Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti oggi parleremo con lo sceneggiatore e regista Alessandro Pondi.

Allora Alessandro, nasci a Ravenna il 20 gennaio 1972. Esordisci nel 1997 con il romanzo Gli angeli non mangiano hamburger. Il libro viene letto da Matilde Bernabei della Lux Vide che ti propone di entrare nella sua squadra di sceneggiatori; inizia così a scrivere per la televisione e il cinema vicino a Luciano Vincenzoni e Tonino Guerra. Dal 99’ scrivi le sceneggiature di: “Questa casa non è un albergo”, “Compagni di scuola”, “Grandi domani”, “Don Matteo”, “Il bambino della domenica”, “L’uomo che cavalcava nel buio”, “Il signore della truffa”, “K2 – La montagna degli italiani”, “Trilussa – Storia d’amore e di poesia”, “L’oro di Scampia”, “I fantasmi di Portopalo” e molti altri. Hai ideato la soap opera “Cuori rubati” la serie televisiva “Il commissario Manara”. Per il cinema firmi pellicole d’autore come “K. Il bandito” di Martin Donovan, “Litium “Cospiracy” di Davide Marengo, che commedie sentimentali come “Poli Opposti”, “Copperman” e “Divorzio a Las Vegas”. Scrivi il noir di Marco Bocci “La caccia”, la horror comedy “Il mostro della cripta” e “Rapiscimi”. Ma anche Cinepanettoni campioni di incassi come: “Natale a Beverly Hills” e” Natale in Sudafrica”, dove sei altamente criticato per il basso livello di comicità, ma vinci due Biglietti d’oro con un incasso complessivo di 40 milioni di euro al botteghino. Nel 2007 esce un tuo racconto Noir “Nessuno di noi” nella raccolta “Omicidi all’italiana” edito da Colorado Noir e distribuito da Mondadori. Nello stesso anno collabori con Paolo Logli, e con lui fondi – insieme a Riccardo Irrera e Mauro Graiani – la factory di scrittura creativa 9 mq storytellers. Nel 2008 vinci il premio per la miglior sceneggiatura al Festival Internazionale di Salerno con il film “Il bambino della domenica”. Nel 2012 il premio per il miglior soggetto e sceneggiatura alla 33 esima edizione “Una vitaper il cinema”, con il film “K2 – La montagna degli italiani” e due premi Moige per “L’oro di Scampia” e i “Fantasmi di Portopalo”. Per il teatro firmi la commedia sentimentale “Unadonna in casa”, e i due musical “Un po’prima della prima” con Pino Insegno e “Il pianeta proibito” con Lorella Cuccarini. Hai collaborato con sceneggiatori importanti come Martin Donovan, Tonino Guerra, Sandro Petraglia, Andrea Purgatori, Alessandro Camon e Luciano Vincenzoni.

D: Poco più che ventenne scrivi Il tuo primo romanzo “Gli angeli non mangiano hamburger” dove un giovane di nome Piero intraprende, in compagnia di un alter ego Pier, un viaggio verso Roma. Chi o cosa ti ha ispirato?
A: Mi stavo affacciando alla scrittura, ero appena arrivato a Roma con una valigia piena di sogni, volevo fare cinema ma mi sembrava un traguardo ancora molto lontano. “Gli angeli non mangiano hamburger” è nato un po’ per gioco, tanto per rompere il ghiaccio e mettermi alla prova nel racconto lungo. Nasce senza troppe aspettative, anche se alla fine è stato il mio biglietto da visita per iniziare con la televisione e il cinema. Matilde Bernabei, di Lux Vide, lesse il mio romanzo e mi chiamò a sceneggiare una serie televisiva giovanilistica dal titolo “Questa casa non è un albergo” e da lì è cominciato tutto.
D: Nel 2017 scrivi, insieme a Giuseppe Fiorello, Paolo Logli, Salvatore Basile, Alessandro Angelini, che firma anche la regia, la mini serie “I Fantasmi di Portopalo.” Ispirato da una storia vera: Il naufragio della F174, del 1996. Cosa ti ha lasciato?
A: Mi ha lasciato sentimenti forti come la rabbia, ma anche tanta umanità e amore per il prossimo. È un film scomodo, un film inchiesta che racconta la tragedia di un naufragio di clandestini avvenuto nel Natale del ’96, davanti alle coste siciliane, nella totale indifferenza della gente. È avvenuto durante un giorno di festa, che rende ancor più triste e dolorosa la tragedia. È una storia di disperazione, di omertà, ma anche di speranza. Prima di scrivere la sceneggiatura, io, Logli e Fiorello siamo stati in Sicilia, a Portopalo, a intervistare le persone che hanno vissuto la tragedia. È stato un lavoro complesso ed emotivo. Abbiamo trovato resistenze, molti volevano dimenticare quella storia, non volevano che la raccontassimo. Credo che avessero paura di come l’avremmo narrata, perché lì c’erano state colpe gravi da parte di molti, abitanti e istituzioni. Ci siamo sentiti addosso un profondo senso di responsabilità, ma alla fine siamo riusciti a trovare una chiave di racconto empatica e il film ha emozionato milioni di italiani e sensibilizzato le istituzioni. Abbiamo acceso un piccolo faro, siamo stati invitati alla Camera dei Deputati per ricordare la tragedia e il film ha ottenuto il premio più importante, quello del pubblico, il Moige.

D: Quando consegni una sceneggiatura metti in conto che ci saranno dei tagli?
A: Una buona sceneggiatura non dovrebbe avere scene superflue, o fronzoli, tutte dovrebbero susseguirsi in un crescendo cinematografico di emozioni e informazioni dentro uno schema drammaturgico di tre atti. Quindi sì, lo metto in conto, ma per evitare che succeda e sperare che il film venga girato esattamente come l’hai immaginato quando l’hai scritto. Ma poi c’è il montaggio, e può succedere che ti accorgi che l’attore è stato meno incisivo di quanto ti aspettassi o che una scena è venuta un po’ troppo lunga e allora, se serve al film, meglio tagliare.
D: Sempre nel 2017 esordisci nella regia con il film “Chi mi ha visto?” con Pierfrancesco Favino e Giuseppe Fiorello; perché la scelta di fare il regista?

A: La regia cinematografica è sempre stata la mia aspirazione, sin da subito, da quando sono arrivato a Roma. Ma chi avrebbe scritto un film ad un ragazzetto di vent’anni appassionato di cinema? Nessuno. Sapevo che avrei dovuto pensarci io, e così ho iniziato a scrivere. E dopo averne scritti una ventina per altri registi, alla fine ho diretto “Chi m’ha visto”. Ed è stato liberatorio e avvincente. Liberatorio perché finalmente ero riuscito a realizzare il mio desiderio, avvincente perché non c’è cosa più bella che lavorare sul set con gli attori e coordinare un gruppo di artisti, un po’ come fa un direttore d’orchestra.
D: Secondo te, cosa dà più risalto, la sceneggiatura o la regia?
A: La storia è alla base di tutto. Se non hai una bella storia per le mani puoi avere anche il più bravo regista del mondo, ma il film non sarà mai un gran film. Diversamente, con una storia vincente puoi anche permetterti di sbagliare il regista.
D: Hai diretto Enrico Brignano in due film: “Tutta un’altra vita” 2019 e “Una commedia pericolosa” 2023. Come è stato lavorare con lui?
A: Divertente e faticoso. Enrico è un grande professionista, dotato di un talento straordinario, con i tempi sia della commedia che del dramma. È un artista completo e generoso, ma allo stesso tempo è una super star, quindi molto impegnato e alla fine rimane sempre poco tempo per provare. Sia Tutta un’altra vita che Una commedia pericolosa li abbiamo girati in poche settimane, un po’ per alleggerire i costi di produzione, ma soprattutto perché li abbiamo girati nella finestra di uno spettacolo e l’altro di Enrico.
D: Come sai, nel mondo del cinema o del teatro è più difficile far ridere che far piangere; sulla base di ciò, hai mai pensato di scrivere un dramma?
A: Ho scritto diversi film drammatici. “L’oro di Scampia”, “Mio papà”, “I fantasmi di Portopalo”, ho scritto film anche molto duri come “La caccia” di Marco Bocci, però non ho ancora affrontato un film drammatico da regista. Ed è una cosa che non mi sento di escludere nel mio futuro.
D: Il tuo sogno nel cassetto?
A: Sono molto scaramantico e i sogni nel cassetto ci sono, ma li lascio chiusi nel cassetto finché non si realizzeranno e allora vi dirò: questo era il mio sogno.
D: Grazie caro Alessandro anche a nome delle Lettrici e Lettori di detti e Fumetti per questa piacevole chiacchierata
A: Grazie a te e un caro abbraccio a tutti i lettori di Detti e Fumetti.
Alla prossima.
[DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI- SEZIONE CINEMA- ARTICOLO DEL 2 MAGGIO 2025]