, è di non annoiarli, di coinvolgerli, di farli pensare, divertendoli o commovendoli ma ancora meglio divertendoli e commovendoli nello stesso momento. Perché si può.
W. Hai sperimentato sia il teatro che il cinema, con quali dei due esprimi più te stesso?
P. Credo che sia con il teatro che con il cinema io sia riuscito ad esprimermi. Quello che cambia naturalmente è il linguaggio; il fatto che il teatro poi purtroppo è effimero non rimane più nulla, per lo meno di quella emozione, di quella esperienza tra esseri umani che si vive nei teatri. Certo anche il teatro può essere ripreso, può essere diretto per l’audiovisivo però, non è mai come viverlo in quel momento. Per quanto riguarda la mia possibilità di espressione con i due linguaggi credo che se un regista o un autore ha qualcosa da dire può farlo in entrambi i campi.
W. nei film: “Quando eravamo repressi” (1992) e “Le donne non vogliono più” (1993) dove hai curato la regia e partecipato come attore oltre aver scritto i soggetti e le sceneggiature, dipingi i protagonisti come dei repressi sessuali nel primo e nel secondo racconti la ricerca da parte di un uomo, di una paternità che sconfina nell’ossessione. Nel 2021 riguardo queste tematiche cosa è cambiato e cosa no?
P. In “Quando eravamo repressi” Raccontavamo della noia tra i giovani in ambito sessuale. Perché potendo farlo già da ragazzi e bruciando le tappe, tutto è già scontato, si è più viziati dalle possibilità che si hanno e quindi rispetto ad allora trent’anni fa è cambiato che le tappe si bruciano ancora più velocemente, c’è più apertura nei confronti degli scambi e il sesso è ancora più libero; pur con tutte le cautele che i problemi di ordine sanitario comportano però, questo bruciare le tappe, questo farlo subito farlo il prima possibile chiaramente ha tolto un po’ di fascino, un po’ di attesa, un po’ di mistero e quindi automaticamente un film sul calo del desiderio ancora oggi sarebbe attualissimo. Per quanto riguarda ”Le donne non voglio più” Anche qui penso che la storia di un uomo che voglia un figlio e non riesca ha trovare una donna sia molto contemporanea. Oggi come venticinque anni fa quando ho fatto il film, ci sono molte possibilità alternative come ad esempio affittare uteri. Una potrebbe venderti l’ovulo, un’altra potrebbe portare avanti la gravidanza. Conosco persone che lo hanno fatto, non soltanto coppie. E quindi quel mondo lì che ho esplorato nel novantatré, devo dire che ancora esiste ed ancora oggi è possibile; all’epoca era un po’ una novità oggi è un po’ più acquisito.
W. hai avuto la possibilità di conoscere e di lavorare sia con Gigi Proietti che con Monica Vitti ce ne vuoi parlare?
P. Gigi Proietti ci ha insegnato che il teatro è un lavoro molto serio, lavorare come attore è un lavoro molto serio ma anche molto divertente e va fatto contemporaneamente con grande serietà senza perdere mai il divertimento. E poi è la fantasia dell’attore che deve avere e che può stimolare quella del pubblico. Con una cassa e degli oggetti Gigi ha fatto vedere al mondo come l’attore possa creare quello che in scena non c’è. Non a caso poi Gigi Proietti ha fondato il Globe Theatre a Roma; ispirandosi a Shakespeare che è stato un grandissimo maestro di come con poco in scena si possa fare molto. Facendo appunto lavorare la fantasia degli spettatori. E poi Gigi non è stato solo il maestro, è stato anche un amico, il mio testimone di nozze, il mio produttore, il mio regista; ma soprattutto l’amico, l’amico più divertente che forse io abbia mai avuto. Monica Vitti l’ho avuta come insegnante in accademia. Anche Monica è stata una grande maestra, anche lei una grande amica; infatti dopo l’accademia, volle che io mi occupassi di un gruppo di ragazzi dell’accademia che lei aveva conosciuto quando ha insegnato, per una trasmissione televisiva che si intitolava “Passione Mia”, dove io e alcuni miei compagni di classe facevamo parte della trasmissione, interpretando delle Sit-Com. Abbiamo cantato io e lei in duetto la sigla di “passione Mia”. E poi Monica e anche Roberto Russo che è il suo compagno e regista della trasmissione, hanno voluto dare più spazio a dei giovani registi tra cui me e nell’ultima puntata, hanno presentato in un cinema dei cortometraggi che abbiamo girato. Io grazie a lei, ho girato il mio primo cortometraggio che poi ha conseguito molti premi e anche una nomination all’Oscar. Il grande insegnamento di Monica è stato quello di dirci che bisogna avere molta tecnica, bisogna essere volendo molto puliti tecnicamente; ma poi bisogna sporcare, poi bisogna lavorare sui propri difetti, perché altrimenti l’attore è solo corretto e rischia di essere senza personalità, un involucro neutro e quindi lei ha fatto l’esempio della sua voce un po’ rauca che all’inizio della sua carriera sembrava poter essere un ostacolo ma che invece è stato il suo punto di forza, la sua caratteristica. Quindi Lavorare sulle proprie peculiarità, sui propri difetti e sulla propria personalità in modo a distinguersi rispetto agli altri
W. Tu e il co-regista Stefano Reali nel 1987 avete vinto diversi premi con il cortometraggio Exit nella categoria live action; cosa ti ha lasciato?
P. Exit è stato uno dei momenti “sogno” della mia vita. Nel senso: tu giri un cortometraggio e poi vinci dei premi, poi vai a Chicago in un festival, poi lo vai a proporre a Los Angeles in un cinema; perché per partecipare agli Oscar bisognava aver vinto un concorso internazionale e noi avevamo vinto la Concia De Oro. Poi bisognava che il film fosse proiettato almeno tre giorni in un cinema di Los Angeles. Noi partimmo con la nostra pizza sotto il braccio alla volta di Los Angeles e lì trovammo un esercente che era pazzo dei vini italiani, delle monete italiane, oltre che del cinema italiano e quindi ci concesse di poterlo proiettare. Dopo alcuni mesi leggemmo un articolo sul Corriere della Sera che parlava del nostro cortometraggio; era ancora proiettato, dopo molti mesi nello stesso locale perché era l’attrattiva di quel cinema e che addirittura Spielberg l’aveva voluto in prestito per mostrarlo ai suoi allievi. E’ stata la prova che a volte i sogni si realizzano; e anche se per un pelo non abbiamo vinto, partecipare alla notte degli Oscar è stato fantastico. Questa esperienza è stata un incentivo a sperare che i sogni si realizzano, non è sempre così facile ma altre volte mi è successo che piccole cose diventassero molto grandi. Ed Exit è stato il detonatore di questa possibilità.

W. Insegnare recitazione è una grande responsabilità, come ti poni davanti ai tuoi studenti?
P. Ho insegnato in diverse scuole. Grazie al fatto di aver frequentato il laboratorio di Gigi Proietti e l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica ma anche la scuola di Giovanni Battista Diotiaiuti sono un po’ esperto in scuole di recitazione; ed è proprio questo che ho insegnato prima di tutto: studiare, ricercare, stare sempre attenti a tutto quello che il mondo dello spettacolo ci offre, e saper trasformare quello che la vita ti da in qualcosa che interessi anche il pubblico. Qualcosa che il pubblico magari ha dentro e che scopre con la poesia, con i film, con gli spettacoli, riconoscendosi in questi. Una cosa che mi hanno insegnato sia Aldo Trionfo [1921-1989 regista teatrale e attore teatrale italiano N.D.E]. che Gigi Proietti, oltre ad imparare naturalmente questa nostra arte, è importante creare dei gruppi, cercando di realizzare dei progetti. Con quelle persone con cui si studia recitazione, si stabilisce un rapporto particolare di fratellanza, come se facendo recitazione, uno ricominciasse a vivere in un altro modo; rimpari a parlare, rimpari a camminare scopri te stesso. Come se gli insegnanti di recitazione fossero dei nuovi genitori. E quindi tra gli allievi si stabilisce un rapporto fraterno che poi continua, ed è ineguagliabile con quello che si può stabilire con altri colleghi nel corso degli anni. Quindi è importante scegliersi i colleghi giusti, per portare avanti imprese, produzioni, cortometraggi, film, spettacoli
W. Il tuo sogno nel cassetto?
P. Negli anni spesso tanti progetti in cui uno crede, spesso verifica che non colgono l’entusiasmo dei produttori, delle istituzioni e quindi pur credendoci molto vengono accantonati. Ne ho tantissimi di progetti nel cassetto, uno a cui tengo di più è un soggetto trattamento scritto con Sergio Leone e con Luca D’Ascanio negli anni ottanta. Sergio Leone venne vedere un mio spettacolo e mi propose di fare un film che lui avrebbe dovuto produrre e quindi andai a casa sua parecchie volte e abbiamo scritto insieme questa storia di una mummia a Roma. Una specie di Horror Commedia ambientata appunto a Roma. E questa sarebbe una cosa bella da riprendere anche per questa “ghiottoneria” per cinefili che è quella di aver scritto una cosa con Sergio Leone
W.Bene caro Pino, ti ringrazio anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti per questa piacevole lezione sul teatro.
[Dario Santarsiero per Detti e Fumetti – sezione CInema – Articolo del 26-04-2021]


