Lettrici e lettori di DETTI E FUMETTI oggi vi parleremo del BOSS.
Ricordo stavamo decidendo i brani da insegnare ai ragazzi della Pursue quando Filippo mi disse: “Un tutor rock che si rispetti non puo’ non insegnare un brano del Boss. Fu così che nacque un nuovo capitolo di STORIA DI UNA CANZONE, il testo della masterclass della Orchestra giovanile che seguivo con Filippo ed altri colleghi. Un nuovo capitolo di STORIA DI UNA CANZONE è pronto per voi e presto entrerà a far parte della raccolta che abbiamo iniziato due anni fa e che pubblicheremo insieme ai poster, alle t-shirt e ad alcune partiture per orchestra andando a delineare un nuovo concept per cui DETTI E FUMETTI si è fatta conoscere nel web.
Bruce Springsteen- illustrazione di Filippo Novelli
A volte le strade delle canzoni non perseguono una linea retta, ma seguono altre traiettorie. La provi e riprovi, da solo o nello studio o con la tua band, pensi che sia perfetta per essere inclusa nel tuo nuovo album, ma poi viene misteriosamente tolta dalla tracklist finale per essere poi pubblicata come b side di un singolo, o per riemergere in qualche box commemorativo di quell’album come gustoso extra. Oppure all’improvviso vengono donate ad altri artisti amici che combinazione stanno registrando il loro disco nella sala accanto la tua.
E’ quello che è accaduto per “Because the night” uno dei brani più amati di Bruce Springsteen che invece di comparire in “Darkness in the edge of town” comparve invece nell’album “Easter” di Patti Smith uscito il 3 marzo del 1978.
Gli album uscirono a poca distanza l’uno dall’altro e galeotto fu Jimmy Iovine l’engineer che si occupava di entrambi gli album.
Il brano fu il primo che Bruce registrò nel primo giorno di session dell’album ed aveva solo una linea vocale ed un ritornello.
Afferma Springsteen:
“Sono davvero contento che sia giunto a lei tramite Iovine, se non fosse stato cosi magari sarebbe rimasto in qualche cassetto, sono un grande ammiratore di Patti. L’idea di una collaborazione fu fantastica. (Il brano di Springsteen usci poi in qualche suo box set di rarità).
Racconta Patti Smith:
“Non mi interessava cantare brani di altri; ogni volta in studio Iovine mi chiedeva: “Allora hai ascoltato il brano di Bruce? Andiamo da te ad ascoltarlo? e così per giorni e giorni. Nel 1978 costava molto telefonare a qualcuno che fosse molto distante. Fred Sonic Smith stava a Detroit e mi chiamava una volta a settimana, Un giorno ero in perenne attesa, ero frustrata mentre aspettavo, le 7 di sera, le 8 di sera..niente e cosi mi misi a sentrie questo dannato nastro di Bruce. Pensai subito che sarebbe stata una hit; era nelle mia chiave vocale, è un anthem, ci dovevo solo aggiungere qualcosa di mio, e cosi è stato; ho solamente descritto l’attesa della sua telefonata.
Fred mi chiamò poi a mezzanotte proprio quando fini di scrivere il testo che recita:
“Have I doubt whan I m alone/ Love is a ring, the telephone”,
Tornai in studio e la incidemmo in 2 giorni.
Da notare l’uso della parola Ring che ha il doppio senso di telefonata e anello, dunque unione tra due persone.
Ancora oggi nel 2024 il brano è sempre in setlist nei concerti di Bruce e Patti ed è sempre un momento topico dei loro live show.
[Fabrizio Fontanelli per DETTI E FUMETTI- SEZIONE MUSICA- ARTICOLO DEL 20 OTTOBRE 2024]
Da oggi i MARDI GRAS segnano la loro storia con un fantastico libro fotografico MADRI GRAS – ROAD BOOK che raccoglie i migliori scatti di alcuni tra le piu’ affermate/i fotografe/i del panorama italiano: Mario Belfiore, Daniele Bellucci, Giovanni Canitano, Roberta D’Orsi, Walter De Moja, Roberta Gioberti, Domenico Maddaloni, Alberico Mattei, Andrea Mercanti, Albena Nikolova. Ernesto Notarantonio, Paola Schiavoni, Roberto Scorta, Valeria Scorza, Sara Terreni. Il progetto grafico e la copertina sono stati realizzati da Filippo Novelli del Graphic Studios EFFENNE.
Un libro che traccia il percorso della loro storia, sempre in crescendo, facendoci entrare nelle stanze del phatos e della energia sfavilante della band.
Road book è disponibile fin da subito su Amazon in un click QUI,
E’ uscito in occasione del loro fantastico concerto al SUMMER FESTIVAL di ROMA che si tiene ogni anno al KILL JOY, locale storico di Roma, dove hanno suonato le migliori band del panorama italiano e non solo.
“I Mardi Gras gruppo romano che prendono il nome dall’ultimo album in studio dei Creedence Clearwater Revival, nome del Carnevale di New Orleans, i Mardi gras strizzano l’occhio alla tradizione dei song writers americani ed irlandesi
Influssi dell’irish rock, del country riecheggiano nei loro pezzi piu’ noti
Politicamente impegnati sono noti per le due canzoni di protesta dei “The wait” (contro la pena di morte) e “Scarecrow in the snow” (sulla paura del diverso indotta dai politici per scopi elettorali) ambedue le canzoni sono incluse nel Songs of the times di Neil Young, una raccolta di “peace and protest songs”
Li ha portati alla ribalta anche il brano “Kiss the night” sulla violenza sulle donne. Tuttavia a temi seriosi i Mardi GRas alternano anche altri piu’ leggeri in chiave ballad e pop -rock rimanendo sulla cresta dell’onda da svariati lustri. Rimanete in contatto per conoscere il calendario dei loro prossimi concerti e non fateci sfuggire il loro ultimo libro ROAD BOOK.
Stay tuned popolo del rock!
[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione MUSICA – articolo del 19 luglio 2023]
Lo guardiamo e diciamo: “Ma dove diavolo sei stato?” [Dave Ghrol]
Il bisogno di ogni essere umano è lasciare il segno in questo breve passaggio sul pianeta che chiamiamo vita. Ognuno cerca di diventare memorabile secondo i propri valori e da fattori della vita che lo spingono: alcuni di noi educano i nostri figli perché siano persone migliori, oppure contribuiamo facendo del bene al prossimo e chi ha più doti lascia ai posteri le proprie opere d’arte. È inevitabile, ciascuno di noi ha un inconscio desiderio di vivere oltre la vita restando nella memoria attraverso le proprie gesta e propri lasciti.
Amo me stesso più di te,
so che è sbagliato ma cosa dovrei fare?
[Nirvana]
Sono trascorsi anche gli anni ’80, nel mondo del rock regnano il metal, l’hard rock, il glam rock e non tutte le rockstar saranno gemme che poi resteranno nella memoria. La cosiddetta generazione X è già qualche anno che sta vivendo una sorta di insofferenza, di angoscia: il mondo sta cambiando con un’accelerazione che sta cominciando a farsi sentire e questa condizione genera un senso di smarrimento. Forse è questo il prologo giusto che ci dà una chiave di lettura a quegli anni ’90 che saranno esplosivi.
Una decade che ci ha regalato i Radiohead, i Placebo, i Muse, ma soprattutto il sound di Seattle etichettato come Grunge. C’è chi dice che Alice in Chains, Soundgarden e Pearl Jam, per citarne alcuni, abbiamo distrutto il rock.
Faccio parte di quella cerchia che, invece, ha goduto di questo tsunami che ha destrutturato tutte le logiche dei precedenti 40 anni, con strafottenza e senza nessun sogno di gloria.
È stato come l’attentato a Kennedy ma in versione musicale…chi c’era ricorderà senz’altro l’istante in cui ha ascoltato la canzone per la prima volta (Smells like teen spirit)…era trascendentale
[Jessica Hopper]
Sebbene non fossero autoctoni di Seattle e non fossero tra quelli che giravano nei club insieme ai Malfunkshun, ai Melvins ed ai Green River, coloro che contribuirono in modo sostanziale a rendere quel movimento un fenomeno mondiale furono loro: i Nirvana. Kurt Cobain, Kris Novoselic e Chad Channing con il loro furgone sconquassato, pantaloni strappati e magliette strusciate arrivavano da Aberdeen, con tappa all’università di Olympia e non pensavano che i loro sogni di fama sarebbe spediti nell’iperspazio all’ennesima potenza. Già di per sé aver questo tipo di ambizioni non era ben visto dalla controcultura di Seattle, del punk rock e dintorni; lassù, nel nord ovest degli Stati Uniti e lontano dallo show business di Los Angeles, New York e Boston, se eri un musicista dovevi accontentarti dei club malmessi del posto.
Era una controcultura che poneva le basi nel post punk e ‘fanculo a tutto ciò che erano soldi e successo, ‘fanculo all’industria musicale e tutto ciò che ruotava attorno. Purtroppo per loro Bruce Pavitt con la sua Sub Pop ci aveva visto lungo e sapeva che ben presto il grunge sarebbe stato un vulcano in procinto di esplodere. Le prime schermaglie si erano già avvertite con i Soundgarden di Chris Cornell, con i Mother Love Bone di Andrew Wood e successivamente con i Pearl Jam di Eddie Vedder. Ma nessuno come i Nirvana scosse il mondo musicale a quei livelli.
La musica è una forma d’arte
che prospera sulla reinvenzione
[Krist Novoselic]
Quando la Geffen li mise sotto contratto erano consapevoli che di fronte avevano un fenomeno che avrebbe potuto addirittura scavalcare la notorietà del crack Guns’n’Roses. Il video di Smells like teen spirit arrivò sul tavolo di MTV ed Amy Finnerty, produttore esecutivo della giovane e seguitissima emittente TV, si giocò la faccia chiedendo di metterlo in scaletta.
Kurt, Kris e Dave Ghrole (nel frattempo Chad era stato cassato) partirono a tutta velocità sfidando l’industria musicale come uno shuttle sfida l’atmosfera per giungere nello spazio. In fin dei conti era quel che desiderava Kurt: una infanzia e adolescenza conflittuale segnata dai disastri familiari pretendeva un riscatto e quel successo sarebbe stata la giusta ricompensa. Questo era ciò che voleva durante il periodo universitario ad Olympia, da cui si era distaccato perché loro rigettavano ciò che era il mondo che odiavano. Kurt, invece, pur avendo lo stesso sentimento contro la cultura del far soldi velocemente (yuppies), della politica reganiana e dell’industria delle major aveva in mente altro: per cambiare le cose dovevi stare dentro al Sistema e cambiarlo dal suo interno. Un po’ come Neo in Matrix per capirci. Contro ogni sua aspettativa, compresa la propria, divenne in breve tempo il Messia di tutta quella generazione che non trovava più punti di riferimento nella Società, quei reietti o supposti tali sparsi qua e là nell’intero pianeta.
La loro musica era un mix micidiale e mai ascoltato: radici di un punk dai ritmi rallentati e accordi semplici, la potenza del metal, ma anche quelle strizzate d’occhio pop che facevano in modo che la loro musica entrasse nella mente.
Ridono di me perché sono diverso,
io rido di loro perché sono tutti uguali
[Kurt Cobain]
Dietro a quel look trasandato e silenzioso, Kurt Cobain nascondeva un genio musicale che molti hanno paragonato a John Lennon. La differenza è che John Lennon ha lasciato il segno nei suoi 17 anni di onorata carriera, così come altri mostri sacri del rock: Kurt Cobain in appena 5 anni è diventato una sorta di divinità che tutt’oggi viene venerata. L’album del successo globale fu Nevermind che li proiettò in tour in tutto il mondo.
Così come Icaro con il suo volo, però, anche Kurt dovette soccombere alle pressioni mediatiche ed il suo atteggiamento dicotomico con la musica. I demoni della sua prima gioventù erano lì e si manifestavano con un continuo dolore allo stomaco e frequenti depressioni. Kurt li combatteva, ma avevo scelto il peggiore degli alleati: Mr Brownstone (modo gergale per chiamare l’eroina) con cui aveva una relazione da tempo. Stessa sorte era toccata alla donna di cui si era follemente innamorato, Courtney Love delle The Hole.
John Lennon aveva diciassette anni di esperienza negli studi di registrazione, Prince trentotto, David Bowie quarantanove. Kurt solo cinque
[Danny Goldberg]
La vena artistica di Kurt Cobain si sciolse di fronte al calore dei suoi conflitti e di quella inaspettata notorietà che fu la causa del suo controverso decesso. Di lui ci rimangono le sue canzoni contenute in appena quattro album di inediti ed un talento bruciato troppo prematuramente di fronte all’oracolo del successo. Mi piace ricordarlo con quel suo sguardo penetrante che, insieme a quel silenzio rotto dal suo rauco sospiro, concluse l’interpretazione di Where did you sleep last night in quella che fu una delle ultime apparizioni in pubblico dei Nirvana con l’Unplugged in New York.
C’è chi lascia il segno come un’orma del proprio piede sulla sabbia e c’è chi come Kurt Cobain ha scolpito la pietra della cultura lasciando il proprio segno per l’eternità.
Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock. Spero vi piaccia. Lasciate i vostri feedback perche’ diventerà un libro. Raccontateci chi è stata la vostra rockstar preferita. Chissà nel prossimo volume potreste trovarla su DETTI E FUMETTI.
Ed ora come di consueto vi lasci tre brani dei Nirvana da mandare come sottofondo della vostra vita.
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