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PRO PURSUE RESPIGHI ORCHESTRA -IL PROGETTO DELLA YOUNG ORCHESTRA

Cari lettori di DETTI E FUMETTI iniziamo oggi il racconto dell’avventura della PRO, Pursue Respighi Orchestra, la Young Orchestra autogestita e fondata dagli alunni della scuola media sezione musicale Respighi di Roma.

Giorno dopo giorno vi racconteremo del loro entusiasmante progetto di mantenere viva la loro Orchestra, al di la della sua naturale scadenza del ciclo del triennio delle medie e della loro volontà di organizzare un concerto nell’arco di un anno dalla loro fondazione.

Grazie a questo blog vi sarà anche un momento di approfondimento tecnico. Scriveremo infatti di come organizzeranno le prove, le registrazioni e di come prepareranno il grande concerto finale. Ma non solo: capiremo insieme come e perchè sceglieranno i brani del repertorio, come scriveranno le partiture, come effettueranno – cosa interessantissima – la Instrumental Rotation (l’alternanza nell’imparare e suonare nuovi strumenti); sarà interessante osservare anche come avverrà l’integrazione di nuovi elementi nell’orchestra stessa. L’orchestra parte infatti dalla aggregazione di quattro sezioni: pianoforti, flauti, chitarre e violini.

Sarà molto interessante vedere come si innesteranno altri nuovi strumenti a partire dalla sezione “elettrificata” di batteria elettronica, basso, chitarra elettrica e sintetizzatori.

RESPIGHI OFF

Ogni Orchestra ha bisogno di grandi spazi per le prove, per le registrazioni e per i concerti. la PRO ha tre “residenze”, i RESPIGHI OFF (OFF perchè sono una sorta di spin off della Residenza Madre che è la loro ex scuola RESPIGHI).

Esempio di SALA PROVE per la MUSICA d’Orchestra

Ogni Residenza ha uno scopo diverso:

RESPIGHI OFF-SALA 1: per effettuare le prove della intera orchestra e i concerti.

RESPIGHI OFF – SALA 2: per effettuare le prove delle varie sezioni ( fiati, archi, chitarre e sezioni ritmica)

RESPIGHI OFF – SALA 3: per effettuare le registrazioni.

Al momento sono state già definite 2 su 3 nel quartiere d’origine della Residenza Madre ( la Scuola):

L’orchestra vivendo le Residenze – RESPIGHI OFF diventa un vero e proprio Esperimento Sociale Culturale di Quartiere, creando una sinergia con le scuole ed i teatri di zona, oltre che per l’indotto – i negozi specializzati come LIBRERIE E NEGOZI DI MUSICA inclusi- con i luoghi culturali della zona.

Nelle Respighi-off la nostra Young Orchestra (sebbene ha nelle sue premesse fondative l’autogestione) avrà anche la possibilità di essere affiancata da maestri di musica che aiuteranno le ragazze/i nel progresso della loro tecnica musicale, nella registrazione dei brani ed infine alla preparazione dei concerti.

L’orchestra, si è prefissa anche l’obiettivo di crescere in numero; a tal fine effettuerà delle vere e proprie Audition ogni settembre per far entrare sempre nuovi elementi.

IL SIGNIFICATO DEL NOME E DELL’ ACRONIMO

La PURSUE RESPIGHI ORCHESTRA ha nel nome la sua mission, vale a dire la volontà di proseguire (PURSUE significa CHE PROSEGUE) a vivere e suonare oltre il suo naturale fine ciclo, per non cadere nell’errore delle precedenti classi di disperdere le competenze ottenute in tre anni di studio; L’obiettivo fondante è al tempo stesso quello di non disperdere quel senso di appartenenza, di amicizia e legame che la passione per la musica ha creato in questi tre anni vissuti insieme.

Da qui il grande valore sociale e culturale insito nel progetto della nostra young che la rende un esperimento unico ed originale nel quartiere ( mai in passato la Respighi aveva generato un gruppo che le desse continuità).

PURSUE RESPIGHI ORCHESTRA ha deciso di chiamrsi così anche perchè PRO è un acronimo che, nella sua semplicità e brevità funziona bene e significa molto per le ragazze/i dell’orchestra. Vi raccontiamo perchè:

PRO che posto davanti ad un verbo significa ESTENDERE, PROSEGUIRE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO (progredire, proseguire, promuovere)

PRO del “buon pro ti faccia, che ti giovi, che ti sia utile” perchè questa esperienza sia utile alle ragazze/i per il loro futuro.

PRO del “quid pro quo”, cioè in un altro luogo, perchè l’orchestra è stata rifondata in un luogo diverso da quello della sua origine , cioè la scuola.

PRO del prosit, atto del brindisi nato nella antica Grecia come usanza di riunirsi per declamare discorsi o canzoni o musiche in forma improvvisata.

PRO dall’inglese professional come locuzione da affiancare ad una attività per indicare professionale, con esperienza, in quanto è una orchestra che, se pur giovane, ha già tre anni di studio alle spalle.

LA PROGETTAZIONE DEL LOGO E DELLE DIVISE DELL’ORCHESTRA

La YOung Orchestra ha studiato ogni particolare della sua costituzione. Non poteva mancare il logo. Si è voluti partire dal logo originario della ORCHESTRA RESPIGHI a cui le ragazze/i erano tanto legati (in cui compaiono giustapposti i 4 strumenti dell’orchestra originaria)

LOGO ORCHESTRA RESPIGHI

La costruzione del nuovo logo si è ottenuta aggiungendo tridimensionalità e l’acronimo PRO e mantenendo i 4 strumenti fondativi: Piano, Violino, Flauto e Chitarra. Inoltre si è cercato un simbolo che rappresentasse l’unione del gruppo.

L’abbiamo trovata studiando Le dieci calligrafie di Norio Nagayama: L’immagine del cerchio rappresenta la prima delle stazioni che l’uomo deve percorrere per diventare unità.

Il cerchio è la O di Orchestra che si ripete e moltiplica per diventare il cerchio della P PURSUE e della R di RESPIGHI cosi’ da formare l’acronimo PRO.

Dalle lettere partono le scie dei 4 strumenti che disegnano il logo della nostra Young Orchestra PURSUE RESPIGHI ORCHESTRA.

LOGO PRO REALIZZATO
DA FILIPPO NOVELLI
(WHITE VERSION)
LOGO PRO REALIZZATO
DA FILIPPO NOVELLI
(BLACK VERSION)

L’AVVENTURA DELLA PURSUE RESPIGHI ORCHESTRA E LO STORYTELLING DI DETTI E FUMETTI

Il format che creeremo per seguire l’avventura della Orchestra PRO avrà un taglio nuovo anche per chi ci leggerà; fin dal primo incontro della YOUNG ORCHESTRA PRO infatti pubblicheremo delle schede di approfondimento alla nostra maniera, ossia arricchendole con un fumetto.

Racconteranno sia il brano del repertorio dell’orchestra, sia la vita e il contesto storico in cui ha vissuto l’autore del brano. Questo racconto farà da introduzione alla trascrizione e distribuzione delle partiture della orchestra che vi metteremo a disposizione in fondo all’articolo. il progetto si chiama: LA STORIA DI UNA CANZONE

Riuniremo tutti gli articoli prodotti in un libro concept fatto da fumetto + scheda di approfondimento + spartiti, interessante per gli appassionati di musica ma anche per tutti i curiosi.

Non vi resta che entrare a far parte del nostro gruppo di lettori rimanendo in attesa della prima puntata delle avventure delle PRO e della STORIA DI UNA CANZONE.

Buon … ascolto!

[FILIPPO NOVELLI per DETTI E FUMETTI – Sezione Musica – articolo del 10 giugno 2022]

LA STORIA DEL ROCK di STEO

La Storia del Rock di Steo è diventato un libro.

Vi lasciamo la presentazione dell’autore del saggio Stefano Pancari.

Un concept book in cui in un saggio sulla musica si innesta un fumetto disegnato da Filippo Novelli e ci proietta nell’immaginario collettivo dei grandi miti del Rock

per vedere il video fate click

https://youtu.be/hHRptPDx2-E

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – articolo del 17 aprile 2021]

GIORNALISMO TRA TECNICA E PASSIONE! -WILLY il bradipo intervista per detti e fumetti elisa sciuto di aperizeta la rubrica di radio zeta di rtl 102.5

Amici di DETTI E FUMETTI eccoci con una nuova puntata del ciclo sulla professione del giornalismo: GIORNALISMO TRA TECNICA E PASSIONE!. Dopo l’intervista alla vulcanica Margherita Bordino che potete rileggere QUI oggi abbiamo il piacere di intervistare Elisa Sciuto, speaker di APERIZETA la Rubrica radiofonica di RADIO ZETA di RTL 102.5.

Willy: Ciao Elisa, come stai!? È sempre un piacere scambiare due chiacchiere con te!

Elisa: Ciao Willy, tutto  bene! Anche a me fa piacere rivederti!

W: Prima di tutto raccontiamo chi sei ai nostri lettori: nasci a Catania nel 1979, esordisci a teatro nel 1994 e nel 1996 nel cinema nei film I briganti di Zabut di Pasquale ScimecaCuore scatenato di Gianluca SodaroCasa Eden di Fabio Bonzi, Agente matrimoniale di Christian Bisceglia.

Quando ti trasferisci  a Roma, prosegui la tua carriera di attrice recitando per la tv in La squadraCarabinieriAgrodolce e per spot pubblicitari. Dopo aver conseguito il master in giornalismo, continui come conduttrice

Nel 2009 conduci il programma sportivo Aspettando Il processo di Biscardi, affiancando inoltre Aldo Biscardi nel programma Il processo di Biscardi.

Dal 2010 realizzi e presenti il programma Nonsolocinem@sul canale La3 di Sky,

Da ottobre 2011 conduci il notiziario serale di Teleroma 56, e sempre nel  2012 recensisci in anteprima i film in uscita nelle sale sull’emittente radiofonica R101.

Dal dicembre 2013 conduci MyWay di Autostrade per l’Italia S.p.A., notiziario sulla viabilità nazionale in onda su Sky TG 24 Sky Meteo 24.

Nel 2017 passi al programma “L’aria che tira”, in onda su LA7, per poi entrare in Mediaset, dove lavori prima per “Supercinema”, poi per “L’Almanacco del TG4”.

Sempre nello stesso anno inizi l’esperienza radiofonica con Radio Zeta, l’italiana di RTL 102.5, dove conduci “Aperizeta”, per il quale ti aggiudichi il premio Microfono d’Oro 2018

W: Complimenti, a quanto vedo hai un ottima carriera alle spalle!

E: Ti ringrazio, cerco di dare tutta me stessa in quello che faccio!

W: Oltre ad aver condotto il programma sportivo Aspettando il processo di Biscardi  hai affiancato lo stesso  Aldo Biscardi nel suo programma Il Processo di Biscardi. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

E: Il processo di  Biscardi, mi ha lasciato il meraviglioso Aldo Biscardi. Uno dei pochi che secondo me, conosceva il calcio. Un professionista incredibile, mi ricordo che quando facevamo riunione di redazione, scriveva quattro ore di scaletta su di un foglio da solo, c’eravamo tutti, però era lui, che dettava le linee guida, se le  scriveva a penna, una roba incredibile! Un uomo che non credo che ne faranno ancora. Mi manca tanto.

W: Parlaci ora della tua esperienza radiofonica con Radio Zeta RTL 102.5, dove conduci il programma AperiZeta per il quale, ti sei aggiudicata il microfono d’oro nel 2018

E: Si è vero, Mi sono aggiudicata il microfono d’oro ma sinceramente, non so come abbiano fatto, secondo me, in giuria si sono sbagliati, volevano darlo ad un altro e l’hanno dato a me! (Qui scoppia a ridere) Molto divertente. Come ti dicevo prima, per me la Radio è libertà allo stato puro, mi da la possibilità di essere me stessa. Anche perché se in Radio non sei te stessa, gli ascoltatori se ne rendo conto e non ti apprezzano! Ovviamente non ci arrivi subito, è un percorso che intraprendi gradualmente. Ricordo che all’inizio ero terrorizzata, avevo questo microfono davanti ed ero quasi impacciata; la mia  direttrice Federica Gentile, una donna veramente incredibile, ha capito le mie potenzialità e a settembre di quattro anni fa, quando iniziai, mi mise a condurre da sola dalle 18:00 alle 21:00 il sabato e la domenica, AperiZeta. Dandomi così una fiducia enorme! E questa fiducia dopo due o tre volte che andavo sola, mi ha permesso di sbloccarmi e nel frattempo di diventare una professionista. Devi sapere che la Radio è una sorpresa continua, ogni giorno cambia, c’è improvvisazione allo stato puro, non hai mai una scaletta, tranne quella della musica quindi, non sai mai i messaggi che arriveranno dagli ascoltatori, non sai mai le notizie che magari usciranno nel frattempo nel programma. Quindi, la bellezza della Radio è la sorpresa, il continuo imparare. Guarda,  una cosa è certa, non smetti mai di imparare in Radio!

W: Quando duettate per radio quanto c’è di spontaneo e quanto di scritto?

E: Quando duetto, non c’è come ti dicevo, nulla di scritto. E’ tutto spontaneo, ed è questo il bello della Radio. Se non lo fosse, si perderebbe l’autenticità; quindi è tutto estemporaneo

W: Cosa ti senti di dire alle ragazze che  vogliono avvicinarsi al mondo della radio come conduttrici?

E: Di essere se stesse, molto umili e di avere tanta pazienza. Ascoltare tanta Radio, tutte le Radio. Dove puoi cogliere qualcosa da tutti gli speaker, secondo me. E soprattutto ascoltare la musica. E’ importante avere una cultura musicale per poterne parlare. E uno appassionato che ti  sta ascoltando se ne rende conto se tu conosci la musica oppure no

W: Il tuo sogno nel cassetto?

E: (Ridacchia) Non ha nulla a che vedere con il mio lavoro, “Vivere per lavorare o lavorare per vivere!?” Come diceva la canzone dello Stato Sociale. Il mio sogno nel cassetto è di girare tutto il mondo, perché amo il viaggio, magari unendo l’utile al dilettevole: lavorare in giro per il mondo e fare reportage giornalistici o collegamenti in Radio, perché no!?

W: Bene cara Elisa è stato un vero piacere, a presto,  continueremo a seguirti su AperiZeta RTL 102.5!

E:Grazie a te Dario, continuate ad ascoltare Radio zeta RTL 102.5!

[Willy il Bradipo alias Dario Santarsiero per  Detti e Fumetti-sezione giornalismo – articolo del 8 novrembre 2020]

Mardi Gras, quando il suono si trasforma in disegno- L’intervista di willy PER DETTI E FUMETTI

Amici di DETTI E FUMETTI apriamo questo nuovo ciclo

di interviste a musicisti

incontrando i Mardi Gras a Roma, nello studio di registrazione della band. Non è stato facile trovare il tempo per questa intervista dato il grosso impegno del gruppo nel preparare il prossimo album. Si tratta del quarto lavoro in studio, dopo “Drops Made” (2006, Goodfellas), “Among The Streams” (2010, Route61 Music) e “Playground” (2015, Aerostella/Self). Ad accogliermi c’è Fabrizio Fontanelli, fondatore e chitarrista acustico della band. Possiamo iniziare la nostra chiacchierata.

W.: Ciao Fabrizio, so che siete impegnati nella realizzazione del vostro quarto album!

F.«Ciao a te, Willy, e a tutti i lettori di “Detti e Fumetti”! Sì, in questi giorni stiamo ascoltando i vari mix del nostro nuovo album. Qualcosa di veramente nuovo per noi Mardies, ma è bello avventurarsi in ambienti inesplorati. Sarà qualcosa di speciale».

W. Perché la scelta di presentare “You Do Something To Me” con un video animato?

F. «In realtà è da tempo che ci stuzzicava l’idea. Certo, non è facile realizzare un video di animazione, ma abbiamo avuto la fortuna di creare un gran bel team con Matteo Valenti della Filtro Video Production di Genova – che ha già al suo attivo svariati lavori animati – e Giampiero Wallnofer della Scuola Internazionale di Comics a Roma.

Abbiamo collaborato in pieno lockdown e, tra mille difficoltà, Matteo e Giampiero hanno dato vita a questo viaggio partendo dall’idea di un dardo scagliato verso l’amore tanto agognato.

È stato un lavoro minuzioso e complesso, soprattutto in considerazione del periodo complicato nel quale è nato. Ma, anche tra un crash e l’altro di computer, il nostro “racconto” ha visto la luce».

W. Una band italiana incontra una cantante che viene dall’Estonia. Come è nato l’incontro con Liina Ratsep?

© Foto di Paola Schiavoni

«Ti dico la verità: è stato più semplice di quanto si immagini. Liina ha risposto a un nostro annuncio per un’audizione e, nel momento in cui ha “affrontato” i nostri brani… beh, ci siamo subito emozionati! Non poteva andare diversamente».

W. Fabrizio, vuoi presentarci il resto della band e raccontarci la sua formazione?

«Quanto tempo abbiamo? Scherzo, ma neanche troppo. È una storia che attraversa molti anni, tanti palchi (nazionali e non), numerosi musicisti che si sono avvicendati nella nostra band contribuendo, ognuno, in modo importante. Il filo conduttore dei Mardi Gras, però, rimane lo stesso: osservare oltre i propri confini territoriali e sonori. Oggi la band è composta da Liina Ratsep alla voce, da me – Fabrizio Fontanelli – alla chitarra acustica, da Alessandro Matilli (piano e tastiere), Carlo Di Tore Tosti (basso), Fabrizio Del Marchesato (chitarra elettrica) e Valerio Giovanardi (batteria)».

© Foto di Paola Schiavoni

W. Fare musica oggi. Che cosa significa, realmente? 

«È una domanda molto complessa.Parlando per me – ma credo di esprimere il pensiero di tutti – credo che senza musica non potremmo vivere. La musica è un bene primario: creare qualcosa assieme nel nostro box ed esprimerlo poi live. Non è poco».

W. Fabrizio, cosa manca secondo te alle nuove generazioni di musicisti?

F. «Su tutto, credo scarseggi la curiosità. Ma è una componente da estendere oltre la musica. Certo, non in senso assoluto: esistono molte nuove realtà musicali di grande spessore. Come scovarle? Essendo curiosi, appunto. Inoltre credo che manchi il suonare “compatti” in un box creando musica assieme. Molte sale prove hanno chiuso o non se la passano bene, anche a causa della pandemia. E la musica ne risente».


W. Bene, è stato un piacere conoscervi! Aspettiamo l’uscita del vostro nuovo album. Un saluto da parte dei lettori di “Detti e Fumetti”!

F. Un saluto a voi, speriamo di vederci presto live. Intanto, chi vuole conoscerci meglio può trovare tutte le info sul NOSTRO SITO e sui nostri social.

[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI -Sezione Musica -Articolo del 4 ottobre 2020]

PER VEDERE IL VIDEO FATE CLICK SULLA FRECCIA

BIO

I Mardi Gras nascono a Roma. Il nome del gruppo deriva dall’ultimo album in studio dei Creedence Clearwater Revival, che – oltre ad essere il Carnevale di New Orleans – rappresenta un caleidoscopio di musica, colori ed energia. Un percorso, quello dei Mardi Gras, che negli anni li ha fatti evolvere da gruppo acustico a vera e propria rock band “coccolata” dalla stampa italiana e irlandese. I singoli usciti negli ultimi anni con Liina Ratsep alla voce – gli altri componenti sono: Fabrizio Fontanelli (chitarra acustica), Carlo Di Tore Tosti (basso), Alessandro Matilli (piano e tastiera), Fabrizio Del Marchesato (chitarra elettrica), Valerio Giovanardi (batteria) – hanno dato nuova linfa e vitalità alla band, che al momento è in studio per preparare il suo quarto album (in parallelo, ha già pubblicato una manciata di singoli; l’ultimo, in ordine di tempo, “You Do Something To Me”, personale rivisitazione del classico di Paul Weller).
Mardi Gras è una band che ha sempre rivolto lo sguardo oltre confine, approdando sia sul palco dello Sziget Festival (Ungheria) sia negli studi londinesi di Abbey Road per terminare la registrazione di “Playground”, il terzo album. Un disco, questo, masterizzato dalle sapienti mani di Simon Gibson (Beatles, Robbie Williams tra gli altri). Nel corso degli anni sono stati molti gli artisti irlandesi che hanno collaborato con la band: da Liam Ó Maonlaí degli Hothouse Flowers ai cantautori e musicisti Mundy e Mark Geary (con quest’ultimo i Mardi Gras hanno rivisitato due dei suoi
brani più amati). E ancora, tante le band e gli artisti con i quali si sono incrociati i percorsi, umani e professionali: dai Frames di Glen Hansard, a Jack Savoretti da Billy Bragg a Giorgio Canali a Paolo Benvegnù. I live show dei Mardi Gras li hanno veicolati come band «dalla sanguigna passionalità liberata soprattutto dal vivo» (Federico Guglielmi). Inoltre le due canzoni di protesta dei Mardi Gras – “The wait” (contro la pena di morte) e “Scarecrow in the snow” (sulla paura del “diverso” indotta dai politici per scopi elettorali) – sono state entrambe inserite da Neil Young nella sezione speciale del suo sito denominata “Song of the times”, una raccolta di “peace and protest songs” che il cantautore canadese ha stilato dopo l’11 settembre.

IL ROCK E IL SANGUE REALE DEI ROYAL BLOOD -IL CAPITOLO 7 DELLA STORIA DEL ROCK DI STEO

Non ero nato per fare la rockstar, ma era troppo divertente raccontare le verità scomode

[Vasco Rossi]

Il nostro viaggio si conclude nel qui ed ora. Partendo dai ciuffi lucidi e ricchi di gel degli anni ’50 siamo arrivate nella decade che ci siamo lasciati alle spalle un attimo fa. Sono cambiate molte cose ed il cambiamento ha subito un’accelerazione sempre più concitata. Oggi viviamo nell’era della comunicazione, degli smartphone e dei social. La Società si sta spostando sempre più verso l’individualismo e si assottigliano le occasioni in cui ci incontriamo per condividere sogni e ideali.

Provo un po’ di malinconia dei tempi dell’adolescenza in cui scorrazzavamo per le strade con orde di motorini, con lo stereo sulla spalla che si mangiava la cassetta del rocker di turno.

Erano tempi in cui ci ritrovavamo con gli amici nei giardini, eravamo i ragazzi del muretto. Personalmente con i miei amici mi ritrovavo di fronte al Freemusic, un micro negozio che ci regalava tutte le anteprime della musica; il negoziante ci teneva d’occhio mentre rovistavamo tra pile di cassette e vinili alla ricerca del nostro tesoro nascosto.

Oggi scarichiamo le playlist; nella musica vince il brano più orecchiabile ed si perde tutto il lavoro corale che c’è dietro ad un album; non ci si fa piu’ caso.

Belli i tempi dei Concept Album come The Wall dei Pink Floyd!

Oggi se guardi la classifica dei brani sulle APP è un marasma di hip hop, trap e pop con apprendisti stregoni che si spacciano per rockstar.

Allora avevano predetto bene quelli che dicevano che il rock sarebbe morto?

La musica è un po’ come un origami; se la spieghi (rimane solo) un foglio.

[Caparezza]

Io non penso proprio che il rock sia morto. Leggende viventi e non sono ancora nelle nostre orecchie e nelle radio; artisti come i Led Zeppelin, The Doors, o come i Deep Purple resteranno per sempre nell’etere all’infinito diversamente delle migliaia di meteore di oggi che, fatto il brano dell’estate, spariscono nel nulla.

La musica è arte comunicativa ed è qualcosa di molto diverso dalle centinaia di esperimenti senza spessore che improvvisati musicisti oggi fanno con il loro computer.

Se il pubblico oggi è distratto non bisogna sconfortarsi. Ricordiamoci che molti dei mostri sacri del rock che oggi veneriamo sono partiti dai garage suonando per un pubblico fatto di una manciata di persone. Io credo che altri grandi professionisti emergeranno e potremo presto conoscerli; anzi alcuni di loro già ora staranno suonando in qualche garage, in piedi su una pedana scricchiolante?

Dopo il 2010 sono uscite molte proposte indie che, senza la spinta delle industria musicale, faticano ad avere visibilità; cio’ nonostante qualcosa di buono sta uscendo.

Non vorrei che la mia musica sia un sottofondo, vorrei che fosse l’unica cosa importante, almeno per il tempo in cui la si ascolta.

[David Gimour]

Giusto per fare alcuni nomi: I Nothing but thieves hanno fatto cose interessanti, gli Amazons li ho visti ed ascoltati all’apertura del concerto dei Muse allo stadio di San Siro e potrebbero avere del potenziale, ma soprattutto credo che il gruppo rock del futuro saranno i Royal Blood.

Mike Kerr, bassista e cantante, e Ben Thatcher hanno proposto due album, a partire dal 2013, di ottima fattura.

Tanta energia, tanta gran cassa ed una musicalità che ti entra dentro. Corey Taylor degli Slipknot ha dichiarato che i Royal Blood saranno il futuro del metal, anche se non mi sembra che il loro sound sia di quel genere.

Il loro genere secondo me si avvicina al Garage Rock e fanno sperare che davvero prima o dopo potremo tornare a sentire della buona musica, suonata con strumenti e che si riprenda ad esprimere con essa ideali, energia e passione.

Jimi Hendrix ha cambiato la mia vita. Ogni generazione influenza la successiva e, come conseguenza, la porta indietro nel passato [Robert Smith]

Fin quando esisteranno ideali da esprimere, fin quando ci sarà la forza di opporci ad uno status quo che non onora l’essere umano, ci sarà sempre una controcultura che esprimerà i suoi pensieri e le sue emozioni graffiando delle corde di una chitarra, facendo vibrare la cassa toracica con il basso e sussultare con i colpi di batteria.

L’invito è resistere a quella comunicazione che ci propina un certo tipo di musica, tenendoci stretto il nostro libero arbitrio e la nostra capacità di scegliere; scegliere cosa è meglio per noi, per gli altri ed in assoluto

Personaggi del passato come Janies Joplin, Jimi Hendrix o Jim Morrison non andavano a genio delle Autorità, ma non hanno mai smesso di esprimere il loro libero pensiero, quel pensiero libero come un condor che è capace di volare sopra le candide nuvole, nello spazio e nel tempo.

Non smettiamo mai di essere umani e con la mano tesa al cielo urliamo la nostra voglia di vivere…di vivere il rock!

Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock, la prima serie. Se vi è piaciuto potete trovare il libro su amazon

non un libro come tanti, un libro trasversale che alla parola aggiunge il fumetto.

Ed anche oggi come di consueto vi lascio delle pillole di Rock, del Rock dei Royal Blood. Buon Ascolto e viva il rock!

Royal Blood – Figure it out

Royal Blood – I only lie when I love you

Royal Blood – Little Monster

[STEFANO PANCARI per DETTI E FUMETTI – Sezione MUSICA – articolo del 3 ottobre 2020]

IL NUOVO MILLENNIO ED IL METEORITE CHESTER BENNINGTON- GLI ANNI 2000-LA STORIA DEL ROCK

Non illuderti.

Nessun essere umano ha un contratto a tempo indeterminato con la vita

[Stefano Pancari]

Eccoci nel nuovo millennio, che ormai tanto più nuovo non è.

Con il senno di poi tra millennium bug e scenari apocalittici l’essere umano si conferma abile nel pontificare per poi essere smentito dalla storia che scorre inesorabilmente infischiandosene delle predizioni.

Così come se n’è infischiata di chi ormai profetizzava che il rock era un fenomeno in via d’estinzione.

A prescindere dal fatto che la corazzata di rockstar hanno continuato a riempire stadi e palazzetti, anche il nuovo millennio ci ha regalato nuove perle da ammirare ma soprattutto da ascoltare.

Tra gli astri nascenti c’era un ragazzo che mai nessuno avrebbe pensato che sarebbe diventato un fenomeno acclamato in tutto il mondo, forse nemmeno lui stesso.

La violenza è l’ultimo rifugio dell’incompetente.

[Isaac Asimov]

Sto parlando del classico sfigatello vittima del bullismo, quando in realtà sappiamo benissimo che i veri sfigati sono coloro che i bulli li fanno, imponendosi con la forza e la violenza…provo pena per questa gente che farebbe meglio a fare a pugni con i propri demoni, ma questa è un’altra storia.

Come questo ragazzo ha subito anche violenze sessuali da un suo amico e posso solo lontanamente pensare che esperienza orribile possa essere. Leggendo un curriculum di un ragazzo del genere penseremmo che con questi pugni in faccia non si sarebbe mai rialzato.

Forse è successo a molti di non rialzarsi, ma non è successo ad un certo Chester Bennington.

Chester ha vissuto un’infanzia sballottolato come una pallina da flipper tra varie città dell’Arizona.

Nonostante le cicatrici di quelle ferite era un ragazzo che sapeva guardare oltre. Ascoltava i Nirvana, anche se i suoi idoli rimanevano i Depeche Mode ed gli Stone Temple Pilots, ma lui voleva essere protagonista.

Questo lo ha spinto oltre le prime esperienze per arrivare ad essere il frontman dei Grey Daze a metà degli anni ’90, che devo dire è un gruppo tutt’oggi di gran rispetto.

Ma fu a fine degli anni ’90 che arrivò la chiamata della vita, il prefisso era quello di Los Angeles e sul palco lo stavano aspettando gli Xero che nel 2000 si ribattezzarono in Linkin Park.

Sì avete capito bene, quel gruppo che come pochi non ha sbagliato un album e ci ha regalato brani su brani di un’energia unica.

L’album d’esordio fu Hybrid Theory; già l’album che contiene il brano The End che ascolto con cadenza puntuale come se fosse una sana medicina.

Stiamo parlando dell’album nu metal più venduto nella storia con 27 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Alla faccia dello sfigatello! In tutto i Linkin Park hanno pubblicato 7 album centrando un successo dietro l’altro.

Non smetterò mai di urlare. Quell’urlo non me lo ha insegnato nessuno, è venuto fuori perché era dentro di me. La rabbia è dentro di me. [Chester Bennington]
 

Le arene dei concerti fremevano per ascoltare quelle chitarre graffianti ed i duetti di Chester con Mike Shinoda, mica Minghi e Mietta ( non me ne vogliano)!

Sebbene questa storia meriterebbe un happy ending, il ragazzo cresciuto dell’Arizona ha fatto i conti con i suoi demoni del passato. Non posso immaginare cosa succeda sulla vetta dell’Olimpo tra successo, pressioni e occhi che ti puntano da ogni angolo del mondo.

So che in tanti casi queste rockstar dietro i tatuaggi, le voci graffianti ed i piercing sono essere umani con le loro debolezze e fragilità.

Non posso fisicamente tagliare quella maledetta corda che si è stretta al collo di Chester quel dannato 20 luglio 2017 portandosi via la sua anima; quel che posso fare è raccontare la storia di un ragazzo che, nonostante gli schiaffi della vita, è riuscito a guardare dritto negli occhi il suo grande sogno e realizzarlo.

Ricordiamoci che non siamo quello che ci dicono, non meritiamo quello che ci fanno. Siamo delle rocce che nessuno può scalfire se crediamo in noi stessi e nella nostra capacità di lasciare il segno in questo breve transito sul pianeta terra.

Io sono STEO e questa è la mia storia del Rock. Se vi piace diventerà un libro.

Ed ora come di consueto vi lascio il nostro invito all’ascolto: tre brani dei Linkin Park

Linkin Park – In the end

Linkin Park – Numb

Linkin Park – Faint

[STEFANO PANCARI per DETTI E FUMETTI -sezione Musica – Articolo del 26 settembre 2020]

I NIRVANA – GLI ANNI 90 – IL QUINTO CAPITOLO DELLA STORIA DEL ROCK DI STEO

Sogno ancora che i Nirvana sono ancora una band…

e poi Kurt appare, come se fosse stato nascosto.

Lo guardiamo e diciamo: “Ma dove diavolo sei stato?” [Dave Ghrol]

Il bisogno di ogni essere umano è lasciare il segno in questo breve passaggio sul pianeta che chiamiamo vita. Ognuno cerca di diventare memorabile secondo i propri valori e da fattori della vita che lo spingono: alcuni di noi educano i nostri figli perché siano persone migliori, oppure
contribuiamo facendo del bene al prossimo e chi ha più doti lascia ai posteri le proprie opere d’arte. È inevitabile, ciascuno di noi ha un inconscio desiderio di vivere oltre la vita restando nella memoria attraverso le proprie gesta e propri lasciti.

Amo me stesso più di te,

so che è sbagliato ma cosa dovrei
fare?

[Nirvana]

Sono trascorsi anche gli anni ’80, nel mondo del rock regnano il metal, l’hard rock, il glam rock e non tutte le rockstar saranno gemme che poi resteranno nella memoria. La cosiddetta generazione X è già qualche anno che sta vivendo una sorta di insofferenza, di angoscia: il mondo sta cambiando con un’accelerazione che sta cominciando a farsi sentire e questa condizione genera un senso di smarrimento. Forse è questo il prologo giusto che ci dà una chiave di lettura a quegli anni ’90 che saranno esplosivi.

Una decade che ci ha regalato i Radiohead, i Placebo, i Muse, ma soprattutto il sound di Seattle etichettato come Grunge. C’è chi dice che Alice in Chains, Soundgarden e Pearl Jam, per citarne alcuni, abbiamo distrutto il rock.

Faccio parte di quella cerchia che, invece, ha goduto di questo tsunami che ha destrutturato tutte le logiche dei precedenti 40 anni, con strafottenza e senza nessun sogno di gloria. 

È stato come l’attentato a Kennedy ma in versione musicale…chi c’era ricorderà senz’altro l’istante in cui ha ascoltato la canzone per la prima volta (Smells like teen spirit)…era trascendentale

[Jessica Hopper]

Sebbene non fossero autoctoni di Seattle e non fossero tra quelli che giravano nei club insieme ai Malfunkshun, ai Melvins ed ai Green River, coloro che contribuirono in modo sostanziale a rendere quel movimento un fenomeno mondiale furono loro: i Nirvana. Kurt Cobain, Kris Novoselic e Chad Channing con il loro furgone sconquassato, pantaloni strappati e magliette strusciate arrivavano da Aberdeen, con tappa all’università di Olympia e non pensavano che i loro sogni di fama sarebbe spediti nell’iperspazio all’ennesima potenza. Già di per sé aver questo tipo di ambizioni non era ben visto dalla controcultura di Seattle, del punk rock e dintorni; lassù, nel nord ovest degli Stati Uniti e lontano dallo show business di Los Angeles, New York e Boston, se eri un musicista dovevi accontentarti dei club malmessi del posto.

Era una controcultura che poneva le basi nel post punk e ‘fanculo a tutto ciò che erano soldi e successo, ‘fanculo all’industria musicale e tutto ciò che ruotava attorno. Purtroppo per loro Bruce Pavitt con la sua Sub Pop ci aveva visto lungo e sapeva che ben presto il grunge sarebbe stato un vulcano in procinto di esplodere. Le prime schermaglie si erano già avvertite con i Soundgarden di Chris Cornell, con i Mother Love Bone di Andrew Wood e successivamente con i Pearl Jam di Eddie Vedder. Ma nessuno come i Nirvana scosse il mondo musicale a quei livelli. 

La musica è una forma d’arte

che prospera sulla reinvenzione

[Krist Novoselic]

Quando la Geffen li mise sotto contratto erano consapevoli che di fronte avevano un fenomeno che avrebbe potuto addirittura scavalcare la notorietà del crack Guns’n’Roses. Il video di Smells like teen spirit arrivò sul tavolo di MTV ed Amy Finnerty, produttore esecutivo della giovane e seguitissima emittente TV, si giocò la faccia chiedendo di metterlo in scaletta.

Kurt, Kris e Dave Ghrole (nel frattempo Chad era stato cassato) partirono a tutta velocità sfidando l’industria musicale come uno shuttle sfida l’atmosfera per giungere nello spazio. In fin dei conti era quel che desiderava Kurt: una infanzia e adolescenza conflittuale segnata dai disastri familiari pretendeva un riscatto e quel successo sarebbe stata la giusta ricompensa. Questo era ciò che voleva durante il periodo universitario ad Olympia, da cui si era distaccato perché loro rigettavano ciò che era il mondo che odiavano. Kurt, invece, pur avendo lo stesso sentimento contro la cultura del far soldi velocemente (yuppies), della politica reganiana e dell’industria delle major aveva in mente altro: per cambiare le cose dovevi stare dentro al Sistema e cambiarlo dal suo interno. Un po’ come Neo in Matrix per capirci. Contro ogni sua aspettativa, compresa la propria, divenne in breve tempo il Messia di tutta quella generazione che non trovava più punti di riferimento nella Società, quei reietti o supposti tali sparsi qua e là nell’intero pianeta.

La loro musica era un mix micidiale e mai ascoltato: radici di un punk dai ritmi rallentati e accordi semplici, la potenza del metal, ma anche quelle strizzate d’occhio pop che facevano in modo che la loro musica entrasse nella mente. 

Ridono di me perché sono diverso,

io rido di loro perché sono tutti uguali

[Kurt Cobain]

Dietro a quel look trasandato e silenzioso, Kurt Cobain nascondeva un genio musicale che molti hanno paragonato a John Lennon. La differenza è che John Lennon ha lasciato il segno nei suoi 17 anni di onorata carriera, così come altri mostri sacri del rock: Kurt Cobain in appena 5 anni è diventato una sorta di divinità che tutt’oggi viene venerata. L’album del successo globale fu Nevermind che li proiettò in tour in tutto il mondo.

Così come Icaro con il suo volo, però, anche Kurt dovette soccombere alle pressioni mediatiche ed il suo atteggiamento dicotomico con la musica. I demoni della sua prima gioventù erano lì e si manifestavano con un continuo dolore allo stomaco e frequenti depressioni. Kurt li combatteva, ma avevo scelto il peggiore degli alleati: Mr Brownstone (modo gergale per chiamare l’eroina) con cui aveva una relazione da tempo. Stessa sorte era toccata alla donna di cui si era follemente innamorato, Courtney Love delle The Hole.

John Lennon aveva diciassette anni di esperienza negli studi di registrazione, Prince trentotto, David Bowie quarantanove. Kurt solo cinque

[Danny Goldberg]

La vena artistica di Kurt Cobain si sciolse di fronte al calore dei suoi conflitti e di quella inaspettata notorietà che fu la causa del suo controverso decesso. Di lui ci rimangono le sue canzoni contenute in appena quattro album di inediti ed un talento bruciato troppo prematuramente di fronte all’oracolo del successo. Mi piace ricordarlo con quel suo sguardo penetrante che, insieme a quel silenzio rotto dal suo rauco sospiro, concluse l’interpretazione di Where did you sleep last night in quella che fu una delle ultime apparizioni in pubblico dei Nirvana con l’Unplugged in New York.

C’è chi lascia il segno come un’orma del proprio piede sulla sabbia e c’è chi come Kurt Cobain ha scolpito la pietra della cultura lasciando il proprio segno per l’eternità.

Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock. Spero vi piaccia. Lasciate i vostri feedback perche’ diventerà un libro. Raccontateci chi è stata la vostra rockstar preferita. Chissà nel prossimo volume potreste trovarla su DETTI E FUMETTI.

Ed ora come di consueto vi lasci tre brani dei Nirvana da mandare come sottofondo della vostra vita.

Nirvana – Smell Like Teen Spirit

Nirvana – Heart Shaped Box

Nirvana – Where did you sleep last night

[STEFANO PANCARI per DETTI E FUMETTI -Sezione Musica -Articolo del 31 agosto 2020]

IL SUCCESSO CAMALEONTICO DEGLI U2 -STEO e LA STORIA DEL ROCK – capitolo 4 – gli 80s.

steo e gli 80s

Steo e gli 80s – illustrazione di Filippo Novelli

 

 

Non posso cambiare il mondo, ma posso cambiare il mondo dentro di me

[Bono Vox]

Il cambiamento è alla base dell’evoluzione, a volte è una necessità.
Quale forza dovrebbe spingerci a cambiare? Se, qualunque fosse il nostro status, ci imponessimo sempre di cambiare diventerebbe un’ossessione, ma tante volte rompere le catene delle abitudini è un atto di responsabilità verso noi e gli altri.
 
A volte, nell’ecosistema di abitudini, comportamenti automatici e situazioni che fanno parte del nostro quotidiano, ci sono cose che inconsapevolmente accettiamo, ma che tanto bene non ci fanno. Possiamo pensare ai nostri vizi, fumare per esempio, oppure chi di noi è facilmente irascibile e, ancora, chi ha grandi potenziali ma rimane lì dov’è perché in qualche modo “ha paura” a fare quel passo che permetterebbe di esprimerli.
 
Il rock ha rappresentato e rappresenta un simbolo della rottura dello status quo ed esso stesso si è reinventato nel corso dei decenni.
Siamo partiti nel viaggio con il rock’n’roll di Elvis Presley per arrivare al blues rock psichedelico dei The Doors un decennio dopo, stravolto a sua volta dal punk dei Ramones negli anni ’70.
 
 
Il rock non ha subito una metamorfosi solo sulla base del periodo storico e grazie al gruppo emergente di turno. Esistono alcune rock band che sono riuscite e riescono a rimanere sulla cresta dell’onda nonostante abbiano a curriculum 44 anni di carriera…e tutto questo lo devono sì alla loro vena artistica, ma adattata e adattabile al cambiamento.
 
Prendi per esempio U2. Chiamiamoli “come si deve”: YOU TOO (anche voi) e non U-DUE. Iniziarono nel 1976, proprio sull’onda emotiva dei concerti di personaggi come i Ramones ed in un solo decennio, gli anni ’80, sono diventati il gruppo più importante nel panorama mondiale del rock.
 
80s
 
 
 

Gli U2 erano già una band ancor prima di essere in grado di suonare

[Bono Vox]

U2, foto inedite band in mostra ad Asti

 
Nel 1980 esordiscono con BOY, cavalcando l’ondata della new wave e del post punk, con I will follow e le loro tensioni di adolescenti della periferia dublinese, per arrivare sulla vetta del mondo nel 1987 con JOSHUA TREE. Sì avete letto bene: l’album che da solo contiene Where The streets have no name, With or without you, I still haven’t found what I’m looking for e una scaletta che da sola è una compilation di grandi hits.
 
 
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In mezzo un decennio a colpi di collaborazioni con Brian Eno, brani che hanno con coraggio parlato di Martin Luther King e delle guerriglie civili irlandesi, consacrandosi con una performance che solo i Queen riuscirono ad oscurare nel Live Aid.
 
Conquistarono la copertina di Time Magazine, come solo The Beatles e The Who erano riusciti a fare, oltre 5 milioni di dischi venduti nel mondo ed un filotto di sold out nel loro tour mondiale The Joshua Tree Tour.
 
Quando sei a quelle altitudini l’aria è rarefatta ed il rischio di avere la mente annebbiata dal successo è dietro l’angolo.
 
I quattro piccoli ragazzi irlandesi avevano di diritto preso lo scettro di rockstar e non avevano nemmeno 30 anni.
 
All’album del decennio seguì Rattle & Hum che raccontò, sia con note che con pellicola cinematografica, il loro tour americano, con tanto di dediche e devozione a Bob Dylan, Jimi Hendrix e Billie Holiday. I dischi di platino, il successo e l’americanizzazione li avevano allontanati dalla tanto amata quanto odiata periferia di Dublino e dalla loro identità stessa.

Penso che la cosa più importante della musica sia il senso di fuga

[Thom Yorke]

Bono Vox e gli amici di una vita The Edge, Larry Mullen Jr e Adam Clayton avrebbero potuto essere la cover di sé stessi per il resto della loro vita facendo soldi a palate, ma l’anima rock non la puoi accendere o spegnere a tuo piacimento e loro erano LE rockstar di quegli anni, nessuno sapeva cosa avrebbero tirato fuori dal cilindro.
 
Si rifugiarono a fine degli anni ’80 in una Berlino in pieno fermento tra la libertà della caduta di Berlino e l’incertezza del domani.
 
Dovevano sentire dentro di loro cosa li aveva portati fin lì e dove sarebbe andati da quel giorno in poi.
 
Un dilemma non da poco, tanto che la loro gloriosa galoppata era in procinto di arrestarsi.
 
Tante, troppe volte la fama ha inghiottito talenti del rock, ma quegli irlandesi avevano la pelle dura: non certo dei santi (scagli la prima pietra chi è senza peccato!), ma persone con sani principi. Come dichiarato da Bono “ai tempi di Berlino non avevamo idea di cosa saremmo voluti diventare, ma eravamo sicuri di ciò che non volevamo essere”.
03 - u2 - achtung
 
Fu con questo atteggiamento che successe l’imponderabile: nel tempio degli Hansas Studios di Berlino, dove avevano già registrato mostri sacri come Lou Reed, David Bowie ed Iggy Pop, a The Edge venne fuori il giro di accordi della vita.
 
Quella sequenza di note erano il primo gemito di una neonata One (secondo MTV la miglior canzone degli anni ’90 e trentaseiesima migliore canzone del mondo secondo la classifica di Rolling Stone) e dell’album Acthung Baby, che ha sconvolto radicalmente le logiche musicali degli U2 e dell’intero mondo del rock.
L’album, anch’esso in posizione altissima nella classifica dei migliori album di tutti i tempi secondo Rolling Stone, uscì il 18 novembre del 1991 e 6 giorni dopo un’altra leggenda del rock salutò il mondo, Freddy Mercury: dopo il Live Aid, in cui scettro e corona se li portò a casa come il calciatore con il pallone quando segna una tripletta, fu come un passaggio di testimone tra miti per continuare a dar vita ed onorare il rock.

Se devi fare una cosa, falla con stile. [Freddy Mercury]

Elettronica e distorsioni miscelate con le melodie e le chitarre di un rock più classico andarono a mettere il segno in una generazione di musicisti che di lì a breve furono ispirati a dar seguito ad una nuova lettura del genere: dai Radiohead ai Muse, dai Placebo ai Coldplay.
 
Questo è solo un pezzo della storia di quattro semplici ragazzi che erano partiti con scarse doti tecniche nella musica, ma con tanta passione e gesta epiche hanno fatto della lettura dei tempi che cambiavano e del cambiamento stesso il loro status, marcando un segno indelebile nella storia del rock che tutt’oggi stanno scrivendo.
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Gli U2 sono la dimostrazione che cambiare è possibile per tutti, anche quando tutto sembra perso o anche quando pensi di aver conquistato tutto. Viviamo in un mondo dove cambiare certi atteggiamenti nei confronti di noi stessi, degli altri e dell’ambiente è una necessità se vogliamo dare alle future generazioni una cultura di amore e rispetto reciproco.
Basta mettersi alla prova e avventurarsi where the streets have no name.
 
Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock. Se vi è piaciuto l’articolo regalate ai vostri amici il mio libro.
 
 
 
 

  Lasciatemi i vostri feedback, ditemi chi sono stati i vostri miti del rock e chissà potrete trovarli nel prossimo volume. Ed ora vi lascio come di consueto tre brani che vi faranno conoscere meglio gli U2 e il loro camaleontismo.  

U2 – Sunday Bloody Sunday

U2 – Where the streets have no name

U2 – Until the end of the world    

[Stefano Pancari per DETTI E FUMETTI – Sezione Musica – Articolo del 8 agosto 2020]

L’ARABA FENICE DEL ROCK – ED I RAMONES -STEO E LA STORIA DEL ROCK -CAPITOLO 3

STEO 70s

Il rock non è arte,

è il modo in cui parla la gente.

[Billy Idol]

 
 
La cultura in genere dà un’accezione negativa e violenta al concetto di rivoluzione associandolo a distruzione e inciviltà.
La rivoluzione a cui mi piace pensare è, invece, una evoluzione del pensiero, un miglioramento dello status quo intrapreso con passione e amore.
 
Il rivoluzionario è un tassello indispensabile della nostra storia: se non ci fossero stati i rivoluzionari penseremmo ancora, per esempio, ad un sistema geocentrico anziché eliocentrico. In tal senso Galileo Galilei è stato una grande rockstar che non ha fermato la sua visione nemmeno di fronte allo “Stato maggiore” dell’epoca.
 
La vena ribelle del rock è talmente forte che il rock stesso si è ribellato a sé stesso innumerevoli volte nel corso dei decenni.
 
Pensiamo agli anni ’70: abbiamo goduto dello stile dei Led Zeppellin, dei The Who, dei Deep Purple, delle opere d’arte dei Pink Floyd, della nefasta decadenza di Elvis Presley…e della rivoluzione punk dei Ramones.
 
70s
 
 

Penso di aver fatto fuori gli anni ’60.

[Iggy Pop]

 
 
L’inizio degli anni ’70 è stato caratterizzato da un movimento hippie ormai in esaurimento, dalla nascita della disco music e dal rock virtuoso e stiloso.
Era come se fosse in atto una competizione globale tra jazz, musica classica e, appunto, il rock.
Robert Plant ed il resto della ciurma volevano dimostrare che il rock era uno stile non inferiore agli altri e che poteva addirittura aggregare decine di migliaia di persone negli stadi.
In questo contesto si inseriscono i Ramones e la loro rivoluzione punk.
ramones bn
 
I Ramones facevano parte di una nicchia di artisti diversi da tutti gli altri, ribellatasi ai nuovi cliché e con tanta voglia di esprimersi così come erano: dal look dei New York Dolls e dei Wayne County & The Electric Chairs, alle follie circensi di Iggy Pop.
 

Non sarei mai riuscito a suonare un pezzo degli Who, ma abbiamo scritto “I don’t wanna walk around with you” il primo giorno.

[Johnny Ramone]

Il battesimo di quel nuovo movimento, Punk (delinquente), lo si deve a John Holmstrom e Legs McNeil, hippie mancati, ma già stanchi del movimento.
La loro piccola rivista portava il nome Punk e combinava il rock ai fumetti e diede voce ai frequentatori dei locali reietti di New York.
La parola venne dapprima rifiutata dagli stessi Ramones, Iggy Pop e Blondie, ma alla fine se ne fecero una ragione.
Il punk era uno stile musicale ben definito, come del resto il cugino grunge vent’anni dopo, ma con quel nome si identificavano coloro che volevano un nuovo spirito di ribellione, diverso dagli anni’60 e più vicino alla rivoluzione di Elvis & Co. degli anni ’50.
CBGB_club_facade
 
L’essere politicamente scorretti aveva come fine lo stimolare la mente parlando di argomenti non comuni e il fare uscire la gente dall’ordinarietà.
 

Hey Ho, Let’s go!

[Ramones]

Il punk non fu inventato dai Ramones: Iggy Pop con The Stooges e prima ancora gli MC5 furono i progenitori del punk nell’America degli anni ’60. Rappresentavano una nuova generazione che rifiutava le idee degli adulti con la volontà di dare una spinta al   progresso.
Hanno dato vita ad un nuovo modo di vedere le cose. Il contesto storico lo richiedeva, ad inizio anni ’70 New York era fatiscente e cupa, era il momento adatto per inventare qualcosa di nuovo.
I Ramones ebbero il merito di essere un’onda d’urto che nessuno si aspettava. Erano arrivati al nocciolo del rock, spolpato dalle proprie sinuosità, concentrato in un minuto o poco più e velocizzato a ritmi inverosimili fino a quel periodo.
Mi affascina come a volte l’ordine casuale dell’universo crei cose fantastiche: lo stile dei Ramones era una loro necessità, dettata dalle scarse doti tecniche, questa è la verità.
Nessun effetto speciale, nessun numero da avanspettacolo…solo nudo e crudo rock’n’roll, giubbotti di pelle, pantaloni stretti e scarpe da ginnastica.
Rapportatelo a stereotipi come Robert Plant e Jimmy Page e capirete della portata della rivoluzione di cui stiamo parlando.
 

I woke up at the moment when the miracle occurred, heard a song that made some sense out of the world

[U2]

E pensare che il loro nome deriva da ciò che loro stessi stavano disintegrando a livello concettuale, gli hippie e quel che ne rimaneva. Infatti Douglas Glenn Colvin, il bassista, in gioventù era un fan sfegatato dei The Beatles, sì proprio loro. Paul Mc Cartney usava il nome di Paul Ramone come alter ego ai tempi dei Silver Beatles e per fare i check in negli alberghi. Fu da questa passione che Douglas decise di cambiare il nome in Dee Dee Ramone convincendo Jeffry Ross Hyman a chiamarsi Joey Ramone (voce), Johnny Cummings in John Ramone (chitarra), Tamàs Erdély in Tommy Ramone (batteria)…i Ramones.
ramones safety film
Il punk non è mai stato uno stile musicale da mainstream e così lo fu per loro, fin quando partirono in tour per l’Europa. Fu nei concerti inglesi che, al cospetto delle The Slits, dei Sex Pistols e The Clash, che furono consacrati come il gruppo di riferimento del movimento punk catalizzandone l’attenzione.
Avevano qualcosa che gli inglesi arrabbiati e politicizzati non avevano: i Ramones portavano divertimento e leggerezza, talvolta sarcasmo, ma erano lì sul palco per far divertire e scatenare la gente.
 

Come può essere morto il punk se io sono ancora vivo?

[Johnny Rotten]

Nei loro 20 anni di carriera hanno avuto alti e bassi, hanno avuto divergenze e la formazione è stata rimaneggiata più volte, ma restano comunque uno dei gruppi di riferimento del secolo scorso.
Con i loro 2263 concerti in 20 anni di carriera hanno fatto scatenare giovani di tutti i Continenti. Le loro magliette sono le più vendute al mondo.
ramones biglietto concerto
Nel 2002 sono stati inseriti nella Rock’n’Roll Hall of Fame e l’annuncio fu fatto niente nientepopodimeno che da Eddie Vedder dei Pearl Jam.
Gli U2, ispirati anche dai Ramones nella loro prima parte di carriera, nel 2014 li hanno celebrati con “The Miracle” in ricordo del concerto di Dublino a cui assistettero 40 anni prima.
 
A Berlino c’è un museo dedicato a loro, nella Bowery c’è una piazza dedicata a loro, nel Queens c’è una strada che porta il loro nome. Non avevano l’arte di tanti loro contemporanei, ma se hanno lasciato così il segno un motivo ci sarà.
Al di là di premi, riconoscimenti e trofei di loro ci resta quel gran dono del rock di avere il coraggio di distruggersi e rinascere come un’araba fenice.
 
 
 
Rockstar come Galileo Galilei, Elvis Presley ed i Ramones ci insegnano quell’attitudine a mettere e metterci in discussione e osare a mettere in piazza nel nostre idee, che tanto bene fa al nostro miglioramento ed evoluzione.
part steo 70
 

STEO e i 70s -Illustrazione di Filippo Novelli

 
 
Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock; Se vi è piaciuta  potete acquistare o regalare il libro ai vostri amici
Dateci i vostri feedback, raccontateci dei vostri miti del Rock…e chissà potrete trovarli nel prossimo volume.
 
 

E ora come di consueto vi lascio tre brani dei Ramones affinche’ possiate apprezzarne la musica  

Ciao e a presto con un nuovo capitolo, Stay Rock!           [STEFANO PANCARI per DETTI E FUMETTI – sezione Musica – articolo del 29 luglio 2020]

La storia del Rock -i 60s -L’eterna aurea di -Jim Morrison

steo il re lucertola

 

Non sono gli anni della tua vita che contano, ma la vita nei
tuoi anni.

[Abraham Lincoln]

Gli anni ’60. I rivoluzionari anni ’60. I babyboomers sono cresciuti, così come le loro
consapevolezze ed i loro capelli sempre più lunghi. La Società, la cultura e la musica in
quegli anni andavano spediti verso una nuova identità sotto il nome dell’amore e
dell’unione. Ci farebbe bene una buona dose di quei valori oggi che siamo rintanati nel
nostro Facebook (ndr).

60s

Un’identità caratterizzata dalla rottura dello status quo, quello status forgiato da una società conservatrice e bacchettona, dalla sua politica della guerra, da una cultura antisemita. Non è un caso che il rock sia stato la colonna sonora per eccellenza di quel periodo. Non c’erano più solo Chuck Berry, Elvis Presley e Little Richard: una nuova generazione stava facendo passi da gigante ed ogni orma lasciata è rimasta tutt’oggi impressa nel pianeta della musica e della società civile.

Alcuni artisti hanno un modo di vivere ed un modo di fare arte, per me ne esiste uno solo.

[Janis Joplin]

Difficile, per non dire impossibile, eleggere il porta bandiera del rock targato 60’s: se parlassi dei The Beatles farei un torto ai The Rolling Stones. Così come potrei scrivere dell’immensa Janis Joplin, di Syd Barret e dei primi Pink Floyd. E ancora Jimi Hendrix, The Who, Santana, Joe Cocker…la lista di mostri sacri è veramente senza fine. Ma i The Doors con Jim Morrison avevano qualcosa che gli altri non avevano.

 

foto 1 60

James Douglas Morrison, con il suo background di colto poeta, esperto cinematografo, di bambino speciale (racconta che da piccolo, vedendo dei nativi americani morti sull’asfalto per un incidente, ricevette lo spirito dello sciamano), insieme alla sua allucinata vita priva di limiti, aveva dato avvio ad un’espressione ribelle e rivoluzionaria, tanto da spaventare e inimicarsi le Autorità ed addirittura la politica. In soltanto 5 anni è stato capace di mettere il suo volto tra gli Dei del rock e tutt’oggi la sua tomba a Père Lachaise è venerata da migliaia di fan. I suoi concerti erano rituali sciamani e psichedelici e lui, come lo definì il compagno di musica Ray Manzarek, sul palco era la reincarnazione del Dio greco Dioniso. La sua figura è tutt’oggi così pesante che si è scomodato anche un certo Oliver Stone per portare la sua vita in pellicola, non un regista qualsiasi.

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Quando le porte della percezione saranno purificate, all’uomo apparirà come realmente è: infinito.

[William Blake]

 Il giovanissimo Jim lasciò casa e famiglia per mettere tenda a Venice Beach dove studiava cinema. Erano anni di forte emancipazione in cui l’uso di droghe, specialmente allucinogene, erano all’ordine del giorno: si pensava che aiutassero ad aprire le porte della percezione, come del resto aveva intitolato Huxley il suo libro. Jim era in prima linea in questa sperimentazione e furono proprio “quelle porte” a dare il nome al suo gruppo formato con l’amico di studi Ray Manzarek ed insieme a John Densmore e Robby Krieger. Negli anni ’60 non si pubblicavano i propri esperimenti artistici su YouTube e nemmeno si misurava la propria celebrità a suon di like e migliaia di follower. Così come per la quasi totalità degli artisti di quei tempi, The Doors cominciarono a suonare in piccoli e fumosi locali dove il pubblico poteva essere composto da 20 o 30 corpi danzanti. La voce dell’esistenza di un gruppo pseudo intellettuale che suonava rock, blues e interessanti contaminazioni jazz si sparse rapidamente e, in men che non si dica, si trovarono sul palco del mitico locale Whisky a Go Go su Sunset Boulevard della West Hollywood, a fianco di personaggi del calibro di Frank Zappa e Van Morrison. Ipnotizzarono il pubblico il cui corpo cominciò a muoversi sinuosamente mosso come chioma al vento (novità rispetto alle danze impostate degli anni precedenti). Sarebbe stato un successo se l’organizzatore, un giorno del 1966, non fosse andato in bestia di fronte ai versi della canzone The End. Erano troppo: riferite al complesso di Edipo in versione freudiana, ma che tanto sapevano di incesto, furono il motivo per cui prese a calci buttandoli fuori. Poco male visto che, grazie a quell’esibizione, furono notati dalla Elektra Records che gli offrì un contratto ed in sei giorni registrarono il primo loro album omonimo. Era il 4 gennaio 1967 ed il Re Lucertola, uno dei suoi tanti soprannomi, si stava per impossessare dell’attenzione mediatica e del pubblico statunitense prima e del mondo poi.

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Non vivere con la paura di morire, ma muori con la gioia di aver vissuto.

[Jim Morrison]

Jim Morrison aveva un “piccolo” problema, non sapeva stare alle regole. Già con il primo album finirono all’Ed Sullivan Show, un’istituzione per quei tempi e l’occasione per avere l’attenzione nazionale in TV. C’erano già stati Elvis Presley, The Beatles e The Rolling Stone. Mick Jagger e compagni dovettero accontentare Ed cambiando una parola nel testo Let’s spend the night togheter per farlo risultare più decente. Quella “decenza” che era la massima rappresentazione del puritanesimo. Il burbero Sullivan, ci era riuscito con Jagger, ma ci aveva già provato con Elvis ed il suo movimento pelvico, andandogli male: così come con Jim e soci. in Light my fire avrebbero dovuto cambiare la parola “higher” nella frase Girl, we couldn’t get much higher. La parola scelta dai produttori del programma TV era “better”. Questo perché il verso sotto accusa ammiccava all’uso di droghe e non potevano andare in diretta nazionale con un messaggio del genere. Forse non avrebbero potuto in tanti, ma non Mr. Morrison che, in barba al tentativo di “restaurazione culturale” della vecchia guardia, non fece alcuna variazione al testo facendo imbestialire il conduttore televisivo. Non fu il solo caso di ribellione e sfida alle Autorità: nei loro 200 concerti The Doors erano soliti alle provocazioni, quando del pubblico, quando delle forze dell’ordine. Provocazioni che gli costarono care come nel Live al New Haven nel 1968 in cui attaccò verbalmente la polizia, dopo che aveva avuto un diverbio con uno di loro nel backstage interrompendo il suo momento di intimità con una ragazza. Ci fu una vera sommossa e ancora nessuno sapeva che, tra il pubblico in preda al delirio, c’era un certo James Ostenberg che di lì a poco sarebbe diventato Iggy Pop formando i The Stooges e ispirandosi proprio alla sua icona Jim.

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Questi giovanotti conoscono alla perfezione gli spartiti, ma non sanno neppure cosa significhi vomitare

[Iggy Pop]

Questo è stato Jim Morrison nel suo breve passaggio sulla Terra: un’icona immortale. Vuoi per l’alcol, per le droghe o per la sua personalità eccentrica era come se si stesse rapidamente dissolvendo. Mentre la lancetta del tempo scorreva lui rapidamente lasciava la polvere di sé disperdersi nell’aria, diventando presto un’aurea che avrebbe raggiunto il mondo per l’eternità. Tormentato dal peso della celebrità e dei suoi demoni la stella di Jim cominciò ad affievolire la sua luce ed il processo, seguito all’ennesima provocazione al concerto di Miami (ancora oggi non si hanno prove che veramente lui aveva mostrato gli attributi come secondo il capo d’accusa), fu la condanna per colui che si dichiarò vittima del puritanesimo, proprio come uno dei suoi poeti preferiti, Oscar Wilde. Jim Morrison ed The Doors erano considerati così “socialmente pericolosi” che non furono nemmeno invitati al celeberrimo Festival di Woodstock (sacrilegio!).

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Nessuno ha mai progettato di essere.

[Jim Morrison]

Preso dai problemi giudiziari e da una forma fisica in fase degenerativa, lasciò The Doors con l’ultimo album L.A. Woman, uscito poi nell’aprile del 1971. Album che contiene l’epica Riders on the Storm, in cui i tuoni ed il suono della pioggia sembravano presagire un futuro nefasto. Pochi mesi dopo, durante la sua permanenza a Parigi, il Dio del rock raggiunse gli altri Dei sul monte Olimpo per guardarci divertito da lassù. Ha raggiunto Robert Johnson, Brian Jones, Janies Joplin e Jimi Hendrix; avevano tutti soltanto 27 anni e con i successivi Kurt Cobain ed Amy Winehouse, oggi formano quel mazzo di fiori sfioriti troppo precocemente a causa delle loro esagerazioni e follie: il Club 27. Della sua presenza terrena resta la grandezza dei suoi testi, della sua musica e della sua rappresentatività della generazione di Babyboomers che con i propri ideali ha cambiato i connotati al mondo. Mi piace ricordarlo non per le sue follie, ma per ciò che ha rappresentato e rappresenta tutt’ora. Di lui ci resta la forza sovrannaturale di cui è dotato l’uomo comune come noi, quella forza che può farci determinare il cambiamento ed esserne voce in poco tempo. Lui ci è riuscito in una manciata di anni. Tutto ciò fa di Jim Morrison, il Poeta maledetto, una delle più grandi leggende del rock.

 

This is the end, my only friend…the end

[Jim Morrison]

 

Io sono Steo e questa è la mia Storia del Rock illustrata da Filippo Novelli su DETTI E FUMETTI.

part steo 60s

Come di consueto al  termine della storia vi consiglio l’ascolto di tre brani:

Ne abbiamo fatto un libro potete acquistarlo su AMAZON.

 

 

Ci vediamo presto con il terzo capitolo. Stay Rock!

[Stefano Pancari per DETTI E FUMETTI – sezione Musica – articolo del 19 luglio 2020]