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INTERVISTA A VALENTINA LAURIA PER DETTI E FUMETTI

Amici di DETTI E FUMETTI oggi abbiamo intervistato Valentina Lauria, una Entertainment Designer che abbiamo conosciuto in occasione dell’incontro con Stefano Pancari, il nostro esperto di musica nonchè founder di Sfera Ingegneria.

F. Ciao Valentina raccontaci quale è stata la tua formazione e come sei arrivata a lavorare per Sfera Ingegneria

V.: Ho sempre saputo di voler lavorare nel mondo dell’arte visiva e il mio percorso è rimasto sempre in quest’ambito. Fare la pittrice alla Van Gogh però non è mai stata un’opzione; dall’Istituto d’arte sono passata alla Libera Accademia di Belle Arti e, dopo la laurea in Graphic Design, all’Accademia Nemo, dove mi sono diplomata in Entertainment Design.

Anche durante il percorso di formazione non sono mancati i periodi lavorativi nella grafica marketing oriented, nel copywriting, seo e illustrazione per l’infanzia per una piccola pubblicazione.

Sfera è l’ultimo approdo nel mio percorso fino ad ora; un approdo sorprendente ed innovativo per il campo in cui opera e che, proprio per il suo approccio nuovo e creativo, rappresenta un terreno fertile per una comunicazione diversa, che porti un messaggio fuori dal coro.

F.:sei un esempio di come sia possibile conciliare l’essere una artista classica e nel contempo abbracciare una professione come quella di Entertainment Designer che usa la sua cultura artistica in altri ambiti come la pubblicità, la comunicazione ecc.. lo vivi come un arricchimento personale o come un compromesso per poter pagare le bollette?

V.: Ora, le parole “esempio” e “artista” mi mettono un tantino soggezione, mi sento sempre dalla parte del braccio produttivo più che di quello virtuoso e illuminato. Ma il designer è l’artista di oggi, con i mezzi di oggi e una società differente, improntata sulla tecnologia e sullo stile specifico di questo periodo e finanziata dai committenti odierni. Non più un Lorenzo il Magnifico ma una Sfera Ingegneria. Solo che quello che creiamo noi, raramente lo si trova incorniciato in foglia d’oro sopra un camino padronale.

Parlando della mia figura nello specifico, l’ Entertainment Design è una parolona che unisce Graphic Design, Illustrazione, Scrittura e tutto quello che è Comunicazione Visiva per l’intrattenimento. Sono tutte mattonelle di un percorso che ha come filo conduttore il desiderio o il bisogno di trasmettere qualcosa. Io voglio farlo nella maniera migliore possibile.

Non lo vivo ne’ come un arricchimento e neanche come un compromesso. E’ tutto parte di me. Quando lavoro, qualunque sia l’attività specifica, attingo da tutte le esperienze che ho nel mio bagaglio per riuscire a creare qualcosa di diverso, ma proprio perché viene dalle mie esperienze, che sono solo mie, è anche qualcosa di mio. Il mio lavoro e la mia passione.

F.: quando un cliente ti incarica di sviluppare un progetto dal punto di vista visuale quali sono le tre cose che ti dai come obiettivo per raggiungere il tuo scopo ed accontentarlo.

  1. Comprensione. La cosa più difficile è capire cosa desidera una persona e/o un’azienda. Non solo cosa vuole, ma quello di cui ha bisogno. Spesso e volentieri capita che il mio cliente non abbia esattamente idea di COME arrivare al punto in cui vuole arrivare, ma crede che sia proprio quello ciò che io ho bisogno di sapere. In verità, il processo funziona molto meglio se mi viene detto l’obiettivo, così che io possa offrire le opzioni più adatte allo scopo e che quindi accontenteranno entrambe le parti.

2. Chiarezza. E’ sempre importante chiarire come funziona il mio lavoro. Nonostante i tempi corrano, chi non è mai entrato in contatto con la mia professione non ha la più pallida idea di quello che faccio e di cosa comporti a livello di tempo e di costo. Perciò ci tengo sempre a chiarire qual è il processo di lavoro, quanto tempo ed impegno richiede, e perché. Così che chi richiede la mia professionalità sappia esattamente in cosa sta investendo il suo denaro e la sua fiducia.

3.Rispetto. Gli strafottenti non piacciono a nessuno, sfido chiunque a dire il contrario. Sono perfettamente cosciente di non essere nata imparata e, in quanto essere umano, di poter sbagliare. Così come sono cosciente che chiunque altro si trovi nella stessa umana condizione. Nell’umiltà e nel rispetto si trovano infiniti punti d’incontro. Da appassionata lettrice so che chiunque ha una storia, e affronta battaglie personali più o meno silenziose. Perciò è necessario mostrare rispetto, sempre e comunque. Quando questa condizione viene a mancare, il lavoro diventa un peso e nessuno lavora bene con un masso sullo stomaco.

F. Di recente anche Sfera Ingegneria, ha deciso come noi di DETTI E FUMETTI di utilizzare il fumetto per parlare di temi importanti come la sicurezza. Sfera ti ha chiesto di disegnare Looks That Kill  

Come è stato diventare fumettista e cosa ti ha affascinato della nona arte.

V.: Parlando di rispetto, chiedo scusa a tutti i fumettisti professionisti per averli “derubati” di questa etichetta. Io non lo sono. Provo solamente una grande e spassionata ammirazione per questo medium che unisce immagini e parole, creando infiniti mondi nuovi. Da fruitrice appassionata di comics e manga fin da ragazzina, ho solo scimmiottato le meraviglie di altri, tentando di mettere questo medium, questo modo di comunicare al servizio di un messaggio particolarmente importante.

F. Consigli per le giovani sul tuo mestiere?

V.: Disegnate tanto, apprendete tutto e provateci sempre. Sarete svalutate fino all’osso, ostacolate e ridotte ad un “ah ma tu fai disegnini, non hai un lavoro vero?”; tuttavia se questo è quello che volete fare veramente nella vostra vita allora non demordete. L’idea giusta per farcela è sempre dietro l’angolo.

F.Su cosa lavorerai nei prossimi mesi?

V.: Oltre ai sopracitati lavori intendi? Nel rinnovo del mio sito web, nel creare materiale per la pubblicazione e la rivendita online; inoltre collaborerò con fotografi e mastri spadai…  diciamo che non avrò il tempo di annoiarmi. Anche perché la mia libera professione è appena iniziata e non voglio assolutamente perdermi quest’avventura.

F. : Grazie Valentina a nome di tutti i nostri lettori.

V. : Grazie a voi e seguiteci sui nostri canali!

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI -Sezione Fumetto – Articolo del 15 dicembre 2020]

I NIRVANA – GLI ANNI 90 – IL QUINTO CAPITOLO DELLA STORIA DEL ROCK DI STEO

Sogno ancora che i Nirvana sono ancora una band…

e poi Kurt appare, come se fosse stato nascosto.

Lo guardiamo e diciamo: “Ma dove diavolo sei stato?” [Dave Ghrol]

Il bisogno di ogni essere umano è lasciare il segno in questo breve passaggio sul pianeta che chiamiamo vita. Ognuno cerca di diventare memorabile secondo i propri valori e da fattori della vita che lo spingono: alcuni di noi educano i nostri figli perché siano persone migliori, oppure
contribuiamo facendo del bene al prossimo e chi ha più doti lascia ai posteri le proprie opere d’arte. È inevitabile, ciascuno di noi ha un inconscio desiderio di vivere oltre la vita restando nella memoria attraverso le proprie gesta e propri lasciti.

Amo me stesso più di te,

so che è sbagliato ma cosa dovrei
fare?

[Nirvana]

Sono trascorsi anche gli anni ’80, nel mondo del rock regnano il metal, l’hard rock, il glam rock e non tutte le rockstar saranno gemme che poi resteranno nella memoria. La cosiddetta generazione X è già qualche anno che sta vivendo una sorta di insofferenza, di angoscia: il mondo sta cambiando con un’accelerazione che sta cominciando a farsi sentire e questa condizione genera un senso di smarrimento. Forse è questo il prologo giusto che ci dà una chiave di lettura a quegli anni ’90 che saranno esplosivi.

Una decade che ci ha regalato i Radiohead, i Placebo, i Muse, ma soprattutto il sound di Seattle etichettato come Grunge. C’è chi dice che Alice in Chains, Soundgarden e Pearl Jam, per citarne alcuni, abbiamo distrutto il rock.

Faccio parte di quella cerchia che, invece, ha goduto di questo tsunami che ha destrutturato tutte le logiche dei precedenti 40 anni, con strafottenza e senza nessun sogno di gloria. 

È stato come l’attentato a Kennedy ma in versione musicale…chi c’era ricorderà senz’altro l’istante in cui ha ascoltato la canzone per la prima volta (Smells like teen spirit)…era trascendentale

[Jessica Hopper]

Sebbene non fossero autoctoni di Seattle e non fossero tra quelli che giravano nei club insieme ai Malfunkshun, ai Melvins ed ai Green River, coloro che contribuirono in modo sostanziale a rendere quel movimento un fenomeno mondiale furono loro: i Nirvana. Kurt Cobain, Kris Novoselic e Chad Channing con il loro furgone sconquassato, pantaloni strappati e magliette strusciate arrivavano da Aberdeen, con tappa all’università di Olympia e non pensavano che i loro sogni di fama sarebbe spediti nell’iperspazio all’ennesima potenza. Già di per sé aver questo tipo di ambizioni non era ben visto dalla controcultura di Seattle, del punk rock e dintorni; lassù, nel nord ovest degli Stati Uniti e lontano dallo show business di Los Angeles, New York e Boston, se eri un musicista dovevi accontentarti dei club malmessi del posto.

Era una controcultura che poneva le basi nel post punk e ‘fanculo a tutto ciò che erano soldi e successo, ‘fanculo all’industria musicale e tutto ciò che ruotava attorno. Purtroppo per loro Bruce Pavitt con la sua Sub Pop ci aveva visto lungo e sapeva che ben presto il grunge sarebbe stato un vulcano in procinto di esplodere. Le prime schermaglie si erano già avvertite con i Soundgarden di Chris Cornell, con i Mother Love Bone di Andrew Wood e successivamente con i Pearl Jam di Eddie Vedder. Ma nessuno come i Nirvana scosse il mondo musicale a quei livelli. 

La musica è una forma d’arte

che prospera sulla reinvenzione

[Krist Novoselic]

Quando la Geffen li mise sotto contratto erano consapevoli che di fronte avevano un fenomeno che avrebbe potuto addirittura scavalcare la notorietà del crack Guns’n’Roses. Il video di Smells like teen spirit arrivò sul tavolo di MTV ed Amy Finnerty, produttore esecutivo della giovane e seguitissima emittente TV, si giocò la faccia chiedendo di metterlo in scaletta.

Kurt, Kris e Dave Ghrole (nel frattempo Chad era stato cassato) partirono a tutta velocità sfidando l’industria musicale come uno shuttle sfida l’atmosfera per giungere nello spazio. In fin dei conti era quel che desiderava Kurt: una infanzia e adolescenza conflittuale segnata dai disastri familiari pretendeva un riscatto e quel successo sarebbe stata la giusta ricompensa. Questo era ciò che voleva durante il periodo universitario ad Olympia, da cui si era distaccato perché loro rigettavano ciò che era il mondo che odiavano. Kurt, invece, pur avendo lo stesso sentimento contro la cultura del far soldi velocemente (yuppies), della politica reganiana e dell’industria delle major aveva in mente altro: per cambiare le cose dovevi stare dentro al Sistema e cambiarlo dal suo interno. Un po’ come Neo in Matrix per capirci. Contro ogni sua aspettativa, compresa la propria, divenne in breve tempo il Messia di tutta quella generazione che non trovava più punti di riferimento nella Società, quei reietti o supposti tali sparsi qua e là nell’intero pianeta.

La loro musica era un mix micidiale e mai ascoltato: radici di un punk dai ritmi rallentati e accordi semplici, la potenza del metal, ma anche quelle strizzate d’occhio pop che facevano in modo che la loro musica entrasse nella mente. 

Ridono di me perché sono diverso,

io rido di loro perché sono tutti uguali

[Kurt Cobain]

Dietro a quel look trasandato e silenzioso, Kurt Cobain nascondeva un genio musicale che molti hanno paragonato a John Lennon. La differenza è che John Lennon ha lasciato il segno nei suoi 17 anni di onorata carriera, così come altri mostri sacri del rock: Kurt Cobain in appena 5 anni è diventato una sorta di divinità che tutt’oggi viene venerata. L’album del successo globale fu Nevermind che li proiettò in tour in tutto il mondo.

Così come Icaro con il suo volo, però, anche Kurt dovette soccombere alle pressioni mediatiche ed il suo atteggiamento dicotomico con la musica. I demoni della sua prima gioventù erano lì e si manifestavano con un continuo dolore allo stomaco e frequenti depressioni. Kurt li combatteva, ma avevo scelto il peggiore degli alleati: Mr Brownstone (modo gergale per chiamare l’eroina) con cui aveva una relazione da tempo. Stessa sorte era toccata alla donna di cui si era follemente innamorato, Courtney Love delle The Hole.

John Lennon aveva diciassette anni di esperienza negli studi di registrazione, Prince trentotto, David Bowie quarantanove. Kurt solo cinque

[Danny Goldberg]

La vena artistica di Kurt Cobain si sciolse di fronte al calore dei suoi conflitti e di quella inaspettata notorietà che fu la causa del suo controverso decesso. Di lui ci rimangono le sue canzoni contenute in appena quattro album di inediti ed un talento bruciato troppo prematuramente di fronte all’oracolo del successo. Mi piace ricordarlo con quel suo sguardo penetrante che, insieme a quel silenzio rotto dal suo rauco sospiro, concluse l’interpretazione di Where did you sleep last night in quella che fu una delle ultime apparizioni in pubblico dei Nirvana con l’Unplugged in New York.

C’è chi lascia il segno come un’orma del proprio piede sulla sabbia e c’è chi come Kurt Cobain ha scolpito la pietra della cultura lasciando il proprio segno per l’eternità.

Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock. Spero vi piaccia. Lasciate i vostri feedback perche’ diventerà un libro. Raccontateci chi è stata la vostra rockstar preferita. Chissà nel prossimo volume potreste trovarla su DETTI E FUMETTI.

Ed ora come di consueto vi lasci tre brani dei Nirvana da mandare come sottofondo della vostra vita.

Nirvana – Smell Like Teen Spirit

Nirvana – Heart Shaped Box

Nirvana – Where did you sleep last night

[STEFANO PANCARI per DETTI E FUMETTI -Sezione Musica -Articolo del 31 agosto 2020]

IL SUCCESSO CAMALEONTICO DEGLI U2 -STEO e LA STORIA DEL ROCK – capitolo 4 – gli 80s.

steo e gli 80s

Steo e gli 80s – illustrazione di Filippo Novelli

 

 

Non posso cambiare il mondo, ma posso cambiare il mondo dentro di me

[Bono Vox]

Il cambiamento è alla base dell’evoluzione, a volte è una necessità.
Quale forza dovrebbe spingerci a cambiare? Se, qualunque fosse il nostro status, ci imponessimo sempre di cambiare diventerebbe un’ossessione, ma tante volte rompere le catene delle abitudini è un atto di responsabilità verso noi e gli altri.
 
A volte, nell’ecosistema di abitudini, comportamenti automatici e situazioni che fanno parte del nostro quotidiano, ci sono cose che inconsapevolmente accettiamo, ma che tanto bene non ci fanno. Possiamo pensare ai nostri vizi, fumare per esempio, oppure chi di noi è facilmente irascibile e, ancora, chi ha grandi potenziali ma rimane lì dov’è perché in qualche modo “ha paura” a fare quel passo che permetterebbe di esprimerli.
 
Il rock ha rappresentato e rappresenta un simbolo della rottura dello status quo ed esso stesso si è reinventato nel corso dei decenni.
Siamo partiti nel viaggio con il rock’n’roll di Elvis Presley per arrivare al blues rock psichedelico dei The Doors un decennio dopo, stravolto a sua volta dal punk dei Ramones negli anni ’70.
 
 
Il rock non ha subito una metamorfosi solo sulla base del periodo storico e grazie al gruppo emergente di turno. Esistono alcune rock band che sono riuscite e riescono a rimanere sulla cresta dell’onda nonostante abbiano a curriculum 44 anni di carriera…e tutto questo lo devono sì alla loro vena artistica, ma adattata e adattabile al cambiamento.
 
Prendi per esempio U2. Chiamiamoli “come si deve”: YOU TOO (anche voi) e non U-DUE. Iniziarono nel 1976, proprio sull’onda emotiva dei concerti di personaggi come i Ramones ed in un solo decennio, gli anni ’80, sono diventati il gruppo più importante nel panorama mondiale del rock.
 
80s
 
 
 

Gli U2 erano già una band ancor prima di essere in grado di suonare

[Bono Vox]

U2, foto inedite band in mostra ad Asti

 
Nel 1980 esordiscono con BOY, cavalcando l’ondata della new wave e del post punk, con I will follow e le loro tensioni di adolescenti della periferia dublinese, per arrivare sulla vetta del mondo nel 1987 con JOSHUA TREE. Sì avete letto bene: l’album che da solo contiene Where The streets have no name, With or without you, I still haven’t found what I’m looking for e una scaletta che da sola è una compilation di grandi hits.
 
 
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In mezzo un decennio a colpi di collaborazioni con Brian Eno, brani che hanno con coraggio parlato di Martin Luther King e delle guerriglie civili irlandesi, consacrandosi con una performance che solo i Queen riuscirono ad oscurare nel Live Aid.
 
Conquistarono la copertina di Time Magazine, come solo The Beatles e The Who erano riusciti a fare, oltre 5 milioni di dischi venduti nel mondo ed un filotto di sold out nel loro tour mondiale The Joshua Tree Tour.
 
Quando sei a quelle altitudini l’aria è rarefatta ed il rischio di avere la mente annebbiata dal successo è dietro l’angolo.
 
I quattro piccoli ragazzi irlandesi avevano di diritto preso lo scettro di rockstar e non avevano nemmeno 30 anni.
 
All’album del decennio seguì Rattle & Hum che raccontò, sia con note che con pellicola cinematografica, il loro tour americano, con tanto di dediche e devozione a Bob Dylan, Jimi Hendrix e Billie Holiday. I dischi di platino, il successo e l’americanizzazione li avevano allontanati dalla tanto amata quanto odiata periferia di Dublino e dalla loro identità stessa.

Penso che la cosa più importante della musica sia il senso di fuga

[Thom Yorke]

Bono Vox e gli amici di una vita The Edge, Larry Mullen Jr e Adam Clayton avrebbero potuto essere la cover di sé stessi per il resto della loro vita facendo soldi a palate, ma l’anima rock non la puoi accendere o spegnere a tuo piacimento e loro erano LE rockstar di quegli anni, nessuno sapeva cosa avrebbero tirato fuori dal cilindro.
 
Si rifugiarono a fine degli anni ’80 in una Berlino in pieno fermento tra la libertà della caduta di Berlino e l’incertezza del domani.
 
Dovevano sentire dentro di loro cosa li aveva portati fin lì e dove sarebbe andati da quel giorno in poi.
 
Un dilemma non da poco, tanto che la loro gloriosa galoppata era in procinto di arrestarsi.
 
Tante, troppe volte la fama ha inghiottito talenti del rock, ma quegli irlandesi avevano la pelle dura: non certo dei santi (scagli la prima pietra chi è senza peccato!), ma persone con sani principi. Come dichiarato da Bono “ai tempi di Berlino non avevamo idea di cosa saremmo voluti diventare, ma eravamo sicuri di ciò che non volevamo essere”.
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Fu con questo atteggiamento che successe l’imponderabile: nel tempio degli Hansas Studios di Berlino, dove avevano già registrato mostri sacri come Lou Reed, David Bowie ed Iggy Pop, a The Edge venne fuori il giro di accordi della vita.
 
Quella sequenza di note erano il primo gemito di una neonata One (secondo MTV la miglior canzone degli anni ’90 e trentaseiesima migliore canzone del mondo secondo la classifica di Rolling Stone) e dell’album Acthung Baby, che ha sconvolto radicalmente le logiche musicali degli U2 e dell’intero mondo del rock.
L’album, anch’esso in posizione altissima nella classifica dei migliori album di tutti i tempi secondo Rolling Stone, uscì il 18 novembre del 1991 e 6 giorni dopo un’altra leggenda del rock salutò il mondo, Freddy Mercury: dopo il Live Aid, in cui scettro e corona se li portò a casa come il calciatore con il pallone quando segna una tripletta, fu come un passaggio di testimone tra miti per continuare a dar vita ed onorare il rock.

Se devi fare una cosa, falla con stile. [Freddy Mercury]

Elettronica e distorsioni miscelate con le melodie e le chitarre di un rock più classico andarono a mettere il segno in una generazione di musicisti che di lì a breve furono ispirati a dar seguito ad una nuova lettura del genere: dai Radiohead ai Muse, dai Placebo ai Coldplay.
 
Questo è solo un pezzo della storia di quattro semplici ragazzi che erano partiti con scarse doti tecniche nella musica, ma con tanta passione e gesta epiche hanno fatto della lettura dei tempi che cambiavano e del cambiamento stesso il loro status, marcando un segno indelebile nella storia del rock che tutt’oggi stanno scrivendo.
04 - u2 - oggi
 
Gli U2 sono la dimostrazione che cambiare è possibile per tutti, anche quando tutto sembra perso o anche quando pensi di aver conquistato tutto. Viviamo in un mondo dove cambiare certi atteggiamenti nei confronti di noi stessi, degli altri e dell’ambiente è una necessità se vogliamo dare alle future generazioni una cultura di amore e rispetto reciproco.
Basta mettersi alla prova e avventurarsi where the streets have no name.
 
Io sono STEO e questa è la mia Storia del Rock. Se vi è piaciuto l’articolo regalate ai vostri amici il mio libro.
 
 
 
 

  Lasciatemi i vostri feedback, ditemi chi sono stati i vostri miti del rock e chissà potrete trovarli nel prossimo volume. Ed ora vi lascio come di consueto tre brani che vi faranno conoscere meglio gli U2 e il loro camaleontismo.  

U2 – Sunday Bloody Sunday

U2 – Where the streets have no name

U2 – Until the end of the world    

[Stefano Pancari per DETTI E FUMETTI – Sezione Musica – Articolo del 8 agosto 2020]

La storia del Rock -i 60s -L’eterna aurea di -Jim Morrison

steo il re lucertola

 

Non sono gli anni della tua vita che contano, ma la vita nei
tuoi anni.

[Abraham Lincoln]

Gli anni ’60. I rivoluzionari anni ’60. I babyboomers sono cresciuti, così come le loro
consapevolezze ed i loro capelli sempre più lunghi. La Società, la cultura e la musica in
quegli anni andavano spediti verso una nuova identità sotto il nome dell’amore e
dell’unione. Ci farebbe bene una buona dose di quei valori oggi che siamo rintanati nel
nostro Facebook (ndr).

60s

Un’identità caratterizzata dalla rottura dello status quo, quello status forgiato da una società conservatrice e bacchettona, dalla sua politica della guerra, da una cultura antisemita. Non è un caso che il rock sia stato la colonna sonora per eccellenza di quel periodo. Non c’erano più solo Chuck Berry, Elvis Presley e Little Richard: una nuova generazione stava facendo passi da gigante ed ogni orma lasciata è rimasta tutt’oggi impressa nel pianeta della musica e della società civile.

Alcuni artisti hanno un modo di vivere ed un modo di fare arte, per me ne esiste uno solo.

[Janis Joplin]

Difficile, per non dire impossibile, eleggere il porta bandiera del rock targato 60’s: se parlassi dei The Beatles farei un torto ai The Rolling Stones. Così come potrei scrivere dell’immensa Janis Joplin, di Syd Barret e dei primi Pink Floyd. E ancora Jimi Hendrix, The Who, Santana, Joe Cocker…la lista di mostri sacri è veramente senza fine. Ma i The Doors con Jim Morrison avevano qualcosa che gli altri non avevano.

 

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James Douglas Morrison, con il suo background di colto poeta, esperto cinematografo, di bambino speciale (racconta che da piccolo, vedendo dei nativi americani morti sull’asfalto per un incidente, ricevette lo spirito dello sciamano), insieme alla sua allucinata vita priva di limiti, aveva dato avvio ad un’espressione ribelle e rivoluzionaria, tanto da spaventare e inimicarsi le Autorità ed addirittura la politica. In soltanto 5 anni è stato capace di mettere il suo volto tra gli Dei del rock e tutt’oggi la sua tomba a Père Lachaise è venerata da migliaia di fan. I suoi concerti erano rituali sciamani e psichedelici e lui, come lo definì il compagno di musica Ray Manzarek, sul palco era la reincarnazione del Dio greco Dioniso. La sua figura è tutt’oggi così pesante che si è scomodato anche un certo Oliver Stone per portare la sua vita in pellicola, non un regista qualsiasi.

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Quando le porte della percezione saranno purificate, all’uomo apparirà come realmente è: infinito.

[William Blake]

 Il giovanissimo Jim lasciò casa e famiglia per mettere tenda a Venice Beach dove studiava cinema. Erano anni di forte emancipazione in cui l’uso di droghe, specialmente allucinogene, erano all’ordine del giorno: si pensava che aiutassero ad aprire le porte della percezione, come del resto aveva intitolato Huxley il suo libro. Jim era in prima linea in questa sperimentazione e furono proprio “quelle porte” a dare il nome al suo gruppo formato con l’amico di studi Ray Manzarek ed insieme a John Densmore e Robby Krieger. Negli anni ’60 non si pubblicavano i propri esperimenti artistici su YouTube e nemmeno si misurava la propria celebrità a suon di like e migliaia di follower. Così come per la quasi totalità degli artisti di quei tempi, The Doors cominciarono a suonare in piccoli e fumosi locali dove il pubblico poteva essere composto da 20 o 30 corpi danzanti. La voce dell’esistenza di un gruppo pseudo intellettuale che suonava rock, blues e interessanti contaminazioni jazz si sparse rapidamente e, in men che non si dica, si trovarono sul palco del mitico locale Whisky a Go Go su Sunset Boulevard della West Hollywood, a fianco di personaggi del calibro di Frank Zappa e Van Morrison. Ipnotizzarono il pubblico il cui corpo cominciò a muoversi sinuosamente mosso come chioma al vento (novità rispetto alle danze impostate degli anni precedenti). Sarebbe stato un successo se l’organizzatore, un giorno del 1966, non fosse andato in bestia di fronte ai versi della canzone The End. Erano troppo: riferite al complesso di Edipo in versione freudiana, ma che tanto sapevano di incesto, furono il motivo per cui prese a calci buttandoli fuori. Poco male visto che, grazie a quell’esibizione, furono notati dalla Elektra Records che gli offrì un contratto ed in sei giorni registrarono il primo loro album omonimo. Era il 4 gennaio 1967 ed il Re Lucertola, uno dei suoi tanti soprannomi, si stava per impossessare dell’attenzione mediatica e del pubblico statunitense prima e del mondo poi.

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Non vivere con la paura di morire, ma muori con la gioia di aver vissuto.

[Jim Morrison]

Jim Morrison aveva un “piccolo” problema, non sapeva stare alle regole. Già con il primo album finirono all’Ed Sullivan Show, un’istituzione per quei tempi e l’occasione per avere l’attenzione nazionale in TV. C’erano già stati Elvis Presley, The Beatles e The Rolling Stone. Mick Jagger e compagni dovettero accontentare Ed cambiando una parola nel testo Let’s spend the night togheter per farlo risultare più decente. Quella “decenza” che era la massima rappresentazione del puritanesimo. Il burbero Sullivan, ci era riuscito con Jagger, ma ci aveva già provato con Elvis ed il suo movimento pelvico, andandogli male: così come con Jim e soci. in Light my fire avrebbero dovuto cambiare la parola “higher” nella frase Girl, we couldn’t get much higher. La parola scelta dai produttori del programma TV era “better”. Questo perché il verso sotto accusa ammiccava all’uso di droghe e non potevano andare in diretta nazionale con un messaggio del genere. Forse non avrebbero potuto in tanti, ma non Mr. Morrison che, in barba al tentativo di “restaurazione culturale” della vecchia guardia, non fece alcuna variazione al testo facendo imbestialire il conduttore televisivo. Non fu il solo caso di ribellione e sfida alle Autorità: nei loro 200 concerti The Doors erano soliti alle provocazioni, quando del pubblico, quando delle forze dell’ordine. Provocazioni che gli costarono care come nel Live al New Haven nel 1968 in cui attaccò verbalmente la polizia, dopo che aveva avuto un diverbio con uno di loro nel backstage interrompendo il suo momento di intimità con una ragazza. Ci fu una vera sommossa e ancora nessuno sapeva che, tra il pubblico in preda al delirio, c’era un certo James Ostenberg che di lì a poco sarebbe diventato Iggy Pop formando i The Stooges e ispirandosi proprio alla sua icona Jim.

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Questi giovanotti conoscono alla perfezione gli spartiti, ma non sanno neppure cosa significhi vomitare

[Iggy Pop]

Questo è stato Jim Morrison nel suo breve passaggio sulla Terra: un’icona immortale. Vuoi per l’alcol, per le droghe o per la sua personalità eccentrica era come se si stesse rapidamente dissolvendo. Mentre la lancetta del tempo scorreva lui rapidamente lasciava la polvere di sé disperdersi nell’aria, diventando presto un’aurea che avrebbe raggiunto il mondo per l’eternità. Tormentato dal peso della celebrità e dei suoi demoni la stella di Jim cominciò ad affievolire la sua luce ed il processo, seguito all’ennesima provocazione al concerto di Miami (ancora oggi non si hanno prove che veramente lui aveva mostrato gli attributi come secondo il capo d’accusa), fu la condanna per colui che si dichiarò vittima del puritanesimo, proprio come uno dei suoi poeti preferiti, Oscar Wilde. Jim Morrison ed The Doors erano considerati così “socialmente pericolosi” che non furono nemmeno invitati al celeberrimo Festival di Woodstock (sacrilegio!).

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Nessuno ha mai progettato di essere.

[Jim Morrison]

Preso dai problemi giudiziari e da una forma fisica in fase degenerativa, lasciò The Doors con l’ultimo album L.A. Woman, uscito poi nell’aprile del 1971. Album che contiene l’epica Riders on the Storm, in cui i tuoni ed il suono della pioggia sembravano presagire un futuro nefasto. Pochi mesi dopo, durante la sua permanenza a Parigi, il Dio del rock raggiunse gli altri Dei sul monte Olimpo per guardarci divertito da lassù. Ha raggiunto Robert Johnson, Brian Jones, Janies Joplin e Jimi Hendrix; avevano tutti soltanto 27 anni e con i successivi Kurt Cobain ed Amy Winehouse, oggi formano quel mazzo di fiori sfioriti troppo precocemente a causa delle loro esagerazioni e follie: il Club 27. Della sua presenza terrena resta la grandezza dei suoi testi, della sua musica e della sua rappresentatività della generazione di Babyboomers che con i propri ideali ha cambiato i connotati al mondo. Mi piace ricordarlo non per le sue follie, ma per ciò che ha rappresentato e rappresenta tutt’ora. Di lui ci resta la forza sovrannaturale di cui è dotato l’uomo comune come noi, quella forza che può farci determinare il cambiamento ed esserne voce in poco tempo. Lui ci è riuscito in una manciata di anni. Tutto ciò fa di Jim Morrison, il Poeta maledetto, una delle più grandi leggende del rock.

 

This is the end, my only friend…the end

[Jim Morrison]

 

Io sono Steo e questa è la mia Storia del Rock illustrata da Filippo Novelli su DETTI E FUMETTI.

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Come di consueto al  termine della storia vi consiglio l’ascolto di tre brani:

Ne abbiamo fatto un libro potete acquistarlo su AMAZON.

 

 

Ci vediamo presto con il terzo capitolo. Stay Rock!

[Stefano Pancari per DETTI E FUMETTI – sezione Musica – articolo del 19 luglio 2020]

L’arte del riciclo. Allestire una scrivania 2.0 con componenti IKEA RICICLATI – Fatti prendere dal mood della IKEA REGENERATION

Avere la possibilità di cambiare mobilio dopo un tot di anni  prima dell’avvento dei mobili a basso costo (leggi IKEA & CO) era inconcepibile. Prima i mobili si tramandavano di generazione in generazione; chi di voi non aveva la scrivania, l’armadio o la madia della nonna? Dall’avvento del Cheap Forniture non è stato piu’ cosi’. Dopo un po’ di anni se vuoi cambiare mobili non ti fai tanti scrupoli. Li butti senza pensieri.

C’è una moda che sta spopolando, quella della IKEA REGENERATION. molti anziche’ buttare i mobili li riciclano per ottemperare alle sue nuove esigenze.

E’ capitato anche a noi di DETTI E FUMETTI che ci siamo fatti una nuova parete attrezzata, da MANGAKA 2.0.

Stavamo buttando un lampadario e una spalliera di un letto da bambino quando abbiamo applicato il protocollo IKEA REGENERATION.

Il lampadario è diventato una lavagna luminosa  su cui disegnare che, se appesa al muro, acquistava anche la funzione di lampada da tavolo.

La spalliera appesa al muro, distanziata con dei piedini, che diventano punti di aggancio per dei cestelli per colori, è divenuta una bellissima parete attrezzata per disegnare.

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sketch1569244845543Insomma oggi idealmente abbiamo ottenuto la famosa T-shirt brucola d’oro per l’arte del riciclo.

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[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione L’Arte del Riciclo – articolo del 23 settembre 2019]

 

La Recensione di DETTI E FUMETTI di DIVENTA AUTORE DELLA TUA VITA il libro di Francesco Marconi edito da RIZZOLI

Amici finalmente ci siamo!

Francesco Marconi, che già avevamo  incontrato qualche anno fa  (QUI la nostra intervista), ieri ci ha dato la notizia:  a due anni dalla uscita di LIVE LIKE FICTION esce anche nella versione italiana  DIVENTA AUTORE della TUA VITA – 30  giorni per trasformare i tuoi sogni da bozza a capolavoro, edito per BUR – RIZZOLI.

Di cosa parla il libro:fr marconi filippo novelli disegno

“Dove ti immagini nei prossimi dieci anni? Che cosa vedi se pensi a come si svilupperà il tuo futuro? Se non riesci a rispondere a queste domande in modo immediato, se non hai un piano per raggiungere i tuoi obiettivi, questo è il libro giusto per te. Non l’ennesima guida su come avere successo, perché non è scritto da chi si sente arrivato all’apice della sua carriera, ma un testo unico per costruire il proprio percorso da un giovane innovatore, già di grande successo ma ancora “in viaggio”, in base alle sue osservazioni in tempo reale. Seguendo una provocatoria tabella di marcia di quattro settimane – in trenta capitoli, uno per ogni giorno del mese –, e con un metodo originale in sei fasi, denominato #CREATI, Marconi mostra come individuare i propri obiettivi, orientare l’energia, influenzare gli altri e sviluppare capacità di leadership per dar vita alla propria storia, mettendo da parte i cliché sulla carriera. Con racconti di vita vissuta, ricerche all’avanguardia, tattiche testate ed esercizi coinvolgenti. Perché il segreto per realizzare i sogni è scrivere il copione della propria vita.

Questo quanto ci ha raccontato nel sunto del sito. Ma noi volevamo conoscere la genesi. Ecco perché siamo andati a trovarlo.

F. : Ciao Francesco! come stai, ti va di raccontarci qualcosa in piu’?

Fr.: Certamente! Ti racconto come è nato questo libro. Nel luglio del 2015 avevo scritto un post nel mio blog ispirato alle osservazioni sulla creatività, la narrazione e i suoi scopi. Un giorno venne a trovarmi a New York un mio amico e mi disse che gli piaceva molto. Inizio a scattare qualche foto dei miei appunti, schemi che avevo sulla scrivania e a condividere  tutto cio’ con  qualche amico.  Questo piccolo gruppo si allargo e le mie osservazioni divennero in breve virali. Aggiunsi qualche ingrediente chiave come:

-feci dei post che necessitassero di una lettura di soli sette minuti

-trasformai i titoli in domande

e altre piccole cose.

Il riscontro crebbe ancora e decisi di farne un libro. Passai la bozza ad un ristretto gruppo di amici che con il loro feedback divennero dei veri e propri co-autori. Sono seguiti i feedback di persone del ramo come giornalisti, imprenditori ed artisti.

Costruire questa piccola comunità fu un’arma vincente.

Iniziai a proporlo ad alcuni editori. Ricevetti diversi rifiuti ma non fu grave. Nel 2017 riuscii a pubblicare il libro LIVE LIKE FICTION. Una volta ottenuto L'”oggetto fisico” in mano mi si aprirono molte opportunità. Qualcuno una volta mi ha detto che un libro infatti è il nuovo biglietto da visita che ognuno di noi dovrebbe avere.

Ho iniziato ad avere molte opportunità per fare quattro chiacchiere, workshop, conoscere persone.

Nel gennaio del 2018 è stato pubblicato in portoghese ed ora finalmente ad ottobre uscirà anche in italiano.

F.: Grande! Good Job! Sono proprio contento e non vedo l’ora che tu possa avere l’opportunità di essere conosciuto anche in Italia. Un’ ultima domanda.  Cosa ti porti a casa da questa esperienza, cosa hai imparato?

Fr.:  Quello che ho imparato? L’importanza di creare in modo incrementale e il potere della persistenza.

F. Allora che dire, al prossimo libro, ho letto che ne sta per uscire uno nuovo in questo prossimo mese (NEWSMAKERS -l’intelligenza artificiale e il futuro del giornalismo). Speriamo che l’attesa per averlo in italiano sia piu’ breve di questa volta… intanto comunque godiamoci

Diventa autore della tua vita

libro

 

Un saluto a nome dei lettori di DETTI E FUMETTI

Fr. Grazie a voi e a presto!

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – Sezione Letteratura ed Economia – articolo del 22 settembre 2019]

 

OSVY e il GATTO il nuovo libro di Filippo Novelli prodotto da AMAZON

Cosa accade quando tua figlia adotta un gatto? Ve lo siete mai chiesto? Cambiano le tue abitudini, il modo di disporre gli oggetti ed i mobili della tua casa, le tue spese quotidiane. E’ una gioia si ma anche un grande impegno. Osvy, il porcospino antropomorfo ce lo racconta con il suo tipico humor nero.

Inizia così il nuovo libro scritto e disegnato da Filippo Novelli, edito da EFFE ENNE GRAPHIC STUDIOS e distribuito da AMAZON.

Qui trovate il link per acquistare il libro  OSVY E IL GATTO oppure potete fare click sulla immagine

copertina finale

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione Fumetto – articolo del 11 settembre 2019]

 

Willy intervista l’attore Emiliano Luccisano e il musicista Alessandro Lozzi


E’ doveroso prima di iniziare questa interessante chiacchierata, una piccola presentazione: Emiliano Luccisano è co-fondatore insieme ad Alessandro Lozzi del portale AttoreDinamico-#ilmestierepiùbellodelmondo e fondatore della compagnia Controcorrente. Autore presso RAI Mediaset LA7 e Dado canta la notizia, nonché regista di cinema e teatro.
Alessandro Lozzi è Co-Fondatore AttoreDinamico-#ilmestierepiùbellodelmondo, fondatore presso Rosso Music Lab – Scuola di Musica a Domicilio Musicista, Arrangiatore presso Compagnia Controcorrente.

W. Allora Emiliano, so che dopo anni di intenso lavoro attoriale, sei riuscito nella stesura del metodo della BIODINAMICA© e il portale ad essa correlato: http://www.attoredinamico.it. Raccontaci un po’ come è andata.

E.:È andata in maniera molto naturale. Con la Compagnia Controcorrente composta da me, Ilary Artemisia Rossi e Claudio Cappotto abbiamo sempre creduto nella tecnica. Siamo di quelli che fanno moltissime prove. Ogni opera che portiamo in scena, anche la più leggera, è una scusa per noi per sperimentare nuove tecniche, nuove soluzioni sceniche e attoriali. Tutto questo vuol dire passare molte ore in sala prove, affrontare molti problemi relativi allo stile complessivo della messa in scena e a come sia più giusto ed efficace per un attore affrontare un nuovo personaggio. Al centro della nostra ricerca c’è sempre stato il corpo, e su quello ci siamo interrogati di continuo. Non sono un attore, né tantomeno un regista, che ama le prove a tavolino e i metodi troppo teorici o “mentali”. Ho quasi un’ ossessione per il ritmo, a prescindere dal genere che decido di affrontare, e col ritmo mi piace giocare. Far parte di una compagnia come la Compagnia Controcorrente mi ha dato la possibilità di sperimentare e di studiare a tutto tondo, senza limiti, tutti i giorni e tutto il giorno per molti anni, insieme ai miei compagni di lavoro. Il metodo della Biodinamica nasce durante quegli anni, ed è la sintesi di tutte le sperimentazioni, le improvvisazioni e i vari metodi usati durante i nostri allestimenti. Ha avuto una grande evoluzione nel tempo, affinandosi sempre di più. Questo anche perché ho avuto la fortuna di avere a disposizione moltissimi attori e attrici, sia professionisti che allievi su cui sperimentare gli effetti e i risultati del metodo, grazie al bacino artistico che mi fornisce il TEATRO LABORATORIO e i gruppi che dirigo da formatore o da regista. Avere ogni settimana 50-60 attori e attrici, tutti diversi tra loro con cui sperimentare, è una grande risorsa per lo sviluppo di un metodo. L’importante è non cercare mai un punto d’arrivo, ma mettere continuamente in discussione anche i punti che crediamo certi e consolidati. Questo perché il mestiere attoriale è un fluido in continuo movimento: cambiano i tempi, cambia il pubblico, cambia l’uomo stesso. Di conseguenza un metodo fermo, è un metodo che è già scaduto, già morto.

W. Molto bene siamo però curiosi di sapere come te la cavi nei panni del maestro, visto che tieni dei corsi di teatro aperto a tutte l’età.

E.:I panni del maestro mi piacciono molto, non lo posso nascondere. Anche se sono un maestro un po’ atipico, vuoi per l’età, vuoi per una mia particolare filosofia d’approccio. Io uso molto i miei allievi come cavie, nel senso buono del termine, soprattutto quelli più inesperti. Sono una fonte inesauribile di studio perché non hanno nessun tipo di sovrastruttura o di “convinzione inamovibile” che spesso si trovano in attori e attrici più formati. Durante le lezioni, oltre ad insegnare, impariamo. E impariamo tantissimo, loro da me e io da loro. Per questo cerco di plasmarli il meno possibile (salvo ovviamente le nozioni di base). Questo all’inizio un po’ li disorienta perché non gli dà degli appoggi sicuri, dei paletti saldi ai quali reggersi. Hanno solo uno o due binari sui quali camminare, il resto deve farlo il loro corpo. Sono più di sette anni che esiste questa realtà, le sedi aumentano di anno in anno così come gli attori e la passione che provo nello stare in sala con loro è sempre maggiore. Anche quando gli impegni televisivi o di tournée mi portano fuori, cerco sempre di prendere il primo treno o il primo passaggio per non perdere la lezione. Inoltre amo molto il termine LABORATORIO, mi identifica di più rispetto a termini come scuola o accademia. Mi da un senso di evoluzione continua, una sensazione di essere su un’isola felice in cui si recita, si recita sempre, si recita e basta.

W. Invece ad Alessandro voglio chiedergli di parlarci della simpatica e intelligente idea di fondare una scuola di musica a domicilio la Rosso Music Lab – Scuola di Musica a Domicilio. https://www.rossomusiclab.it

A.: Per la prima parte della mia vita sono stato esclusivamente un musicista. Studiando, suonando in diverse formazioni e – dal 2009 circa – componendo le colonne sonore di alcuni progetti di Emiliano e della sua Compagnia Controcorrente.
Successivamente ho avuto modo di entrare a contatto con alcune attività imprenditoriali che hanno un po’ “stravolto” la mia strada. Da queste due esperienze nel 2012 è nato ROSSO MUSIC LAB. Il nome, neanche a dirlo, è stato scelto insieme a Emiliano – amico fraterno di una vita.
L’idea di base è semplice: portare la musica e il suo insegnamento fin dentro casa, con una squadra via via crescente di professionisti. A questo abbiamo aggiunto con gli anni l’idea di rendere ROSSO MUSIC LAB una vera e propria scuola di musica “senza le pareti”. Ne sono una prova le esibizioni degli allievi che organizziamo due volte l’anno.
ROSSO MUSIC LAB è un po’ come il metodo descritto da Emiliano: in continuo fermento. Ogni anno, ogni mese, talvolta ogni giorno, si evolve e si trasforma al fine di assecondare le esigenze di un progetto in espansione.
Non nego che l’esperienza ROSSO MUSIC LAB, è per me direttamente collegata alla nascita di ATTORE DINAMICO.

W. Ora parliamo un po’ del vostro portale AttoreDinamico-#ilmestierepiùbellodelmondo. Nella rubrica “un video al giorno” Mentre Alessandro traffica con la videocamera, inventandosi effetti speciali, Emiliano ci parla di una serie di problematiche che l’attore/attrice specialmente se alle prime armi, deve superare e soprattutto sopportare. Chi se la sente di spiegarle ai nostri lettori!?

Emiliano: Inizio col dire che Attore Dinamico è casa nostra. Ed è una casa dove è sempre festa, nonostante il durissimo e costante lavoro. È un punto di vista sul teatro, e in generale sul lavoro attoriale, che evidentemente mancava. La cosa paradossale è che l’attore sono io ma questa idea è di Alessandro, nome compreso. E come tutte le idee degne di questo nome, è un’idea che c’è venuta in un pomeriggio in cui cercavamo delle soluzioni alle nostre vite ingarbugliate.

Alessandro: Emiliano è sempre troppo gentile. La verità è che Attore Dinamico può esistere perché esistiamo noi due. Ne abbiamo parlato per un anno intero, osservando quello che succede nel web e pensando a cosa mancasse. Abbiamo sognato di dar voce al nostro progetto, e – “in un freddo pomeriggio d’inverno” è nato il nostro portale. Dopo 2 anni il primo video (come da tradizione girato dentro un garage) e il resto, fino ad oggi, lo conoscete.

Emiliano: Diciamo inoltre che io e Alessandro lavoriamo insieme in tutti i nostri progetti a 360°. Abbiamo fatto di tutto insieme: curato format web da milioni di visualizzazioni a settimana come Dado Canta La Notizia, abbiamo costruito un portale per digitalizzare e facilitare la vendita dei biglietti di eventi artistici tramite strategie di web marketing, ci aiutiamo e sosteniamo sempre anche nei progetti individuali. Alla base di tutto questo c’è il rispetto assoluto dei confini personali, dei ruoli e delle capacità dell’altro. Questo è possibile ovviamente perché siamo fratelli nella vita e da una vita.

Alessandro: l’ho già detto che Emiliano è troppo gentile? Ad ogni modo confermo tutto, in oltre 10 anni di amicizia fraterna ne abbiamo combinate parecchie, nella vita e nel lavoro. Quanto ad Attore Dinamico, per chi ancora non ci conosce ci trovate su Facebook (www.facebook.it/attoredinamico), su YouTube e sul nostro sito (attoredinamico.it) che nei prossimi mesi abbiamo in programma di stravolgere.
Noi continuiamo, finché non ci arrestano.
Bene, nella speranza che ciò non avvenga, ringraziamo Emiliano Luccisano e Alessandro Lozzi, per la loro disponibilità e vi invitiamo a seguire il nostro blog Detti&Fumetti.it
A Presto
[Dario Santarsiero (Willy il Bradipo) per DETTI E FUMETTI – articolo del 27 luglio 2017]