Cari lettori e lettrici di Detti e Fumetti ho avuto il piacere di incontrare il Direttore della famosa Sartoria teatrale Piero Farani, Luigi Piccolo e non mi sono lasciato sfuggire l’occasione per intervistarlo.
Allora Luigi, sei nato a Udine, hai studiato lettere a Padova con l’intenzione di diventare un restauratore, ma grazie all’amicizia con il regista Giancarlo Cobelli, nel 1980 sei stato contattato da Paolo Tommasi che all’epoca era il suo scenografo e costumista. Dopo due anni, come assistente ai costumi, sempre grazie a Cobelli hai incontrato Piero Farani che ti ha proposto di aiutarlo nella conduzione della storica sartoria dove sono stati realizzati i costumi per gran parte dei capolavori del cinema italiano degli anni 60 – 70. Nato dalla collaborazione con l’amico Danilo Donati, all’epoca astro nascente, poi costumista di Pasolini, Fellini e Zeffirelli, due premi Oscar e innumerevoli altri premi. Dal 1997, dopo la scomparsa di Farani, hai preso in mano le redini e la conduzione della sartoria; senza rinnegare niente del passato, le sperimentazioni che tanto piacevano a Farani, la sartoria si è orientata nella ricostruzione storica del costume e, tra i clienti più affezionati degli ultimi anni possiamo citare Colleen Atwood, la costumista di Tim Burton, che ha vinto quattro di Oscar. Da cinque anni insegni storia del cinema allo IED di Roma.
W: Com’è stato, da assistente ai costumi, uscire da una realtà come quella Veneta e approdare in quella di Roma?
Un salto nel buio, è stata l’incoscienza dei 20 anni a guidarmi; partire per Roma, dove non ero mai stato e dove non conoscevo nessuno, se ci ripenso oggi mi sembra quasi un sogno.
W: Poi l’incontro con Piero Farani, ce ne vuoi parlare?
Cobelli, il mio pigmaglione, abitava nello stesso palazzo dove viveva Farani, sapendo che cercava un assistente mi propose il fatale incontro. Incredibile ma vero, all’epoca ancora contavano i rapporti umani.
W: Cosa provi quando un tuo abito è indossato sul set da un attore famoso?
Emozione, amo talmente il mio lavoro che ancora mi emoziono, come l’immensa Tilda Swinton che si è commossa indossando la giacca di Totò di Uccellacci e uccellini.
W: Ultimamente la sartoria teatrale in Italia è in crisi perché?
Perché lo stato non aiuta in nessun modo gli artigiani, anzi. Perché è sempre piu difficile trovare manodopera valida, di improvvisazioni se ne trovano in gran quantità, ma non servono. Perché non si producono film in costume, per il contemporaneo non c’è bisogno della sartoria. E dire che in Francia lavoriamo a 4/5 produzioni in costume all’anno, se non di piu.
W: In un mondo globalizzato la sartoria Farani che ruolo riveste?
Il ruolo di un piccolo artigiano che continua imperterrito per la sua strada, riconosciuto e stimato nel mondo; lavoriamo molto in Francia, Inghilterra, recentemente a Dubai, Giappone e via dicendo. Diciamo che Internet ha facilitato i contatti e ridotto le distanze.
W: Qual è la prima cosa che insegni ai tuoi allievi?
La curiosità, bisogna essere curiosi nella vita, altrimenti resti relegato nel tuo guscio. Purtroppo i giovani di oggi, rispetto alla mia generazione, hanno tutte le possibilità del mondo, ma non sono in grado di usufruirne, non sono educati alla ricerca.
W: Quando un film finisce gli abiti di scena che fine fanno?
Tornano a noi, vanno nei famosi magazzini, come quelli dei film di Pasolini esposti a Palazzo, solitamente abitano in un magazzino, sono conservati gelosamente.
W: Il tuo sogno nel cassetto?
Creare un museo con tutti gli abiti autentici che ho raccolto in quasi 45 anni di attività, oltre 5.000 pezzi che vanno dalla metà del 1700 all’Alta moda degli anni 70.
W: Caro Luigi, grazie anche a nome delle lettrici e lettori di Detti e fumetti, per questa interessante chiacchierata.
Grazie a voi,
[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI – sezione ARTE – articolo del 27 febbraio 2023]




















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