Intervista ritratto a Simona Binni -Recensione di Silverwood Lake

Salve amici di DETTI E FUMETTI in occasione della terza edizione dell’ARF abbiamo intervistato Simona Binni proponendo le nostre famose nove domande per far capire ai nostri lettori come una ragazza con la passione del fumetto possa diventare una professionista del settore.

Filippo:Parlaci di questa tua nuova opera Silverwood Lake.
Simona:Mi piace descrivere questo libro come la storia di una resa. Si parla si persone schiacciate dalla vita e del modo in cui in qualche maniera continuano a vivere o quantomeno a sopravvivere. Cosa succede nella vita quando ad un certo punto non c’è la fai e cadi non avendo voglia di rialzarti. Di questo parla Silverhood Lake, di persone che c’è la fanno a rialzarsi e di altre che rimangono schiacciate nella loro condizione ai margini della vita.
Sono tutte storie diverse ma accomunate dal dolore di questa resa, dal dolore di scelte difficili, a volte imposte dalla vita a volte per scelta personali che spesso portano a vivere una vita devastante, senza più una casa, senza più una famiglia.

Mi piace definire questo libro circolare; tutto ciò che troviamo all’inizio alla fine poi ha una spiegazione. C’è un filo conduttore che lega tutta una serie di persone apparentemente diverse l’una dall’altra.

F. A cosa ti sei ispirata per scrivere questa storia?
S. : quello dei senza tetto era un argomento che mi interessava molto, da sempre.
Questa storia si svolge in California dove ho indagato c’è realmente una grande comunità di senza tetto, un insieme di persone che hanno perso la casa ad esempio per i problemi economici occorsi con l’ultima crisi.
Ho tratto ispirazione dal film “In to the Wild” per la parte in cui il protagonista arriva nella comunità di hippies che vivono dentro dei furgoni,in questa sorta di campeggio.
Mi colpì molto questa comunità, feci delle indagini, mi documentai e scoprii che era stato girato un documentario da Gianfranco Rosi, il regista di “Fuoco a mare”, che si chiama Below Sea Level.

Ho poi scoperto che hanno girato un sacco di documentari su questa comunità californiana. Mi piacque molto il modo in cui loro si raccontavano nei documentari. Alcuni avevano proprio scelto di vivere li; stiamo parlando di downshifting, lo “scalare la marcia”; interessante in tal senso fu la storia di un professore da cui ho tratto spunto per un personaggio inserito nel mio racconto.

F.:parlaci dei rapporti familiari presenti nel racconto.
S. La famiglia è centrale nel libro. È il”luogo” dove ci viene dato l’imprinting e nel contempo è il nucleo fondante della società in cui viviamo. È interessante vedere cosa avviene nelle famiglie perché gli individui che diventiamo non sono mai il frutto della casualità. È nella famiglia che si trovano le radici profonde di un malessere o di un benessere.
In questo libro mi interessava parlare di padri, in particolare della loro assenza. Cosa succede ad un figlio quando un padre non c’è? Come si può crescere senza quel riferimento? Diego è un adolescente quando perde il padre. Come è cresciuto senza questa fonte di ispirazione? In fondo le madri e i padri sono le donne e gli uomini a cui noi un giorno somiglieremo. Fonte di ispirazione o per imitazione o per opposizione.
Nel libro si racconta di un ragazzo che si perde, va in prigione perché la madre era assente e il padre aveva segnato negativamente la sua vita. Il padre era stato violento e lui stesso lo diventa e viene carcerato.
Vi è la storia di Diego che senza il padre perde ogni riferimento e si congela, smette di vivere.
Vi è la storia di Memo che anche lui non conosce il padre ma lo mitiizza nell’attesa del suo ritorno.
Vi è la storia di Ted, che non se la sente di prendersi la responsabilita’ di fare il padre e lo lascia.

F.: Quindi nel libro ci sono molte storie sulla sconfitta personale che la vita ti infligge, storie di resa; ma non solo. Ce ne è anche una di speranza che non raccontiamo per non rovinare al lettore il piacere della scoperta. Qualcosa però possiamo accennarla. Cosa ci salva?

S.: Avere uno scopo nella vita è fondamentale, meglio sarebbe se fosse un lavoro in cui realizzarsi. Io credo che tutte le persone posseggano dei talenti. Bisogna scavare dentro di sé, trovarlo e poi impegnarsi a coltivarlo perché lui ci salva dal piattume, dall’idea di pensare che stiamo facendo sempre qualcosa che non coincide con quello che siamo. Il massimo sarebbe quello di rendere il nostro talento produttivo anche per gli altri.

F.: Bene, e ora le nostre famose nove domande.

F.: C’è chi dice che fumettisti si nasce, è veramente così?
S.: Io fin da piccola racconto le mie storie disegnando. Questa è una dote. La tecnica va studiata.

F.: Quali sono stati i tuoi punti di riferimento nel fumetto ed in che modo hanno influenzato il tuo stile.
S.: è difficile rispondere. I miei punti di riferimento cambiano continuamente. Ho iniziato ad avere come riferimento Sandoval; in Amina e il vulcano è palese graficamente. Poi piano piano ho iniziato a discostarmene. Attualmente scopro degli autori, li studio, ma non c’è nessuno che voglio imitare. Oggigiorno scelgo il mio stile in base a ciò che voglio raccontare.

F.: c’è un detto attribuito a Picasso che recita: ” i bravi artisti copiano, i grandi rubano”. Lui rubava da tutti ma alla fine quello che ne scaturiva era solo suo, era un Picasso. Ti ritrovi in quanto sostiene?
S.: accade esattamente così.

F.: agli inizi la tua famiglia, i tuoi amici hanno appoggiato la tua scelta di voler fare il fumettista?

S.: quando ero piccola e mi annoiavo mio padre mi dava un libro e mi diceva:
“Quando ti annoi leggi”. È grazie a questo stimolo della lettura che ho intrapreso la professione di fumettista, ho iniziato a raccontare le mie storie. Il mio cruccio più grande è che prima che iniziassi la scuola di fumetto lui è venuto a mancare e quindi non ha visto cosa poi sono diventata. Sarebbe stato orgogliosissimo.
Mia madre invece ne rimase un po’ spiazzata, atteggiamento comprensibile, specie in italia a quel tempo. Io comunque lavoravo e dopo aver fatto studi di Psicologia in età evolutiva, lavoravo con i ragazzi, nelle scuole. Un giorno mollai tutto per dedicarmi completamente al fumetto.

F.: mi hai anticipato la domanda successiva. In Italia il fumetto è sottovalutato? È ancora reputato un’arte minore?
S.:il fumetto in Italia è in grandissima espansione, vedrete cose straordinarie. Sono reduce dal salone del libro di Torino e vi dico che il lettore sta assumendo una grande consapevolezza. Prima andava un po’ imboccato, gli si doveva spiegare la differenza tra fumetto e fumetto da quello di edicola, al graphic Novel. Oggi non è più così.
Anche gli autori di letteratura stanno guardando al mondo del fumetto con interesse. Stanno cominciando a considerarlo un “medium” efficace. Questa sarà la svolta.
Anche le case editrici si stanno affacciando sui media vecchi come la radio e la televisone ma anche sui nuovi come il web; c’è come una convergenza di piu fattori positivi sul fumetto. Stanno cambiando le cose.

F.: A proposito di web, come vedi il fumetto nella rete?
Quali sono gli apsetti positivi e quali quelli negativi?

S.: il web, rispetto a prima quando pubblicare era difficile, è stata una grande opportunità. E stato un grande strumento di democrazia. Non ho i soldi per pubblicare il mio fumetto? Non riesco a trovare un editore che mi pubblica? Lo pubblico sul web e do visibilità al mio modo di fare arte di dare i miei messaggi. E questo è nel contempo il suo aspetto negativo: tutti possono … e così finisce che arrivano anche persone che certe cose se le potrebbero risparmiare. A volte c’è una bassa qualità, che incide negativamente nei confronti di tutto il mondo del fumetto. Bassa qualità nel senso che hai usato quei cinque minuti per avere visibilità, giusto un meme, senza la voglia di veicolare dei contenuti. E non sto parlando neanche di stile poco felice, niente di tutto questo. Parlo di storie, di temi. Purtroppo la libertà è anche questo.
Il filtro dell’editore ci può proteggere spesso. Un editore capace di lasciare libertà all’autore. Credo in un editing che aiuti l’autore a fare un percorso di crescita.

F.: ok questa è la produzione tradizionale. Cosa ne pensi invece di quei pochi episodi fortunati di croudfounding o di idee ancora più innovative come per il caso di Ratingher?

S.: che ben vengano queste iniziative. Magari divenisse fonte di ispirazione per altri. Questi fenomeni andrebbero studiati e capiti. Dovrebbero essere insegnati nelle scuole di fumetto. “Le ragazzine ” di Ratingher è un libro fichissim, andrebbe preso, sviscerato nella sua sceneggiatura.
[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione Fumetto – articolo del 1 giugno 2017]

Lascia un commento