Cari amici di Detti e Fumetti oggi intervistiamo l’attore Roberto Zibetti.

Allora Roberto, sei nato a Summit, 11 marzo 1971 nel New Jersey, da genitori italiani, sei cresciuto a Torino. Nel 1990 debutti in teatro con [Gli ultimi giorni dell’umanità], regia di Luca Ronconi; in seguito lavori anche per il cinema e la televisione. Oltre a lavorare come attore, sei anche regista teatrale. Dopo aver debuttato sul grande schermo, sotto la regia di Francesco Calogero, con il film [Nessuno 1992], lavori con altri registi importanti come: Klaus Maria Brandauer, Bernardo Bertolucci e Giacomo Battiato; con quest’ultimo reciti in [Cronaca di un amore violato 1996], in cui hai il tuo primo ruolo da protagonista.
Tra il 1997 e il 2001 sei tra gli interpreti principali dei film [Il carniere, Radio freccia], regia di Luciano Ligabue, [A casa di Irma], [Non ho sonno], regia di Dario Argento; inoltre partecipi al film [I cento passi 2000], diretto da Marco Tullio Giordana. Nel 1998 debutti in televisione nella miniserie tv [Trenta righe per un delitto], regia di Lodovico Gasparini. Successivamente lavori in altre fiction tv, tra cui: [Distretto di polizia 2 2001], [Incantesimo 6 2003], la miniserie [Attacco allo Stato 2006], regia di Michele Soavi, la serie di Rai 3, [La squadra 8 2007] e [Il commissario De Luca 2008], regia di Antonio Frazzi.
Continui con il cinema con [Pasolini 2014], regia di Abel Ferrara [Shades of Truth 2015], regia di Liana Marabini – Condor Pictures [Ho ucciso Napoleone 2015], regia di Giorgia Farina AFMV – [Addio fottuti musi verdi 2017], regia di Francesco Ebbasta [Cobra non è 2020], regia di Mauro Russo
W. Quando hai capito che volevi essere un attore?

Ero molto giovane, mi appassionai al teatro durante gli anni del liceo. Mi piaceva imparare a memoria testi e poesie. Leggevo, appassionandomi molto, le biografie degli attori del passato, la Duse, Jouvet, Copeau, Stanislavskij. Facevo una scuola di recitazione il pomeriggio e tutti gli stages che mi capitavano a tiro, in Italia e all’estero. Successe poi tutto molto velocemente. Prima Ronconi, poi il Teatro dell’Elfo dove feci il mio primo protagonista nel Risveglio di Primavera. Con Il Campiello di Strehler al Piccolo, mi trovai a recitare addirittura nella storica sala dell’Odeon a Parigi. Ricordo l’effetto che mi fecero quei camerini che sembravano delle suites d’albergo, coi divani di velluto rosso su cui riposarsi. Dai 19 anni ero praticamente sempre in tournée d’inverno e sul set d’estate. A 26 anni girai Io Ballo da Sola con Bertolucci e un cast internazionale. Furono anni intensissimi e mi fu evidente che quella sarebbe stata la mia strada.
W. in Cronaca di un amore violato 1996, hai il tuo primo ruolo da protagonista cosa hai provato?

Avevo 23 anni, era il 1994; non fu facile trovare il giusto distacco da un personaggio così complesso e da una storia molto dolorosa. Giacomo Battiato seppe guidarmi con grande delicatezza e attenzione ed io gli fui molto riconoscente. Col tempo, grazie all’esperienza e alla tecnica, si impara che anche le più nascoste e profonde contraddizioni dell’animo umano possono e devono essere raccontate da un attore in modo molto intenso ma restando consapevoli che si tratta di un gioco, seppur con contenuti a volte drammaticamente seri. E’ ad esempio il caso del personaggio di Massimo Giuseppe Bossetti che interpreto nel film Yara di Marco Tullio Giordana, che uscirà in autunno su Netflix.
W. Passare dal teatro alla televisione cosa ha comportato?

In realtà per quanto mi riguarda il gesto tecnico di recitare non è diverso, che si tratti di televisione, di cinema o di teatro. Semmai è una questione di dimensione. In televisione le accortezze da tenere presenti sono semplicemente diverse e riguardano direi soprattutto la capacità di mantenere concentrazione e divertimento pur tra mille variabili. La macchina da presa è uno spettatore esigente ed implacabile, coglie anche le minime sfumature. Spesso i ritmi televisivi sono molto veloci e raramente si fanno delle vere prove: bisogna dunque arrivare preparatissimi per “giocare” al meglio con i colleghi e il regista fin dal primo take. Come quella del palco, a me piace molto l’atmosfera del set ed ho grande ammirazione per il lavoro di tutte le maestranze, dunque il passaggio di cui mi chiedi mi è sempre risultato molto naturale, ogni nuovo lavoro mi sembra un’occasione di crescita.
W. Roberto Zibetti regista, ce ne vuoi parlare?

Nel 1996 ho fondato una compagnia teatrale con altri colleghi, si chiamava ‘O Zoo No, con cui ho prodotto, diretto o co-diretto numerosi spettacoli proprio con l’obiettivo di imparare la complessa arte della regia teatrale, partendo dagli assunti della ricerca novecentesca, che riguardano di base un approccio collettivo alla creatività. Non è facile mettere insieme le grandi individualità che contraddistinguono il mondo artistico, ma quando ci si riesce i risultati sono a mio avviso strepitosi. Ho diretto un cortometraggio Green (Acerbo), girato in 16mm, mischiando membri della mia famiglia e attori professionisti: dirigere un set è un’esperienza magica ed esaltante, anche se spesso faticosissima. Più recentemente ho messo in scena dei lavori di poesia da me interpretati: La Gerusalemme Liberata del Tasso in versione pop-rock ( Gerusalemme Unplugged) con la musica dal vivo del chitarrista Giorgio Mirto accompagnato da Celesete e Placido Gugliandolo dei Moderni; lo scorso maggio al Cafemuller di Torino “Una luce nella selva oscura”, il primo canto dell’Inferno di Dante ambientato in un affascinantissimo paesaggio sonoro, opera di Raffaele Toninelli. Se vi interessa, quest’ultimo lo trovate on demand sulla piattaforma niceplatform.eu, corredato da un’intervista sul mio percorso di attore.
W. Il teatro che ruolo ha nella società?
Il teatro per la società ha il ruolo di uno specchio. E’ lo stesso anche per il cinema e per tutte le nuove tecnologie di rappresentazione, che vanno moltiplicandosi esponenzialmente per numero e tipologia. Anche i social network sono uno specchio, anche se certo molto caleidoscopico e un po’ folle. Il teatro, essendo uno spazio concreto, a cui si può accedere fisicamente, con dei corpi vivi da guardare e percepire, rende ancora più esplicito il suo essere una terra di frontiera, un luogo ‘altro’ dove guardare a noi stessi e ai nostri comportamenti. Il buio e il silenzio che regnano su un palco prima dell’inizio di una rappresentazione ci riportano ad una certa ritualità che, se accortamente corredata di bellezza e poesia, può essere di grande aiuto a farci sentire vivi in mezzo ai nostri simili in quest’epoca sempre più frenetica, individualistica e virtuale.
W. Di fronte ad un gruppo di giovani attrici e attori cosa consiglieresti?
Mettetevi insieme e sperimentate il più possibile. Se da un lato è importante essere consapevoli della propria originalità e del proprio talento, alla fine è nel confronto con l’altro da sé che questa originalità trova il terreno più fertile per crescere e brillare. Lavorate sodo al vostro percorso individuale ma mantenete curiosità e affetto per ciò che sta fuori da voi. Le nuove piattaforme televisive offrono infinite e preziose possibilità di lavoro e di carriera, che è giusto ricercare, ma l’arte della recitazione richiede tempo e volontà di approfondire. Fate una buona scuola e mantenetevi umili e desiderosi di apprendere, mettendovi in gioco senza paura appena ne avete occasione.
W. Il tuo sogno nel cassetto?
Interpretare un musicista classico in un film o una serie.
W. Bene caro Roberto, grazie anche a nome die lettori di Detti e Fumetti, per questa interessante chiacchierata
[DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI – SEZIONE CINEMA – ARTICOLO DEL 7 SETTEMBRE 2021]