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RACCONTI SPARSI – intervista a Dario Santarsiero in occasione dell’uscita del suo nuovo libro

Dario Santarsiero nasce e vive a Roma, fin da bambino affascinato  dai fumetti che il nonno materno leggeva, inizia a scrivere brevi racconti, perfezionandosi con il tempo. Ha pubblicato con la casa editrice Albatrosilfilo “In treno da Monte Mario a Valle Aurelia e viceversa” Ottenendo un discreto successo. Scrive anche per il teatro, le sue commedie sono andate in scena con “la compagnia del Brivido”in diversi teatri di Roma.

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro“Racconti sparsi” autoprodotto su Amazon  siamo andati a trovarlo per  intervistarlo e farlo conoscere meglio agli amici di DETTI E FUMETTI, rivista per cui Dario, nelle vesti di  Willy il bradipo, scrive di Teatro.

F. ciao Dario stavolta  da intervistatore diventi intervistato. Fa strano vero?  Sai che ti dico diamoci del lei che fa più’ cool e ci aiuta a calarci nell’atmosfera giusta.
F. Come e quando si è reso conto che le piaceva scrivere, che sarebbe diventato uno scrittore?
D. Devo la mia iniziazione a mio nonno materno, lettore sfegatato di fumetti, che mi ha trasmesso l’amore per la lettura. La scrittura e’ stata la fase successiva.
F.Segue orari/abitudini , ha un luogo/stanza dove preferisce scrivere? in che situazione ama scrivere i suoi libri?
D.Non ho un posto o abitudini precise, scrivo dove posso e quando ne ho la possibilità’,dovendomi dividere tra impegni lavorativi e familiari.
F. Ci sono scrittori disciplinati, metodici, che stilano scalette e rileggono mille volte i loro scritti; e autori che istintivamente buttano giù frasi su frasi fino a comporre un romanzo. Lei cosa fa, Che tipo di scrittore è?
D.  Sono sicuramente della seconda specie! Scrivo una intera pagina senza leggerla se non alla fine. A volte lascio “fermentare” l’intera pagina per un giorno, e poi la rileggo eliminando o aggiungendo a seconda se riesce il “tutto tondo”.
F.per descrivere i suoi personaggi a chi si è riferito qualcuno che esiste nella vita reale? Esistono o sono frutto della sua fantasia?
se sono frutto della sua fantasia, come li costruisce i discorsi ed i comportamenti di qualcuno che non e’ mai esistito?
D.La maggior parte dei personaggi e’pura fantasia, però a volte ne inserisco alcuni veri, che mi hanno colpito sulla metro o per la strada. Immaginandomi le scene i dialoghi arrivano da soli, in un certo senso sono gli stessi personaggi a suggerirmeli.
F.Ci racconti l’emozione del suo primo libro (o racconto o storia) pubblicato…
D.E’ una sensazione profonda intima. In soldoni e’ come vedere crescere il proprio figlio
F.quali scrittori l’hanno influenzato? ci consigli un libro non suo.
D.Non c’e uno in particolare, ma tanti scrittori per lo più stranieri che mi hanno influenzato. Due libri mi sento di consigliare, il primo e’ “Adriano” della scrittrice yosenaure. Il secondo e’ “il profumo”di Patrick Suskind.
F. Che ne pensa di tutti gli aspiranti scrittori che
dicono di leggere poco “per non farsi influenzare” o perché il poco tempo libero che hanno lo impiegano per scrivere. Che peso ha la cultura per lei.
D.La cultura ha un peso rilevante per me, però non mi sento di dare un giudizio su chi legge poco per non farsi influenzare. A mio avviso, il tempo lo trovi anche se leggi tanto.
F.Per lavoro so che è spesso a contatto con opere d’arte e gli piace recarsi al cinema. Quanto tutto questo contamina i suoi scritti?
D.Io adoro il cinema, che in minima parte, influisce nei miei racconti.
F. stiamo andando bene ora pero’ sdrammatizziamo un po’, sai io non intervisto scrittori e quindi ho cercato sul web le domande piu’ indicate. Te le ripropongo, vediamo come rispondi; una faceva così’:”Secondo lei uno scrittore oggi deve usare almeno 45 vocaboli diversi in 2000 battute, con tutto lo spettro della punteggiatura e un’aggettivazione misurata. Altrimenti la lingua muore.
Oppure uno scrittore oggi deve scrivere in modo semplice. Altrimenti muore lui. “Quale delle due secondo lei?
D.Sicuramente la seconda! Scrivere in modo troppo ricercato nasconde al lettore il vero spirito del libro.
F. C’è ne era un’altra: “Uno scrittore oggi deve trovarsi un lavoro che lo mantenga, scrivere il romanzo, beccare un editore, fare le presentazioni, promuoversi su internet, fare amicizia con i critici. E poi trovarsi un altro lavoro che lo mantenga….” Cosa ne pensa, si riesce a vivere di scrittura?
D.Ah, ah…il tortuoso cammino della scrittura. Vivere di scrittura è oggi un privilegio che pochi scrittori possono permettersi. Io non ne faccio parte,  lavorando ho un modo diverso di affrontare questo tortuoso cammino.
F. Lasciamo una porta aperta alla speranza. Affrontiamo l’argomento vendite. Sappiamo che uno scrittore emergente spesso addirittura paga la casa editrice per essere pubblicato. Quello affermato oggi si prendesolo  il 7% sul prezzo di copertina del suo romanzo. Ma allora l’autoproduzione e’ l’unica via rimasta? Tu l’hai intrapresa;in estrema sintesi come si fa?
D.Credo che l’autoproduzione, per chi non ha possibilità o non ha scritto il libro dell’anno, e’ una buona possibilità di farsi conoscere. Io ho scelto Amazon. Con pochi semplici click vieni guidato nell’inserimento del tuo libro, decidi tu il prezzo, Amazon si prende il 30%. Puoi sapere in tempo reale quanto hai guadagnato entrando nel tuo account. Semplice.
F. Concludiamo con il racconto della sua ultima opera e della sua genesi che poi era il vero motivo dell’ intervista.
“Racconti sparsi” è composto da una serie di storie sempre più brevi, che hanno in comune l’animo umano. Il filo inizia a dipanarsi con ”Fughe” dove un uomo scopre se stesso in una stazione di benzina. O con “E” il protagonista ha la forza di tornare nel suo passato e vivere così il presente. Osservare tutto ciò ci circonda, con distacco, ci protegge dalla vita. E’ quello che fa il portiere nel “Quello del terzo piano”. Tutti i personaggi vivono ai margini di una follia latente, che li accompagna nel loro cammino.

“Racconti sparsi”. lo trovi  facendo click  QUI  ed è scaricabile  su piattaforma kindle, Ipad,  Iphone e su dispositivi Android.

[Filippo Novelli per Detti e Fumetti- sezione letteratura articolo del 3 settembre 2014]
[l’illustrazione è disegnata da Filippo Novelli]

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Willy presenta da Giovedì a giovedì la nuova commedia di Leonardo Madier

Cari amici oggi sedetevi comodi, prendete i pop corn perchè vi voglio parlare “da giovedì a giovedì”…

…o meglio vi voglio parlare di una nuova commedia dal titolo “da giovedì a giovedì” tutta incentrata sull’amore che la nostra amica, l’attrice Francesca Stajano ci propone in questi giorni.; “Da giovedì a giovedì “è messa in scena dalla Compagnia Madier, scritta da Aldo De Benedetti e diretta da Leonardo Madier.

[La Compagnia Madier]

In questa commedia si supera qualsiasi tabù anche quello del tradimento. Infatti come l’autore Aldo De Benedetti farà dire ad uno dei suoi personaggi :”L’amore è l’unica cosa che conta, l’unica cosa che vale. Tradite, tradite vostro marito, il vostro amante …. ..ma non tradite mai l’amore “.

[Elisa Fattori – Francesca Stajano]

La storia si svolge nell’apatica vita dell’alta borghesia e, sia La Madre (Francesca Stajano) che la figlia di lei (Elisa Josefina Fattori) interpretano due facce della stessa medaglia, cioè apparire più che essere. Ma mentre la prima è più smaliziata e non guarda che al presente, circondandosi di lusso e sregolatezza, la figlia, ha una vena romantica e fa di tutto, per ingelosire il distratto marito, interpretato dallo stesso regista della commedia Leonardo Madier, con una tale ambiguità che quest’ultimo assume un investigatore privato(Giancarlo Martini) per pedinarla. E lo farà appunto “Da giovedì a giovedì” Quando il marito sarà fuori per lavoro tutta la settimana.

La divertente commedia,sarà al Teatro Testaccio via Romolo Gessi 8 dal 20 al 25 maggio ore 21 , domenica ore 18.
Vi aspetto, ciao Willy

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI- sezione teatro – articolo del 13 maggio 2014]

 

 

Willy e la BODY ART. Intervista a Katia Stefani, in arte Madame Decadent

Cari amici dopo avervi parlato di Performance Art non potevo non addentrarmi in una sua crrente, la Body Art. Per l’occasione sono andato ad intervistare Katia Stefani, ai più nota come Madame Decadent

W. Ciao Katia! Sorriso aperto e  stretta di mano vigorosa, decisa, che mette ha proprio agio. Parlaci un po’ di te.

M.   Più che parlare di me, preferisco parlare del mio lavoro. Certo il mio percorso di vita influenza, certamente, il risultato finale del lavoro stesso. Per quel che mi riguarda non riesco a scindere vita vissuta da vita artistica. C’è un intreccio invisibile che non riesco a comandare. Nasco principalmente come pittrice, ma il mio modo deciso di approcciarmi alle superfici da dipingere mi hanno portata ad una richiesta sempre maggiore di dipingere pubblicamente, da lì sono entrata a far parte di una compagnia teatrale. Il mio compito era dipingere senza alcuna traccia enormi teloni bianchi che scandivano i tempi dello spettacolo, senza mai uscire di scena. Fu una dura prova ma si potrebbe dire che quello fu il tuffo che mi fece acquisire la sicurezza necessaria per mettermi a lavorare da sola su performance più concettuali. Dipingo su ogni supporto, con ogni materiale e in qualsiasi situazione, cerco di  non pormi limiti e affrontare ogni novità come una sfida. Nelle mie performance mantengo un controllo maniacale che mi porta a gestire in prima persona ogni aspetto della performance stessa, dalla musica alle luci ecc.

(Foto di Flavio Parente)

W. Il tuo nome è Katia Stefani, perché cambiarlo in Madame Decadent?

M. Quando nacque Madame Decadent, non avevo idea che potesse assumere un’identità così precisa, diventare in maniera così chiara il mio alterego. Madame Decadent nasce da sola, lei c’è sempre stata dentro me,  solo non aveva un nome. Il nome le è stato dato per gioco, nato dal mio amore per le ambientazioni decadenti vittoriane. Madame Decadent è il mio demone tormentato, lei è la sola che sale sul palco, lei è colei che dipinge, che strappa e inchioda. Questa scissione di personalità mi permette di essere più concentrata sul mio lavoro e lasciare la Katia di ogni giorno sotto al palco. Per una volta mostrare con fierezza quei demoni che ogni giorno per riuscire a sopravvivere teniamo nascosti.

W. Non posso fare a meno di notare i tuoi innumerevoli tatuaggi, a che età il primo, e perché?

M. Il mio rapporto con i tatuaggi è sempre stato molto forte, ricordo che da bambina inventavo storie con i tatuaggi che mio padre aveva sul suo corpo. Passavo le ore a far parlare quei disegni. In più sono cresciuta con la bellissima storia d’amore dei miei bis nonni che ha alimentato la famigliarità con questa antica pratica. Mio nonno era un marinaio e aveva entrambi le braccia tatuate, innamorato della mia futura bis nonna per l’ennesima volta andò a chiedere  la mano alla famiglia di lei e per l’ennesima volta si senti rifiutare, causa le sue braccia tatuate. Dopo l’ennesimo no tornò nella fabbrica di pelati dove lavorava, dopo aver lasciato il mare per dimostrare le sue buone intenzioni, e affondò entrambi le braccia nell’acqua bollente che serviva per bollire i pelati. Si ustionò, ma i tatuaggi rimasero sotto la pelle lucida. A questo punto la famiglia della mia bis nonna capì quanto le sue intenzioni fossero serie, così acconsentirono per il matrimonio. Quindi è comprensibile l’amore e il legame stretto che ho il tatuaggio e nemmeno c’è troppo da stupirsi se il mio primo tatuaggio l’ho fatto a tredici anni con ago e china da sola nella mia cameretta!

 

W. L’Abramovic  è un caposaldo della Body Art, lo è anche per te?

M. L’Abramovic è sicuramente una dei massimi rappresentanti dell’Arte performativa anche se devo dire a malincuore che alcuni dei suoi ultimi lavori non mi hanno entusiasmata. Sono sicuramente molto più legata e ispirata dall’ Abramovic degli anni settanta, più tangibile e meno eterea. Sono molti gli artisti che mi ispirano e a cui devo molto. Mi piace attingere ispirazione anche da fonti più disparate, cercare nella totale diversità di visione credo sia molto utile.

(foto di Mirko Turini)

W. Alcune forme estreme di body Art possono spingere il corpo fino al limite, ad esempio nell’azionismo viennese, che mortifica in pratiche dissacranti e profanatorie il corpo umano, coinvolgendo anche la religione. Tu come ti rapporti con le forme estreme?

M. Adoro gli estremismi ma per entusiasmarmi devono essere davvero tali. Ad oggi vedo molta voglia di dissacrare fine solo a se stessa, con poco spessore dietro. Spesso vengo associata alla Body Art Estrema per via dei tatuaggi ma il mio lavoro è completamente diverso, la direzione direi opposta. Il mio scopo è arrivare nello stomaco dello spettatore senza sangue, senza tagli, riuscire a colpire più dove fa male solo con la pittura. Questa è la mia sfida.

(foto di Mirko Turini)

W. Nelle tue performance comunichi un chiaro disagio interno, questo stato, lo esprimi al meglio in un ambiente metropolitano o fuori, in aperta campagna ?

M. Ad oggi ho principalmente lavorato in ambienti metropolitani ma vorrei studiare una specifica performance per ambientazioni naturali. Se dovessi scegliere una locazione naturale in Italia, sceglierei l’abbazia di San Galgano a Siena, è un’ambiente davvero magico.

 

W. A cosa si ispireranno le tue future performance?

M. Le mie future performance saranno, come sempre è stato, il risultato della vita che vivrò. Filtrata, assimilata e rielaborata per diventare la mia opera. In questo momento, dopo un periodo di pausa, mi sono rimessa a studiare un nuovo lavoro che parlerà di costrizione e privazione.

(foto di Paola Panicola)

[L’uso delle foto di FLavio Parente, Mirko Turini e Paola Panicola è stato autorizzato dagli autori e dall’artista Katia Stefani]

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI -sezione Teatro – articolo del 25 gennaio 2014]

[Illustrazioni di Filippo Novelli – tutti i diritti riservati]

WILLY e la PERFORMANCE ART per DETTI E FUMETTI

Mi sono reso conto di aver tralasciato, non volutamente, una, lasciatemi passare il termine, costola del teatro: La Performance art.

Inizia negli anni sessanta, con artisti come Allan Kaprow, che inventò il termine happening, Vito Acconci, Hermann Nitsch e Joseph Beuys, Wolf Vostell e Nam June Paik. Alcuni studiosi fanno risalire la performance art agli inizi del XX secolo. I Dadaisti, ebbero un ruolo  di primo piano, con la loro poesia non convenzionale, tenute spesso al Cabaret Voltaire di Zurigo da Richard Huelsenbeck, Tristan Tzara e altri. La Performance art non è confinata alla tradizione artistica europea; anche in  altri paesi come  Asia, America Latina, e in altre parti del mondo.

È una forma artistica dove l’azione di un individuo o di un gruppo, in un luogo particolare e in un momento particolare costituiscono l’opera. Può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, o per una durata di tempo qualsiasi.

Gli happening sono una forma d’arte contemporanea che nasce come abbiamo detto, da Allan Kaprow (18 Happenings in 6 Parts, New York, 1959) che si struttura, non tanto sull’oggetto ma sull’evento che si riesce ad organizzare. Lo “happening” è una forma di teatro dove diversi elementi si sottraggono alla logica, compresa l’azione scenica che può risultare priva di ispirazione, sono aggregati e organizzati in una struttura a compartimenti.

 

LIVE WORKS performance art award, Curandi Katz foto: alessandro sala – Cesuralab per Centrale Fies

 

negli happening l’artista tende a far crollare la quarta parete tra lui e il pubblico  togliendolo dal ruolo di fruitore passivo. E, In alcuni casi lo coinvolge, anche per denunciare, una situazione di degrado, come nel caso del fotografo e performer Augusto De Luca, che ha organizzato una partita di golf nelle buche stradali di Napoli.

Gli happening si svolgono generalmente, all’aperto come una sorte di irruzione nella quotidianità. Come  in quelli del fotografo statunitense  Spencer Tunick che coinvolgendo una massa di persone nude, è arrivato a fotografarne nel maggio del 2007, a Città del Messico, battendo il suo record personale oltre 18.000 persone ne El Zócalo, la piazza principale della città.

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – sezione Teatro – articolo del 25 gennaio 2014]

 

 

Willy e le scuole di teatro. Imparare recitando. L’intervista a Sandro Torella

Imparare recitando

Anche i più fortunati che  hanno ricevuto in dono dal dio Apollo, la sacra arte della recitazione, devono essere guidati da un ottimo maestro se vogliono affinare e migliorare il proprio talento.

Tornado nel mondo delle persone normali, tutti posso cullare il sogno di poter recitare almeno una volta nella loro vita su di un vero palcoscenico, che non deve essere per forza uno dei più famosi in Italia, ne basterebbe uno di trenta posti, tanto per cominciare. Ma per farlo servono le scuole di teatro. A Roma come in qualunque altro posto della Penisola, si possono trovare  buone scuole gestite da attori che hanno deciso di condividere con degli allievi le loro esperienze accumulate da anni di duro lavoro. Frequentare un corso di recitazione  può dare  una spinta favorevole alla propria autostima. Il mettersi in gioco salendo sul palcoscenico e recitare una parte in una commedia o in un dramma, apre porte che il possessore non sapeva di avere. Un esempio concreto me lo ha dato una mia amica. Con una decisione stoica, lavoro, casa, si è iscritta ad una di queste scuole; si è lasciata travolgere dall’entusiasmo e soprattutto, guidare dal suo maestro, tanto che, ad ottobre, ha debuttato con una compagnia amatoriale proprio in un teatro da trenta posti; il regista era così entusiasta che le ha assegnato un monologo nel secondo atto. Ottenendo un ottimo successo. C’è anche chi si iscrive perché sa, che per la carriera che vuole intraprendere, dovrà parlare alle conferenze per esporre le proprie idee o le sue scoperte in campo scientifico, e cosa c’è di meglio di un corso di recitazione, per coinvolgere e attirare l’attenzione su di se.

Insomma, andare a scuola, non è da poveri sfigati, che sperano un domani di calcare le tavole dei più famosi palcoscenici d’Europa, è riconoscere i propri limiti e  grazie a loro, fare di tutto per superarli.

INTERVISTA A SANDRO TORELLA

Oggi intervistiamo sull’argomento scuole di teatro, l’attore Sandro Torella che è ildirettore artistico al teatro Duse ne dirige la scuola comica  Essere attori”.

Sono atteso da Sandro all’ingresso del teatro

 W. Ciao Sandro come va!?

S. Ciao Willy tutto bene, vieni entriamo che ti offro un caffè così parliamo con calma

 W. Allora Sandro iniziamo col parlare un po’ di te

 S. La domanda più difficile a cui rispondere, mi costringi a mentire. Scherzo. Forse. Sono un individuo in continua evoluzione, questo posso dirlo con certezza. Forse faccio sempre le stesse cose o quasi ma in modo diverso nel tempo. Cerco di capire, di andare oltre, è la mia natura. Sia nel teatro che nel privato in genere. Amo vivere piuttosto che lasciarmi vivere. Sono più che altro come mi vedono gli altri e non mi piace molto parlare di me, tendo ad osservarmi poco da fuori, soprattutto negli ultimi anni. Mi limito a vivere.

 W. So che hai scritto un libro “Essere attori” editato  da Cultura e Dintorni Editore.

Ce ne vuoi parlare

 S. Si, nasce come “appunti da un corso” per una questione di comodo, di utilità pratica per me e per i discenti. Nel senso che era utile per me fare un quadro della situazione rispetto a ciò che mi muove ad agire come insegnante/regista e per gli allievi attori può essere un utile promemoria. Poi di fatto è diventato un utile promemoria anche per me: rileggo quel che ho scritto e ci trovo cose nuove! Strano ma vero. L’idea è nata da una mia allieva che prendeva appunti alle mie lezioni (faccio anche un po’ di teoria) trovandole molto interessanti, lei era o è una ricercatrice di antropologia, se non sbaglio. Lei stessa aveva contatti con la casa editrice e mi hanno spinto e aiutato a rendere questi appunti una pubblicazione. Non mi sento un autore, detta in breve. Lo sono incidentalmente ma per una nobile causa, nel senso che quel che c’è scritto su quel libro è una sintesi di anni di lavoro, in cui credo molto. Era opportuno impegnarsi a mettere su carta queste esperienze, credo. Anche perché oggi in Italia ci sono molte teorie e molto confuse. Questo libro può fare molta chiarezza, se qualcuno avesse voglia di leggerlo. Lo ritengo un piccolo strumento ma molto utile.

W. Quando ti sei reso conto che volevi fare l’attore, a quale scuola ti sei rivolto?

S. A una delle tante scuole private. Sono un po’ tutte uguali, seguono gli stessi criteri. Dicono di fare un lavoro sulla “verità” di scena ma poi di fatto non sanno neanche di cosa  si tratti. L’accademia statale peggio ancora. Poi qualcuno fa qualcosa di diverso ma non c’è chiarezza. Non c’è un minimo denominatore comune, una regola di base comune e imprescindibile: ognuno fa il suo, un po’ diverso, che prevede sempre la “falsitàˆ” in scena. Basta poi vedere una fiction o uno spettacolo a teatro. L’attore finge sempre. Non mi invento nulla. Ti giro la domanda: c’è un attore anche solo uno che ti “colpisce al cuore” che ti emoziona? C’è un attore anche solo uno che sappia veramente “cambiare forma” quando cambia ruolo, senza bisogno di artifici e parrucche?

 W. Come e quando hai deciso di aprire una scuola di recitazione?

 S. E’ successo per caso. Stavo lavorando con attori professionisti come regista e come al solito andavo incontro ai soliti problemi di comprensione. Il fatto che non ci sia una chiara regola comune nella formazione rende poi impossibile un vero lavoro attoriale e di regia. Lo spettacolo è l’incontro tra gli individui attraverso il confronto e la crescita. Finiva per diventare uno scontro fine a se stesso per l’incapacità di confrontarsi in modo costruttivo. Mancavano i giusti punti di riferimento, un modo di lavorare comune a tutti, principi solidi e incontestabili. Sembrava come al solito la fiera dell’ego. Per cui ho detto a me stesso: quel che non ho, me lo costruisco. E ho creato questa nuova scuola. Nuova nei presupposti. Mi sono messo in discussione più volte nella mia vita e nella mia attività di attore e regista. Ho fatto tanti tipi di spettacolo e ho lavorato anche io in modo “falso” e l’ho voluto correggere in “verità” di scena con grande fatica e grande soddisfazione. Credo molto in quel che faccio e nella possibilità di un cambiamento vero.

 W. Perché insegnare teatro comico?

 S.  Non insegno solo teatro comico! credo molto nel lavoro sulla verità  anche nel comico. Il comico è una delle possibili dinamiche. Il comico non per forza è intrattenimento. Purtroppo oggi si crede che il teatro debba essere intrattenimento! Il teatro per sua natura non è intrattenimento. Assolutamente no. Può esserlo o meglio si può fare dell’intrattenimento a teatro, ma la natura del teatro è la possibilità evolutiva. Il teatro deve scuotere, deve emozionare. L’intrattenimento è omogeneizzazione, serve a distrarre. Su questo poggia l’inganno: si crede che il “teatro impegnato” debba essere noioso e quello leggero sia divertente. Dipende come lo fai! Se il teatro impegnato è “falso” e non emotivo è chiaro che annoia. Cosi come un teatro leggero recitato in modo finto e artefatto rischia di non far ridere o di non lasciare nulla in memoria. Mi capita di vedere commedie a teatro e non ricordarmi neanche la trama. Possono fare ridere al momento ma non resta nulla in memoria. Sono atti inutili. Momenti di intrattenimento che non possono definirsi teatro, ma possono legittimamente essere eseguiti all’interno del luogo teatro.

Quando però diventano l’unica possibilità di fare cose a teatro e in più vengono “confuse” con la parola prosa e con la parola cultura, siamo di fronte allo sterminio delle funzioni primarie del teatro e delle possibilità relazionali tra gli individui. Stiamo andando verso la società degli emarginati tecnologici fieri della loro incapacità relazionale.

Per questo difendo con tutto me stesso la verità in scena e il teatro capace di raccontare e emozionare veramente. Per questo ti chiedevo se conosci attori che ti sappiano colpire al cuore.

 W. Quale è il target con cui vorresti lavorare  e perché?

S.  Il mio target ideale è chiunque. Il teatro come atto di condivisione riguarda tutti, nessuno escluso. Chiunque può essere attore. Anche lo spettatore è attore, nel senso che partecipa attivamente all’incontro teatrale se l’incontro lo permette. E questo non significa salire sul palco o parlare ma significa essere coinvolto emotivamente, respirare il respiro della verità in scena. Se gli attori fingono, lo spettatore è costretto all’alienazione. Purtroppo siamo di fronte alla situazione inversa: spettatori talmente abituati al distacco e alla finzione in scena che se si trovano di fronte ad attori veri, che non fingono, si offendono. Non vale forse per le nuove generazioni, ma gli anziani pretendono quasi la finzione, la macchietta, l’assurdità, perché drogati di televisione.

La finzione in scena è un’altra dose, purtroppo. Per questo ritengo che il ricambio generazionale del pubblico debba allinearsi con la “verità” in scena degli attori e dei registi, con un teatro contemporaneo vero. Altrimenti si estinguerà il teatro e nei pochi teatri che rimarranno si farà intrattenimento di quart’ordine. Ci sta già accadendo ora! E’ l’ultimo momento per invertire la rotta.

 W. Cosa vorresti sentirti dire da i tuoi  allievi?

 S. Ciò che già mi dicono. Sono tutti in linea con questo mio pensiero, non perché io sia un genio o li violenti, ma perché una volta evidenziato è di facile lettura. Se si capisce il problema è impossibile non cambiare rotta. E’ naturale. Il “falso in scena” è come il male: perde. Sempre. Può resistere ma non ha possibilità, è destinato a cedere.

 W. La soddisfazione più grande?

 S. Far si che questo accada a velocità esponenziale.

W. Un ultima domanda di rito, cosa stai preparando?

S. Riporterò in scena al teatro Duse, per il quarto anno consecutivo ” fanculo il PIL”

Dal 16 gennaio al 19 gennaio 2014.

Allora Ti aspetto a teatro, ti do l’indirizzo:

Teatro Duse Via Crema 8 – 00182 Roma (zona Re di Roma)
info: 06.70305976 340.6485291

W. Ci sarò, grazie Sandro a presto!

 [Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – sezione TEATRO – articolo del 29 novembre 2013] – illustrazioni di Filippo Novelli – diritti riservati.

Willy presenta "Le richieste di Anton" – Atti grotteschi di Anton Cechov. di Leonardo Madier con la compagnia Madier Group

Salve amici, Francesca Stajano,  una nostra vecchia conoscenza che recentemente abbiamo intervistato,si getta in una nuova impresa, e, con la  complicità della Compagnia Madier Group, presentano, al Teatro le Salette,“Le richieste di Anton”-Atti grotteschi di Anton Cechov.

[…]Perchè Cechov autore teatrale è innovativo: […] perchè crea una struttura drammaturgica nuova caratterizzata dalla soppressione dell’eroe a beneficio del gruppo – un coro sprovvisto di centro dove ciascuno conserva tuttavia la sua individualità -, dai piccoli intrighi distribuiti tra personaggi anch’essi episodici, dal miscuglio dei generi (dramma, farsa, commedia, tragedia), dall’importanza del tempo e dalla composizione paradossale.

Se c’è poca azione apparente, se i personaggi si distinguono per la loro aspirazione a trasformare il mondo e la loro inanità, sono tuttavia lungi dal rimanere inattivi in scena: Cechov li presenta in un quotidiano scelto, d’occasione, sia durante feste familiari (anniversari, incontri ufficiali, balli, scampagnate), sia durante eventi drammatici (incendi, vendita di una proprietà, partenze), altrettanti punti di snodo delle vite individuali e collettive. […](brano tratto dal sito La frusta.it  potete approfondire QUI )

Ma torniamo al nostro spettacolo: “Le richieste di Anton”-Atti grotteschi di Anton Cechov, diviso in tre atti unici, è un divertente spettacolo che vi farà conoscere un Cechov inconsueto.

I tre atti si intitolano: “l’Orso”, “Il tabacco fa male” e “La domanda di matrimonio”.

Nel primo vediamo una vedova alle prese con un nervoso creditore. Nel secondo, una conferenza sul tabacco, si trasformerà in qualcosa di inaspettato. Nel terzo, un timido e una zitella cercheranno di trovare l’amore.

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – Sezione Teatro – articolo del 11 ottobre 2013]

 

 

Willy intervista Il regista Virgilio Scafati della compagnia Teatranti Tra Tanti

Cari amici oggi intervisto Virgilio Scafati il regista della compagnia “Teatranti Tra Tanti” e promuovo la loro commedia in scena in questi giorni.

Vado a trovarlo al teatro Duse dove la Compagnia debutterà con una commedia dal titolo “Doppie punte” Scritto da Fabio Salvati dal 27 al 29 settembre 2013.

W. Ciao Virgilio, ti disturbo!?

V. Ciao Willy, assolutamente, sapendo del tuo arrivo ci siamo presi un momento di pausa

W. Come stanno andando le prove!?

V. Bene, la compagnia è motivata, quindi ce la mettono tutta per riuscire nell’impresa.

W. Prima di rivolgerti alcune domande, mi sono informato sulla vostra compagnia, vediamo se le informazioni che ho in mio possesso sono esatte, dunque:

La compagnia teatrale amatoriale Teatranti Tra Tanti, in breve T.T.T., nasce nel 2007 per iniziativa di un gruppo di amici da sempre appassionati di teatro e che fino ad allora si erano impegnati in sporadici spettacoli di piazza. L’obiettivo è mettere in scena commedie, soprattutto, ma non necessariamente, comiche da portare in giro per i teatri Italiani.

L’esordio è del 2007 con “E’ una caratteristica di famiglia” di Ray Cooney, rappresentata con discreto successo sia a Roma sia in Abruzzo. Dopo uno stop di circa un anno e mezzo per seri impedimenti occorsi ad alcuni componenti della compagnia, si ritorna in scena nel 2010 con “Il mistero dell’assassino misterioso” di Lillo e Greg, commedia portata in giro con grande successo per due anni in vari teatri italiani e che ha portato alla compagnia il premio gradimento del pubblico al concorso “Passaggio a Teatro” svoltosi a Passaggio di Bettona (Pg), e quello per Miglior allestimento scenografico al concorso “Il Confetto d’Oro” svoltosi a Sulmona (Aq).

Dalla fine del 2012 la compagnia comincia a lavorare a più progetti di vario genere e nasce così lo spettacolo “Anche i Pink Floyd possono sbagliare” scritto ed interpretato da Alessandro Martorelli cofondatore con Virgilio Scafati della compagnia.

A settembre 2013 è la volta di Virgilio Scafati di portare avanti un progetto nuovo e diverso dagli altri finora rappresentati, nasce quindi “Doppie punte”, due atti che alternano momenti di ilarità ad altri altamente drammatici.

Ho dimenticato qualcosa!?

V. Perfetto, le tue informazioni erano esatte.

W. Bene, ora Puoi farci una sinossi di “Doppie punte”?

V. Il primo atto si intitola “Era perfetta” e racconta di una giovane ragazza che si presenta al cospetto di un altero e tracotante selezionatore per un colloquio di lavoro presso una finanziaria. Inizialmente sembrerebbe che la giovane debba venire soverchiata dai modi di fare del selezionatore ma le sue risorse le permettono di capovolgere la situazione anche grazie all’inattesa collaborazione di un simpatico barista dall’aria spensierata ma che ricorda un po’ il grillo parlante di Collodi. L’atto si chiude con un “piccolo” colpo di scena e con il selezionatore lasciato a fare i conti con la propria personalità fanciullesca.

Il secondo atto si intitola “Un bene dell’anima” si svolge nel retrobottega di una parrucchiera dove una donna di mezza età, nata e cresciuta in una borgata romana, è in attesa che la sua amica Sabrina, occupata con un’altra cliente, possa dedicarsi a lei. Nell’attesa nasce un falso monologo in cui Ornella, la protagonista, ripercorre un po’ la sua vita raccontandola alla sua amica coiffeur e tra momenti di euforia e qualche depressione tira un po’ le somme dei suoi primi cinquant’anni ma non immagina che il finale le riserverà una amarissima sorpresa.

W. Della compagnia abbiamo parlato ed accennato allo spettacolo, ora parlaci un po’ di te, quando e come sei stato contagiato dalla passione per il teatro

V. da bambino ho visto tanto teatro in televisione. Il venerdì su RAI2 c’era sempre una commedia (altri tempi) ed io me le guardavo tutte, comiche e drammatiche. Poi intorno ai 13 anni, durante le vacanze estive, ho visto alcuni miei amici più grandi fare uno spettacolo in piazza; ne rimasi folgorato tanto che l’anno successivo feci di tutto per essere anche io sul palco in piazza. Infine all’età di 22 anni più o meno, fui chiamato da un collega a far parte di una compagnia amatoriale dell’azienda in cui lavoro e da allora, salvo qualche pausa di riflessione, non ho più smesso. 

W. Quando assegni un ruolo su cosa basi la scelta

V. mi piacciono molto le scommesse, cioè vedo una persona che mi ispira, mi piace e penso che potrebbe fare un determinato ruolo e cerco di raggiungere l’obiettivo. A volte vinco altre volte pareggio… Poi ci sono attori della mia compagnia che conosco da troppi anni e so già che in un certo ruolo potrebbero fare faville.

W. Come vedi la figura dell’attore nella realtà quotidiana, come può contribuire all’interno della società?

V. Consiglio a tutti di provare almeno una volta a fare l’attore; è meglio di una seduta dallo psicologo. Recitare fa bene alla mente e credo che il mondo e la società possono solo guadagnarci ogni volta che qualcuno decide di fare l’attore.

 

W. Il regista ha delle responsabilità non solo verso gli attori ma anche nei confronti del pubblico, è vero secondo te?

V. si, ma fino ad un certo punto. Non bisogna fossilizzarsi troppo con l’idea di pubblico. Uno spettacolo si può fare anche davanti ad un solo spettatore ma soprattutto non bisogna “prostituirsi” cioè cercare il gradimento e l’applauso a tutti i costi. Se si crede in un testo si deve portare in scena anche rischiando critiche feroci o un flop di pubblico.

W. il classico sogno nel classico cassetto?

V. un sogno solo?  ne avrei tanti piccoli e grandi. Vorrei fare ,come regista ed attore, “E fuori nevica” di Vincenzo Salemme ma lui non concede a nessuno i suoi testi e questo lo rispetto ma non lo capisco. Mi piacerebbe anche poter fare “Rumori fuori scena” ma con la scenografia originale su due piani. Ma forse la cosa che mi piacerebbe di più è sentire un giorno qualcuno che mi ringrazia per averlo avviato al teatro.

W. Bene ti ringrazio , ti lascio alle prove, ma prima vogliamo ricordare l’appuntamento ai lettori di Detti e Fumetti?

V. Ma certamente, lo spettacolo sarà al teatro Duse via Crema n 8 (Zona Re di Roma) con la commedia “Doppie punte”. Dal 26 al 29 settembre ore 21, domenica ore 18

[info: 06.70305976 340.6485291.] Vi aspetto, ed aspetto te caro Willy!

W. Non mancherò all’appuntamento!

[Dario Santarsiero per Detti e Fumetti-sezione Teatro – articolo del 27 settembre 2013]

Willy e le compagnie teatrali amatoriali

Cari amici oggi voglio parlarvi del volto nascosto del teatro: Le compagnie amatoriali.

Fatto salvo quelle messe su per far ridere parenti e amici, sono una vera e propria risorsa, nascosta ma molto importante. Nascono dalla passione di persone che amano il teatro ma che per svariati motivi non lo hanno trasformato in una professione. E forse, è stato meglio così. Proprio perché non dipendono, dal punto di vista economico da grosse produzioni che pretendono modifiche al copione o impongono quell’attore piuttosto che un altro, possono scegliersi sia gli attori che i copioni. I registi e, qui non c’è nessuna differenza tra amatoriali e i cosiddetti professionisti, sanno magistralmente guidare la compagnia verso il successo dello spettacolo o verso il fallimento, come del resto fanno gli affermati.

Questo non significa che essere regista di una compagnia amatoriale, sia tutto rose e fiori, anzi il più delle volte ci si deve barcamenare tra scogli di vario genere, dalla malattia “prime donne” per esempio. Ne sono colpite e colpiti, anche gli uomini non fanno eccezione, almeno un paio in ogni compagnia. La prima conseguenza è una continua rivalità, coinvolgendo la compagnia e che finisce, se non fermata in tempo, ad una sorta di schieramento, i Chiariani e gli Andreani; cioè nella compagnia si formano due schieramenti, chi parteggia per Chiara e chi per Andrea.

Provocando sguardi torvi e incomprensioni che sfociano inevitabilmente in litigi.  Questa malattia non provoca problemi solo dietro le quinte, anche sul palco, perché non si sa mai chi ci può essere tra il pubblico questa sera! C’è il problema a volte molto difficile da superare quello del rischio “divorzio”. L’altro coniuge che tollera questa bizzarria del teatro, come una cosa che si risolverà nel giro di poco tempo, etichettandola come: ”Tanto si stancherà presto!”. Scopre invece che non è così; arrivando quindi al fatidico bivio: “O me o loro!”.

Di solito questo avviene a poche settimane dal debutto, provocando agitazione e gastrite al regista, che se la situazione volge al peggio deve trovare una sostituzione valida altrimenti salta lo spettacolo. Se da un lato il problema economico non ha rilevanza dall’altro lato ce l’ha. La compagnia si autofinanzia e anche questo problema confluisce nella voce divorzio. “Perché non solo sottrai  tempo alla famiglia con queste sciocchezze, ci butti anche i soldi sopra!”.

Di conseguenza almeno rientrarci con le spese è prioritario se si vuole evitare di riformare ogni volta il gruppo per le inevitabili defezioni che l’aut-aut impone. Vincere la diffidenza degli impresari, non è difficile, basta garantirgli un fisso a sera, quanto quella degli spettatori, passata la prima e seconda serata coperta per la maggior parte da amici e parenti, con le altre, in media lo spettacolo resta in piedi per quattro cinque serate, ci si affida al passaparola, e questo come si può ben immaginare, non lascia molti margini di tranquillità. Ecco per quale “periglioso mare” naviga la compagnia. Ma nonostante tutto, riescono a portare, non sempre a buon fine lo spettacolo. Tutto questo per sottolineare le difficoltà che la maggior parte del pubblico ignora. Etichettando le compagnie amatoriali come un semplice passatempo.

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – sezione Teatro -articolo del 27 settembre 2013]

[Illustrazioni di Filippo Novelli] – tutti i diritti riservati