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WILLY INTERVISTA SILVIA CASINI coautrice di “La ragazza che amava Miyazaki”

Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti, oggi sono in compagnia di Silvia Casini;

Silvia -E-Bic – di Filippo Novelli

scopriamo insieme la sua biografia: dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere, hai ricoperto il ruolo di project manager presso l’Istituto Internazionale per il Cinema e l’Audiovisivo dei Paesi Latini di Gillo Pontecorvo e Sandro Silvestri. Ti sei occupata di relazioni internazionali e della promozione dei film italiani all’estero. In seguito, ti sei specializzata in marketing strategico e hai iniziato a collaborare con diverse case di produzione e distribuzione cine-tv nel settore del product placement. Negli anni, hai collaborato con diversi siti web e testate giornalistiche. Attualmente gestisci Upside Down Magazine, sei consulente esterna della Hop Film, ghostwriter per l’agenzia Comon e scrivi le riviste Anime Dossier, Anime Enciclopedia e Confidenze. Hai curato la sezione cinematografica della mostra Itadakimasu – Piccole Storie Nascoste nella Cucina degli Anime (Palazzo della Meridiana, dal 12 ottobre 2023 al 28 gennaio 2024). A Roma sei responsabile della programmazione culturale dei Japan Days del Mercatino Giapponese. Nel 2024 con Raffaella Fenoglio e Francesco Pasqua, avete scritto “La ragazza che amava Miyazaki”. Mentre Giulia Tomai ne ha illustrato le pagine.

D. Com’ è nata la passione per Hayao Miyazaki?

S. Tanto tempo fa mi sono innamorata di Miyazaki. È stata una vera epifania.

Principessa Mononoke e La città incantata mi hanno catturato nel profondo, e da lì tutto il resto della sua straordinaria filmografia. Condivido con Miyazaki la stessa passione per lo stupore, per l’eccezionale che si manifesta nel quotidiano, per le parole che toccano il cuore e per i sentimenti che possono spaventare e travolgere.

D. Qual è il punto focale del lavoro del regista Miyazaki?

S. Hayao Miyazaki è noto per il suo approccio unico nel mescolare elementi fantastici con temi universali, dando vita a narrazioni che non solo intrattengono, ma invitano anche ad una riflessione critica sul mondo contemporaneo. Una delle sue caratteristiche più distintive è l’abilità di costruire mondi immaginari ricchi di fascino.

Film come Il mio vicino Totoro e Ponyo sulla scogliera trasportano gli spettatori in universi dove la natura e la magia si intrecciano in una perfetta simbiosi. Tuttavia, dietro questa bellezza visiva si nasconde un messaggio profondo sulla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Infatti, Miyazaki mette spesso e volentieri in luce l’importanza della preservazione di Madre Natura, un tema sempre più urgente nel contesto odierno. Inoltre, i personaggi di Miyazaki sono perlopiù giovani in cerca del loro vero sé. Attraverso le loro peculiarità intrinseche, vengono esplorate questioni come l’identità, l’autorealizzazione e le relazioni interpersonali. Un altro aspetto fondamentale è sicuramente l’inserimento di elementi folkloristici e culturali. Le sue opere sono intrise di riferimenti a piatti tipici, a miti, a leggende e a tradizioni storiche, contribuendo a creare un senso di forte autenticità. In questo modo, Miyazaki riesce a evocare emozioni profonde attraverso sequenze visivamente straordinarie, creando un’esperienza cinematografica indimenticabile. Motivo per cui la sua arte diventa un mezzo per sviscerare le complesse sfumature dell’esistenza umana. Infatti, i suoi lungometraggi non solo rivelano un’eccellente maestria artistica, ma anche un forte impegno verso questioni sociali ed ecologiche di indubbia importanza.

D. Con la Città Incantata Miyazaki vuole inviarci dei messaggi positivi, sei d’accordo?

S. Uno degli aspetti più significativi del film è il viaggio di crescita della protagonista Chihiro. Attraverso le sue avventure in un mondo magico e misterioso, ci si confronta con tematiche universali come l’identità, la responsabilità e la determinazione.

La trasformazione di Chihiro, da ragazzina capricciosa a umana coraggiosa, simboleggia il potere della scoperta interiore. Lungo il suo arduo cammino, apprende che l’amore e il supporto sono essenziali per affrontare le sfide della vita, e che anche nei momenti difficili è possibile trovare forza per andare avanti. La dimensione ecologica del film è altrettanto importante. Miyazaki ci invita a riflettere sull’interazione tra gli esseri umani e l’ambiente naturale. La città incantata è popolata da creature straordinarie e meraviglie naturali, ma è anche un luogo minacciato dall’avidità e dalla disconnessione degli esseri umani. La figura del dio putrido, bistrattato e inquinato, rappresenta le conseguenze scellerate delle azioni umane. Inoltre, negligenza e avidità si trovano in apertura con la trasformazione dei genitori di Chihiro in maiali, ma qui potrei soffermarmi per ore e non voglio tediare nessuno. Un altro punto focale del film è il tema della memoria. Molti personaggi, come Haku, non ricordano esperienze passate o addirittura il proprio nome, perché la strega Yubaba rappresenta lo schiavismo per eccellenza. Sottrae sempre parzialmente il nome dei malcapitati che finiscono nella città degli spiriti, motivo per cui a un certo punto non hanno più coscienza della loro identità. E anche su questo aspetto potrei dilungarmi per ore, ma faccio la brava e chiudo sottolineando il fatto che Miyazaki è bravissimo a mettere in evidenza l’importanza di onorare le proprie origini e il proprio passato, perché solo attraverso i ricordi, possiamo costruire un futuro migliore.

D. Aver scritto insieme a Raffaella Fenoglio e Francesco Pasqua “La ragazza che amava Miyazaki” cosa ti ha lascito?

S. Il libro è nato da un’idea di Francesco Pasqua e, dopo un brainstorming con me, ci siamo subito messi in contatto con Raffaella Fenoglio. Da quel momento, abbiamo iniziato a lavorare sulla sinossi. Raffaella e io abbiamo poi redatto la prima stesura del testo. Dopo un primo giro di bozze, il manoscritto è finito nelle mani di Francesco, che, in qualità di story editor, ha riorganizzato interi blocchi. Infine, è tornato nelle mie mani e in quelle di Raffaella per l’editing finale. Dopodiché, è magicamente uscito per Einaudi Ragazzi.

È stata un’avventura che abbiamo amato molto. E senza ombra di dubbio, è stata straordinaria. Francesco ha conosciuto una ragazzina che viveva in una mansarda, proprio come Kiki. Da quel momento, l’idea del libro ha preso forma nelle nostre menti. Infatti, La ragazza che amava Miyazaki è un libro perfetto per chiunque abbia voglia di sognare.

D. Quanto il personaggio di Sofia ti rappresenta?

S. La ragazza che ama(va) Miyazaki sono io, che cerco la vibrante energia umana in ogni sguardo, in ogni gesto, in ogni cuore spezzato.

Io che amo a dismisura il Giappone, tant’è che a Roma sono la responsabile culturale dei Japan Days, una manifestazione di J-culture molto seguita. E in caso qualcuno sia interessato agli anime, ai manga e più in generale all’universo culturale del Sol Levante, vi dico subito che l’inaugurazione dell’edizione primaverile è prevista per il 15 e il 16 marzo. Si terrà presso l’Ippodromo di Capannelle e sì… l’entrata è gratuita. Inoltre, condivido con Sofia anche l’amore per i manga. Sofia vuole diventare una mangaka, io invece sono una manga editor per una casa editrice. Quindi, ci accomuna la passione per questo bellissimo linguaggio espressivo.

D. Puoi anticiparci qualcosa sul tuo nuovo lavoro letterario?

S. Al momento, sono in fase di stesura e purtroppo non posso dire nulla per motivi di riservatezza. La policy degli scrittori rappresentati da agenzie letterarie è molto “rigida” in questo senso.

D. Bene cara Silvia, grazie anche a nome delle Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti per la bella chiacchierata.

S. Grazie a voi per l’intervista!

[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI – sezione Letteratura -articolo del 11 febbraio 2025]

Berthe Morisot, pittrice a tutti i costi -Intervista a Maria Cristina Bulgheri

Cari lettori di DETTI E FUMETTI oggi intervistiamo  Maria Cristina Bulgheri.

Maria Cristina illustrazione di Filippo Novelli

Maria Cristina sei nata a Livorno il 22 marzo 1965, ti sei laureata alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Pisa con una tesi su Dante, diventato da allora il tuo faro. Hai insegnato cinque anni alla scuola elementare prima di diventare giornalista professionista: sei cresciuta nelle fila del quotidiano Il Tirreno di Livorno, per il quale ancora oggi collabori, pur essendo tornata dietro la cattedra. Un’altalena tra mondo della scuola e mondo dei giornali legato alla nascita dei tre figli (due femmine e un maschio). Da sempre, ma soprattutto grazie a loro, hai stretto un rapporto particolare con la letteratura per l’infanzia. Hai pubblicato il libro “C@ro Babbo Natale” (Felici Edizioni) che ha ottenuto diversi premi in concorsi letterari. Collezioni matite da ogni dove. Le tue storie le scrivi un po’ ovunque: dagli scontrini ai fazzoletti di carta. Su di essi appunti le idee che poi consegni al pc, con il sogno che ce ne sia sempre una nuova dietro l’angolo.

D: La voglia di scrivere   per l’infanzia, è arrivata in concomitanza con la nascita dei tuoi figli o era già presente dentro di te?

MC: Dario, cito una frase che è solita ripetere mia mamma e che recita così: “E’ proprio vero che sei nata con la penna in mano, forse l’avevi già quando eri nella pancia!”. Ho memoria del mio esame della cosiddetta “primina”, sai quello che si faceva (in tempi giurassici) per poter accedere alla seconda elementare, se – come me – eri andato a scuola anticipato. Ecco, dovevo scrivere un pensierino: occupai mezza pagina! Le maestre mi fecero un sacco di complimenti ed io rimasi sorpresa perché non mi sembrava di aver fatto niente di così eclatante. Ricordo poi che, un paio d’anni dopo, cominciavo a cullare l’idea di scrivere un romanzo: il protagonista era un pagliaccio. Alle medie entrai nel trip del giornalismo e fondai il giornalino di classe: si chiamava “Domitilla”. Scrivevo le recensioni sulle canzoni del Festival di Sanremo. Passione, quella della kermesse sanremese, che continuo ad avere! Poi il giornalismo è diventato la mia professione e la scrittura una quotidianità. In maternità si è trasformata in scrittura per i miei i figli: tutte le loro domande, i loro perché mi aprivano orizzonti fantastici che mettevo sulla carta.

D: Cosa ti ha spinto dopo tanti anni, a tornare sui tuoi passi e sederti nuovamente dietro una cattedra?

MC: La necessità di conciliare la famiglia ed il lavoro. Il giornalismo da professionista, in redazione non lo permette, gli orari sono dilatati. Ho chiesto a gran voce il part time ma non mi è stato concesso. La parità è ancora un miraggio. Ci ho pensato a lungo, poi ho deciso che la scuola era comunque una strada che mi apparteneva con altrettanta passione”

  
D: Quanto incide il tuo essere giornalista con la scrittura per l’infanzia?

MC: Può sembrare strano, ma molto. Spesso le idee per qualche racconto, mi vengono proprio leggendo qualche articolo sui giornali oppure da quella deformazione professionale di osservare la realtà per carpirne qualche aspetto da evidenziare. 

D: Perché il graphic novel?

MC: Sarò franca, la scelta dell’etichetta “graphic novel” non è mia, ma della casa editrice. Io pensavo più ad “albo illustrato”.

D: Nel tuo ultimo graphic novel racconti la vita di Berthe Morisot, pittrice impressionista; ce ne vuoi parlare?

MC: Non ho il dono della sintesi ma ci provo. Berthe l’ho incontrata a Milano su una tela dipinta da Edouard Manet in una mostra monografica a lui dedica a. Berthe era la sua modella, amica e forse qualcosa di più, ma poco importa. È stata soprattutto una donna volitiva, piena di talento, che ha sfidato le convenzioni del suo mondo e della società francese di metà Ottocento per inseguire la sua passione: diventare pittrice. Tanto da divenire la cofondatrice con Monet, Degas, Cezanne, Pissarro del movimento che verrà definito Impressionismo, di cui peraltro quest’anno ricorrono i 150 anni dalla nascita.

La culla di Morisot -illustrazione di Anna Novelli (13)

D: Possiamo avere un anticipo del nuovo graphic novel? 

MC: Certo. Nel libro racconto Berthe immaginandola da piccola alle prese con i tubetti delle tempere, mentre sogna campi di fiori e paesaggi marini materializzarsi sulle tele. L’accompagno passo, passo, nella sua “battaglia” per diventare pittrice, in un mondo all’epoca riservato soltanto agli uomini. Una pittrice peraltro innovativa, che rompe con gli schemi della pittura tradizionale, trascinando con sé i suoi amici, “pazzi” come lei, che poi hanno dato vita all’Impressionismo. A tradurre le mie parole in disegni e a dare corpo a Berthe, ci ha pensato poi Marina Cremonini, con i suoi pennelli “magici”. 

D: Una tua caratteristica è quella di scrivere le storie su qualsiasi pezzo di carta, compresi gli scontrini. È un modo per non dimenticare o per seminare?

MC: Sicuramente per non dimenticare: magari un’idea mi viene in macchina ascoltando la radio e al primo semaforo cerco di appuntarla da qualche parte prima che se ne voli via dal finestrino: l’età non aiuta e soprattutto il moto perpetuo delle mie giornate.

D: Sappiamo che collezioni matite da tutto il mondo; quante ne possiedi al momento?

MC: Confesso che non le ho mai contate. Ma sono tante e tutte diverse. Un po’ sono in bella vista sulla scrivania, un po’ sono sistemate in qualche scatola di latta o di legno. Si tratta di lapis presi nei viaggi, alle mostre, nei musei o avuti in regalo. Da quando sono a scuola poi, colleghi e colleghe, alunni ed alunne    contribuiscono alla mia collezione in modo carinissimo. Non li uso, ma l’idea di tener un lapis in mano vale più di mille tastiere!

D: Bene cara Maria Cristina, grazie anche a nome delle Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti per questa bella chiacchierata.

Grazie a voi di cuore.

Il Graphic Novel

In “Berthe Morisot, pittrice a tutti i costi” viene raccontata la vita di Berthe Morisot l’unica donna tra i fondatori dell’Impressionismo francese. Quando in Francia, e nel resto dell’Europa, fino a dopo la metà dell’800 alle donne erano precluse le scuole d’Arte. La determinazione di Berthe travalica gli ostacoli del perbenismo, dandole così l’opportunità, di entrare in contatto con gli impressionisti del calibro di Claude Monet, Jacob Pissarro, Alfred Sisley; solo per citarne alcuni.  Tutta la storia è narrata con toni caldi e decisi; l’opera di Maria Cristina Bulgheri è arricchita dalle illustrazioni realizzate da Marina Cremonini; con la sua tecnica ad acquerello, ha dato vita e vigore al racconto, trasportando tutti noi nelle atmosfere della Belle Époque.

[DARIO SANTARSIERO per Detti e Fumetti -sezione arte e letteratura – articolo del 30 novembre 2024]

A STAR BENE SI IMPARA. DARIO SANTARSIERO intervista l’autrice, la sociologa Chiara Narracci per DETTI E FUMETTI

A star bene si impara!

“In un mondo che viaggia fin troppo velocemente si dimentica spesso di prendersi in considerazione in prima persona e nel presente.”

Ritratto di Chiara di Filippo Novelli

Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti vorrei presentarvi Chiara Narracci, sociologa; con lei parleremo del suo libro “A star bene si impara!” Edizioni G.A.Z.. Prima però, due righe di presentazione. Nata a Roma l’08/04/76, ti sei laureata in Sociologia a La Sapienza, hai due master in Consulenza e in Mediazione Familiare, collabori con: il consultorio Centro la Famiglia al Vicariato da 20 anni e con diversi avvocati matrimonialisti. Sei responsabile di diversi sportelli d’ascolto nelle scuole. Docente di Sociologia della famiglia nelle varie sedi italiane della Sicof [Scuola Italiana Consulenti della Coppia e della Famiglia].

Autrice dei seguenti libri: la grande abbuffata, pubblicato con la Regione Sicilia; le favole di Pietro, edizioni progetto cultura; le favole di Bruno, edizioni progetto cultura; le favole di Elena, edizioni progetto cultura.

Il libro di Chiara Narracci “A star bene si impara!” suggerisce come gestire le nostre emozioni e tentare di risolvere al meglio le proprie insicurezze e paure in tutti i campi della nostra vita, che minano il nostro equilibrio sia psichico che fisico. Nella seconda parte del libro, Chiara indica, tramite le favole, dedicate ai propri figli, come i miti e le leggende, ci aiutano ad accogliere e normalizzare le resistenze e le credenze cognitive.

D. Allora Chiara, come mai hai sentito l’esigenza di scrivere “A star bene si impara!”?

C. Per sfatare diversi pregiudizi che ci bloccano nella crescita personale, portandoci a vivere trascinando i piedi…

troppe volte sento affermazioni tipo: le persone non cambiano, al massimo peggiorano! O anche: sono fatto così! 

Di qui l’idea della copertina, dove la pecora Rosa è colei che ha imparato a conoscersi e a volersi bene pertanto sceglie consapevolmente come gestirsi nelle varie situazioni.

D. Perché Conoscere la propria storia di vita e le relative dinamiche relazionali è fondamentale?

C. Ognuno di noi costruisce la propria peculiare storia di vita, in base a come viene più spesso definito dalle figure di riferimento… conoscere come ci siamo strutturati; comprendere come funzioniamo nelle dinamiche interne e relazionali; perdonare le mancanze ricevute ed imparare a compensare da soli

È la strada per la libertà di scegliere quali condizionamenti ricevuti fare propri, perché buoni per noi e quali lasciare andare.

È l’ignorare che ci porta a subire noi stessi e a farci sentire vittime degli altri e degli eventi… possiamo però imparare a gestire il nostro mondo emotivo.

D. Nella tua lunga esperienza come consulente e mediatore familiare, affermi che ciò che ci destabilizza ad ogni età è il mondo emotivo; ce ne vuoi parlare?

C. Grazie all’analisi transazionale di Berne compresi che il mondo emotivo è fermo all’infanzia e che l’imprinting emotivo ha effetti anche sui comportamenti associati alle varie emozioni che adottiamo nel presente. 

Esser consapevoli che gli eventi di oggi sono tanto destabilizzanti perché a percepire la realtà è il bambino che eravamo e non l’adulto che siamo diventati aiuta a ricentrarsi velocemente. Come? Leggi il libro! [Sorride N.D.S.]

D. Quanto la comunicazione influisce sul nostro vissuto?

C. Moltissimo perché le parole deformano, definiscono e limitano la percezione della realtà esterna e interna, se un bambino viene spesso definito pigro si convincerà di esserlo e metterà in scena atteggiamenti in linea con questa etichetta pur di sentirsi considerato. 

Pertanto, conoscere le proprie etichette, comprenderne il peso avuto e scegliere di non metterle in scena è liberatorio.  

D. Nel libro indichi quali sono le regole di base della comunicazione e quali sono gli errori da evitare; ce ne puoi anticipare qualcuno?

C. Penso agli out-out! A tutte le volte che esasperati dall’atteggiamento disturbante di qualcuno gli intimiamo di cambiare pena il perderci… non funzionano! Nella migliore delle ipotesi producono un cambiamento momentaneo dettato dalla paura non dall’amore.

Sono convinta che l’unica leva che funzioni sia l’amore: il mettere in evidenza ciò che amiamo dell’altro, ci aiuta ad esempio ad avere maggior tolleranza verso ciò che ci piace di meno, portandoci ad ingentilire le etichette: un conto è dire ad un figlio, spesso e volentieri, che è un bugiardo, un conto è rimandargli che ha molta fantasia!

D. perché le favole hanno un significato socio pedagogico?

C. Le favole come i miti e le leggende si rivolgono direttamente al mondo emotivo, che come ho accennato e’ fermo all’infanzia pertanto ci livellano tutti ad un comune sentire bypassando le resistenze cognitive e culturali.

Con le favole si esplora il mondo emotivo e lo si normalizza consentendoci di accettarlo come parte di noi e della nostra storia.

Solitamente da adulti quando siamo in preda a forti emozioni ci giudichiamo come inadeguati portandoci a sentirci ancor più destabilizzati, la chiave invece è nel guardare al bambino che eravamo con tenerezza e tranquillizzarlo… per poi godere delle nostre risorse da adulti per gestirci al meglio nel presente.

D. Bene. Cara Chiara, sicuramente hai stimolato i nostri lettori a leggere il tuo libro “A star bene si impara!” G.A.Z. edizioni. Ed approfondire così il tema dell’emotività interiore.

C. Un saluto a te e alle lettrici e lettori di Detti e Fumetti

[WILLY ALIAS DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI- SEZIONE LETTERATURA- ARTICOLO DEL 4 SETTEMBRE 2024]

Da dove arriva l’ispirazione

Da più parti mi è stato chiesto di fare un esempio concreto sul concetto di ispirazione; mi riferisco all’editoriale del 29 maggio 2024 https://dettiefumetti.com/tag/dettiefumetti/

Eccolo:  nella foto si vedono un paio di scarpe da ginnastica usate per camminare  nei  sentieri  di montagna o per antichi borghi  di cui l’Italia è felicemente ricca. Ma non è di questo che vi volevo parlare. Le punte di entrambe le scarpe indicano un orizzonte  spezzato  in lontananza da un monte. Ed è proprio  la distanza tracciata dalle  scarpe ad aprire le porte all’ispirazione. Da qui in poi  si naviga in un  oceano sconfinato costellato da pensieri  e  sensazioni  che scaturiscono da quella linea immaginaria che  le punte delle scarpe hanno tracciato.  Averle osservate con occhio distratto mentre esauste, si asciugano al sole  dopo i trenta minuti passati in lavatrice a trenta gradi e  rimanerne completamente affascinato, è stato, almeno per me, naturale. Questo per ribadire il concetto, che l’immaginazione e la fantasia, che fanno parte indissolubile dell’ispirazione, vanno si educate fin da bambino, ma devono essere sottoposte ad un continuo allenamento, sia mentale che visivo. Per fortuna, non siamo tutti uguali, di conseguenza l’ispirazione non scaturisce   dalla vista di un paio di scarpe, ma può, o meglio  deve, arrivare da tutto ciò che ci circonda.

[DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI – SEZIONE LETTERATURA- ARTICOLO DEL 23 AGOSTO 2024]

SIBILLA- IL SEGRETO DI PIETRA Michele Sanvico- Norcia 29 luglio 2023

Cari amici di Detti e Fumetti, vi segnalo un nuovo libro di una nostra vecchia conoscenza. Nell’ambito della ESTATE NURSINA 2023, SABATO 29 LUGLIO, Michele Sanvico presentera’ un libro sullaLEGGENDA DELLA SIBILLA DEGLI APPENNINI

Alle ore 18:00, presso lo Spazio DIGIPASS del Comune di Norcia (Via Solferino). “Sibilla – Il Segreto di Pietra”, la storia delle leggende dei Monti Sibillini.

Non mancate.

(Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI- sezione letteratura – articolo del 27 luglio 2023)

GAIA ZUCCHI – IL LIBRO: LA VICINA DI ZEFFIRELLI PRESENTA DARIO SANTARSIERO

Gaia Zucchi, attrice poliedrica e internazionale, ha come vicino di casa Gian Franco Zeffirelli. Sembra l’inizio di una pièce teatrale ma è la pura realtà. Gaia è stata veramente la vicina di casa del grande maestro, ed ha avuto la possibilità di interagire con Zeffirelli per molti anni fino alla morte del regista. Questo patrimonio di: aneddoti, conoscenze, dialoghi e tutta una serie di situazioni grazie alla “convivenza” con Zeffirelli, Gaia lo ha voluto salvare in un’ avvincente e esilarante autobiografia dal titolo “La Vicina di Zeffirelli” De Nigris Editore

W. Allora Gaia come accennavamo nella precedente intervista del 6 ottobre qui hai scritto un libro autobiografico, ce ne vuoi parlare?

GZ. La Vicina di Zeffirelli è il mio primo libro romanzato autobiografico, ed è un’esperienza meravigliosa che mai avrei creduto possibile ma è stata anche una grande fatica, giorno e notte non ho fatto altro che pensare a questo libro a quello che dovevo aggiungere a quello che dovevo togliere. Ho deciso di scriverlo perché erano anni che tutti i miei amici mi esortavano a scrivere un libro, poi in sogno è arrivata la mia mamma Mirella e mi ha detto che era arrivato il momento di scriverlo. Ho voluto fortemente questo libro perché noi siamo di passaggio in questo mondo, ed io ho sentito il bisogno di lasciarlo ai miei figli come una traccia tangibile e preziosa del mio passaggio. È stato molto faticoso raccontare gli aneddoti della mia vita attraverso l’amicizia con Zeffirelli che è stato il mio mentore amico e maestro, perché avevo tanta voglia di raccontare ma che non sapevo da dove iniziare. Ma la voglia di scriverlo mi ha dato la forza di andare aventi. Ho dedicato questo libro a mia madre Mirella, oltre ad essere stata una grande guerriera è stata la persona migliore che abbia conosciuto a questo mondo e ai miei figli che sono il proseguimento di me stessa.

W. Che sensazione hai provato, riferendomi al libro, quando hai scritto la parola fine?

GZ. La parola fine io non l’ho ancora scritta, in realtà nonla voglio scrivere, perché sto ancora correggendo; il libro uscirà a fine dicembre, spero di fare in tempo. Se volete potete acquistarlo con il pre-order dandomi così la possibilità di salire la classifica e farlo tradurre in varie lingue, perché Zeffirelli era un uomo internazionale di grandissima cultura. Come ho detto prima non voglio scrivere la parola fine perchè è una parola tremenda; è bello l’inizio, non la fine; quindi, non l’ho ancora scritta

W. Stiamo morendo dalla curiosità, puoi raccontarci un aneddoto?

GZ. Mi dispiace ma per ragioni editoriali, non posso spoilerare il libro, posso però raccontarvi l’episodio dei cagnolini di Zeffirelli. Nella sua meravigliosa villa a Positano, dove io sono stata ospite diverse volte e che adesso è stato trasformato in un albergo dove solo i miliardari possono andare,io avevo una stanza che dava sul mare, passeggiavo per il giardino pieno di olivi e di alberi di limoni ed ho conosciuto ospiti internazionali che sono citati nel libro ma che ora non posso svelarne i nomi, Zeffirelli che amava più i cagnolini che le persone, quando era l’ora di pranzo suonava una campanella e noi accorrevamo a mangiare, però Zeffirelli prima faceva accomodare i suoi jack russell intorno ad un tavolo e poi mangiavano gli ospiti. Questo episodio mi ha profondamente colpita lasciandomi un ricordo indelebile. Tutti i personaggi internazionali che ho incontrato e che sono citati nel libro hanno un aneddoto simpatico e divertente, ma lo scoprirete solo leggendo il mio libro  

W. Che eredità ti ha lasciato Zeffirelli?

GZ. Un grande amore per tutte le forme d’arte, perché Zeffirelli era veramente una persona eclettica e profonda, empatica e generosa. Mi ha lasciato il suo patrimonio culturale e i suoi preziosi consigli sull’impegno: sia sul lavoro che sullo studio e lui metteva in pratica i suoi consigli con una pignoleria che rasentava l’inverosimile. E’ da poco uscito un documentario su Zeffirelli, all’interno del quale parla il mio ex marito padre di mio figlio che ha prestato la casa dove viveva Zeffirelli e che racconterà la sua esperienza con il Maestro. Gian Franco mi ha lasciato oltre ai suoi meravigliosi film, l’amore per l’arte ed è un amore per cui vale la pena vivere

W. Bene, grazie Gaia, anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti. Il libro uscirà nelle librerie il 12 febbraio, in concomitanza con il  centenario di Gian Franco Zeffirelli. Ai più curiosi lascio il link https://www.denigriseditori.it/shop/la-vicina-di-zeffirelli/ dove poter ordinare il libro; chi lo farà, riceverà a dicembre  in anteprima oltre al libro, l’autografo e una dedica personale di Gaia Zucchi più un piccolo bonus e l’invito alla presentazione.

[DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTO -SEZIONE CINEMA E TEATRO- ARTICOLO DEL 12 novembre 2022]

 

Willy il bradipo alias Dario Santarsiero intervista Edoardo Albinati

Cari lettori di Detti e Fumetti, oggi ho il piacere di intervistare lo scrittore Edoardo Albinati.

RItratto di Filippo Novelli

Sei nato a Roma nel 1956, hai studiato al Liceo classico San Leone Magno (dove è ambientato il tuo romanzo La scuola cattolica) con Walter Mauro; hai però frequentato l’ultimo anno di scuola al Liceo classico statale Giulio Cesare, dove hai conseguito la maturità classica. Dal 1994 svolgi attività di insegnamento all’interno del penitenziario di Rebibbia. I tuoi esordi avvengono all’interno della rivista Nuovi Argomenti della quale entri a far parte nel 1984. Con il regista Giorgio Barberio Corsetti hai scritto Il colore bianco, andato in scena per le Olimpiadi di Torino 2006. Dal tuo libro Orti di guerra sono stati tratti venti episodi realizzati da Radiotre Rai (1997) con musiche di Fabrizio De Rossi Re (nell’edizione Fandango 2007). Nel 2002 hai lavorato presso l’Alto commissariato ONU per i rifugiati in Afghanistan e nel 2004 hai partecipato a una missione dell’UNHCR in Ciad, pubblicando reportage sul Corriere della Sera, The Washington Post e La Repubblica. Il libro Il ritorno. Diario di una missione in Afghanistan ha vinto nel 2003 il Premio Napoli Nel 2002 hai vinto, nella sezione Poesia, il Premio Nazionale Rhegium Julii, con Sintassi italiana; nel 2004 hai vinto il Premio Viareggio con il romanzo Svenimenti. Sei stato vincitore del Premio Strega 2016 con il romanzo La scuola cattolica pubblicato da Rizzoli. Proclamato vincitore l’8 luglio 2016. Il 30 agosto 2022 è uscito, edito da Rizzoli Uscire dal mondo. In questo libro Albinati tratta un tema di estrema attualità: siamo noi che ci rendiamo inaccessibili agli altri o sono gli altri che ci confinano in piccoli spazi?

W. Perché hai deciso di fare lo scrittore?

Fin da bambino mi sono appassionato alla lettura, al suono e al senso delle parole. Scrivere è il mio modo di immaginare e ragionare. E la lingua è l’unico campo in cui mi trovo veramente a mio agio.

W. Che senso ha oggi la letteratura?

E’ una delle poche cose che può dare, insieme, conoscenza e piacere. Serve a superare i propri limiti, ad allargare la propria vita, permettendoti di viverne altre per interposta persona.

W. Chi o cosa ti ha ispirato il libro “La scuola cattolica”?

Il fatto che i responsabili del Massacro del Circeo erano stati miei compagni di scuola. E che uno di loro, Angelo Izzo, nel 2005, cioè trent’anni dopo il primo delitto, sia di nuovo tornato a uccidere. Dunque, quel passato non era veramente passato… Ma io non volevo raccontare solo i crimini, piuttosto la mentalità, la vita borghese, le famiglie, il quartiere, appunto la scuola in cui avevamo studiato, insomma tutto ciò che sta intorno e dietro a quella storia. La vita cosiddetta “normale” in mezzo alla quale è piombato quel macigno.  

W. All’interno del tuo libro “La scuola cattolica” c’è una richiesta non detta da parte dei maschi di avere dei contatti tra di loro che non siano esclusivamente di tipo competitivo. Ce ne vuoi parlare?

Credo che i ragazzi abbiano un bisogno di intimità e di tenerezza niente affatto diverso da quello che provano le ragazze, ma che purtroppo si sentano a volte costretti ad assumere pose da duro e comportamenti violenti per dimostrare la propria virilità. È un equivoco tremendo, un meccanismo perverso che andrebbe smontato. 

W.Nel tuo libro di poesie “Nella tua bocca è la mia religione” anche questo in parte autobiografico, dichiari il tuo amore per il corpo umano e in special modo per quello femminile. E così?

Noi siamo il nostro corpo, con i suoi difetti e la sua bellezza. La poesia parla sempre di questi aspetti sensuali che ci fanno tanto soffrire e godere. Il corpo è sempre pieno di sorprese, è un campo di ricerca e di attrazione inesauribile. Io ne sono solo un umile e sventato esploratore. Diciamo che i miei sul corpo amato sono “esercizi di ammirazione”.

W. Perché la decisione di insegnare nel carcere di Rebibbia?

Per conoscere un mondo ignoto, e frequentare gente di ogni tipo, normalmente molto diversa da me. Le persone simili a me mi annoiano. Insegnare lì è un bell’esperimento.

W. Il tuo sogno nel cassetto?

Devo essere sincero? Non ne ho. Anche perché sono totalmente incapace di immaginare il futuro. W. Bene, grazie caro Edoardo, anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti per questa interessante chiacchierata

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – sezione Letteratura – articolo del 19 settembre 2022]

Willy il bradipo, alias DARIO SANTARSIERO intervista ENZO CASERTANO

Ben trovati cari lettori di Detti e Fumetti, dopo la pausa estiva oggi scambieremo quattro chiacchiere con l’attore Enzo Casertano.

Allora Enzo sei nato il 25 luglio del 1970 a Napoli tra il 1991 e il ’94 hai frequentato la scuola di recitazione Accademia Napoletana di Teatro di Armando Marra. sei un attore di teatro, cinema, televisione. ]Tra i tuoi lavori figurano partecipazioni a vari film 5come Amore a prima vista  [1999], Mari del Sud [2000], Dentro la città [2003], Un’estate al mare 2008, Tatanka [2011] e la commedia E io non pago [2012].In televisione lo ricordiamo ne I bastardi di Pizzofalcone [2017] Nero a metà 3 [2022] Il commissario Ricciardi 2 [2022]

W. Perché hai voluto fare l’attore?

Se ti dicessi che da bambino sognavo di fare l’attore sarebbe una bugia, ho scoperto verso i 18 anni che forse questa poteva essere la mia strada per evadere dalla vita che mi si prospettava ma devo dire che ad un certo punto è il Teatro, il Cinema che sceglie te, non il contrario inizi a lavorare e se funzioni e soprattutto se  hai un carattere e una tenacia adatta inizia la carriera.Sono stato anche fortunato ad avere subito dopo la scuola di Teatro delle chance che ho sfruttato per allargare le mie conoscenze in questo mondo ed oggi sono ancora qui ad imparare  centinaia di battute a memoria, una faticaccia ma qualcuno diceva che quando fai della tua passione un lavoro non ti pesa più di tanto.

W. Che cosa è per te l’applauso?

L’applauso è come una pacca sulla spalla che ti dà il pubblico, l’apprezzamento, il riconoscimento che tutti gli artisti cercano. C’è però da dire che ci sono diversi tipi di applausi, quello di cortesia che ti fa un pubblico educato a fine spettacolo, quello grato, sempre ai saluti finali, quello a scena aperta che , forse, è il più ambito, quello di sortita (la prima entrata in scena dell’attore) che è un applauso sulla fiducia per quello che hai fatto prima. Io li riconosco e me li prendo tutti quando arrivano ma è sempre meglio non aspettarsi nulla e lavorare bene tenendo sempre un orecchio al pubblico e alle sue reazioni per non coprire con le battute le loro risate e i tanto agognati applausi.

W. Dal punto di vista professionale, cosa ti insegna un fallimento?

La carriera dell’attore è coronata da una miriade di piccoli e grandi fallimenti, basti pensare alla differenza tra i provini fatti e i lavori svolti. Ci vuole una forza d’animo non indifferente per affrontare i “no” e pensare alla prossima occasione,per questo nell’altra domanda ho parlato di carattere e di tenacia perché se si è mentalmente deboli il fallimento e la competitività ti può distruggere in poco tempo. La speranza che qualcosa di bello accadrà ti deve accompagnare sempre nel percorso, anche perché non siamo degli atleti che hanno un’età in cui devono smettere, è come giocare ad una roulette,il tuo numero,il famoso ruolo della vita, può arrivare quando meno te lo aspetti, è questa la forza di chi fa del fallimento un trampolino per saltare più in alto la prossima volta.

W. Cosa ti ha dato il cinema e cosa il teatro?

Il Teatro è sempre stato la mia vita, ho iniziato su quelle tavole e non lo abbandonerò, il Teatro mi ha dato sicurezza, autostima, amici, amori, serate memorabili e altre meno.Una marea di emozioni grazie a questa magia che ti trasforma ,migliora o peggiora ma che ti fa sentire vivo.

Il Cinema è un mezzo completamente diverso come impatto, ci sono arrivato un po’ dopo rispetto al Teatro ma sicuramente mi ha dato e sta dando soddisfazioni. Al Cinema, a differenza del Teatro, mi hanno dato più ruoli drammatici che comici, questo mi ha consentito di mettere in mostra anche il mio lato umano carico di ansie,paure e sensibilità quando ci sono riuscito naturalmente (ride). Si dice che il Teatro lo fa l’attore e il Cinema il Regista ma io credo che un successo lo fa una buona squadra sia da una parte che dall’altra.

W. Mentre la televisione?

Ormai c’è grande commistione tra Cinema e Televisione,grandi Registi di Cinema lavorano per la TV, l’avvento delle piattaforme ha alzato il livello delle serie, quasi costringendo le TV generaliste a fare meglio ed i risultati si vedono nelle produzioni degli ultimi anni.Per tornare a me, la TV mi ha dato grande visibilità sia attraverso vari spot di cui ero testimonial qualche anno fa (TeleTu,Pizza Buitoni) e sia per i vari ruoli nelle serie TV. La televisione entra nelle case di tutti è una bomba mediatica per un attore, se fai una prima serata in TV è facile che il salumiere sotto casa ti dica di averti visto. Mia madre per esempio e’molto più felice se faccio una serie per le TV generaliste che se partecipo ad un festival cinematografico.E’ quella scatola che fa sognare gli italiani dagli anni 50. Andare in TV resta sempre un sogno da realizzare.

W. tra i vari registi che ti hanno diretto, chi ha lasciato un segno indelebile?

           Per il Teatro vorrei ricordare un attore napoletano con il quale ho mosso i primi passi, Armando Marra, lui mi ha insegnato i primi rudimenti nella sua scuola e mi ha fatto capire di poter fare questo lavoro, sempre per il Teatro non posso non citare il grande Aldo Giuffrè che mi ha preso in compagnia da giovane e mi ha insegnato veramente tanto sia sulla scena che fuori,uno dei più grandi attori italiani con cui ho avuto la fortuna di lavorare.

             Nel Cinema ho   lavorato con  tanti bravi Registi ed ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa. Sicuramente Gianni Amelio è stato un incontro bellissimo ,un grande Maestro, Carlo Vanzina, competenza, bravura e signorilità ma molti altri

Saverio Costanzo Ricky Tognazzi, Giuseppe Gagliardi, Roberto Andòe tanti altri. Ora sono sul set con Francesca Archibugi come posso non citarla, artista di una sensibilità rara ma non sono io a scoprirlo.

W. Hai appena finito di girare un film con un cast internazionale, ce ne vuoi parlare?

Del film posso dire praticamente nulla perché ho firmato un accordo di riservatezza con la produzione ma è stata una grande esperienza,un grande set e sono sicuro un grande film. Lavorare con questi professionisti di fama mondiale mi ha reso orgoglioso. È un film molto atteso e sicuramente lo vedremo tra qualche mese, di più non posso dire.

W. Il tuo prossimo spettacolo a teatro?

Ho una stagione teatrale molto movimentata come sempre del resto, fortunatamente. Inizio il 6 Ottobre al Teatro degli Audaci a Roma con “Cuori senz’acqua” di e con la Regia di Luigi Russo, continuo dal 1 Novembre al Teatro 7 con Paola Tiziana Cruciani in “Chi l’ha vista”

Ed ancora “Una canonica per 2” con Francesco Procopio con il quale continuiamo anche la tournée di “Non ci resta che ridere” grande successo della scorsa stagione, nei pochi mesi liberi riprenderò due spettacoli “Game Lover’ e ‘Io e Kate’ con Alessandra Merico che ne è anche l’autrice. Una stagione bella piena, vi aspetto a Teatro.

W. Il tuo sogno nel cassetto?

Nella vita è di trovare stabilità e tanta serenità. Nel lavoro molti sogni si sono avverati ma il mio cassetto è senza fondo quindi mi aspetto non di svuotarlo ma almeno di renderlo più leggero. (ride)

W. Bene Enzo, grazie anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti per questa bella chiacchierata

Grazie a te per l’intervista e a tutti lettori per averla letta. Vi abbraccio tutti.

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – sezione Letteratura – articolo del 19 settembre 2022]

PRESENTAZIONE DEL LIBRO MARGARET FULLER, CORRISPONDENTE DI GUERRA, Quando Roma Capitale era un sogno di MARIO BANNONI per DETTI E FUMETTI

Cari lettori di DETTI E FUMETTI oggi abbiamo fatto quattro chiacchiere con lo scrittore Mario Bannoni

Autore di MARGARET FULLER, CORRISPONDENTE DI GUERRA, Quando Roma Capitale era un sogno.

F. Mario presentati ai nostri lettori

M. Prima di tutto non sono “uno scrittore” ma soltanto un appassionato di storia che studiando il nostro Risorgimento ha incontrato sulla sua strada il personaggio Margaret Fuller, una donna che amava molto il nostro Paese, da cui è purtroppo stata per tanti anni ignorata, e sta facendo di tutto per farla conoscere come merita;

Sono una persona a cui piace frugare nelle pieghe del passato per scovare tra le cose dimenticate le analogie che ci possono essere con il presente e, possibilmente, trarne insegnamento per il futuro. Insomma, la scrittura non è fine a sé stessa ma il risultato delle ricerche, delle osservazioni e delle esperienze che ho fatto, a beneficio mio e degli altri. Ma soprattutto un divertimento, non un lavoro in senso stretto, anche se libri come questi comportano anni di impegno.

F. Ho letto della vita di Margaret Fuller, ci vuoi raccontare meglio chi è stata?

M. In estrema sintesi, anche perché non voglio togliere al lettore il gusto di scoprire chi fosse dalla mia biografia del 2012 “Vi scrivo da una Roma barricata”, Margaret Fuller fu “figlia del New England per nascita, cittadina di Roma per adozione, cittadina del mondo per il suo genio”, come sta scritto sul suo monumento a Cambridge nel Massachusetts.

Donna coltissima, aveva studiato Roma e l’Italia già nel suo paese, e quando giunse qui sentì di essere giunta a casa, non di stare viaggiando.  Essendo una delle principali redattrici del suo giornale, fu incaricata di scrivere dei reportage dall’Italia: il caso volle che il suo lavoro a causa degli eventi politici e militari si trasformasse sino a farla diventare la prima donna corrispondente di guerra della storia.

F. Perché un libro su di lei e come si struttura?

M. Ho studiato a lungo la vita e le vicessitudini di Margaret, personaggio epico ed affascinante [..] Il libro è la raccolta di 27 reportage da tre diverse pubblicazioni tradotte in italiano: 

La New-York Daily Tribune (il suo giornale, per cui scrisse 25 articoli, prima e dopo la rivoluzione romana)

Il People’s Journal di Londra (per il quale scrisse un articolo in difesa di Giuseppe Mazzini, allora sotto attacco da parte di un giornale francese in lingua inglese).

La Democratic Review di Washington (per la quale scrisse un articolo “Ricordi del Vaticano”, che è in assoluto il suo ultimo lavoro giornalistico).

F. Un reportage di una guerra passata, la prima grande guerra di epoca moderna per la Roma se vogliamo, quando risuonano gli echi di una altra guerra nella nostra cara Europa, che significato assume?

M. Esatto. Nella mia prefazione ho esattamente colto proprio questa analogia, l’utilità di questa opera si basa proprio su ciò. La sola curiosità non giustificherebbe la lettura di un libro come questo che in 640 pagine riporta articoli di giornale di 200 anni fa.  L’analogia tra i fatti politici e militari di cui la Fuller fu testimone a Rome e gli avvenimenti più recenti è sorprendente. “Nel 1849 un corpo di spedizione francese sbarcò a Civitavecchia fingendo di portare al popolo dello Stato Romano la propria fraterna solidarietà. No, le truppe francesi non erano qui per sopraffare con la forza il governo di Roma: avevano innalzato l’albero della libertà, mostrato il tricolore francese insieme a quello italiano, accolto con parole rassicuranti i delegati dell’Assemblea costituzionale romana. Ma dopo pochi giorni con la scusa di esercitazioni di routine, spostarono le proprie forze su posizioni più strategiche, misero Roma sotto assedio e in breve tempo sconfissero le forze romane e abbatterono il governo che i romani si erano democraticamente dati.

Difesa di Roma, 29 giugno 1849
litografia di De Belli & Calamatta (MCRR)

Margaret Fuller, allora presente a Roma, ha testimoniato con i suoi reportage scritti su carta, con penna e inchiostro, e apparsi sul giornale dopo più di un mese dai fatti perché viaggiavano per nave, quello che oggi i corrispondenti ci raccontano e ci mostrano in diretta al telegiornale o su internet. Tutto è cambiato, ma non è cambiata la falsità con cui certi despoti si impossessano degli stati più deboli.”  

F. Quelli che tu narri, furono anni cruciali per il Risorgimento Italiano. Volendo fantasticare sugli eventi non accaduti e  senza scendere nel “politico stretto”,  come sarebbe oggi l’Italia se la Repubblica Romana avesse resistito? In particolare ci sarebbe potuta essere una  Italia democratica del Centro-Sud?

M. Quel periodo sembra molto complesso, ma si può semplificare così: esistevano due opzioni militari per liberare e unificare l’Italia allora divisa in sette, otto stati, di cui uno sotto dominazione straniera.  La prima opzione era quella monarchica, la seconda quella repubblicana.  Fallita l’opzione monarchica con la disfatta di Carlo Alberto, non supportato dagli altri sovrani italiani, tra i quali il papa, che a quei tempi era anche “re”, l’opzione repubblicana prese slancio, al punto che non solo a Venezia fu dichiarata la repubblica, ma anche a Firenze, a Genova e a Roma.  Roma doveva costituire il nucleo centrale al quale le altre repubbliche avrebbero dovuto aggregarsi, tanto è vero che l’Assemblea Costituente romana fu formata anche da rappresentanti non solo eletti a Roma, ma in tutta Italia.  Con i se e i ma non si fa la storia, ma se la Repubblica Romana non fosse stata abbattuta dall’intervento francese forse non avremmo dovuto vivere una tanto lunga parentesi monarchica e autoritaria, e attendere cento anni per vedere applicata una Costituzione democratica. 

9 febbraio 1849 – proclamazione della repubblica romana

F. Ci hai incuriosito molto e questo era lo scopo di questa chiacchierata. Dove troviamo il tuo libro? Quando e dove lo presenterai prossimamente?

M. Il libro è disponibile presso tutte le librerie e anche acquistabile o prenotabile da subito online presso i maggiori siti come Amazon, Hoepli, IBS, Libreria Universitaria, ecc. 

Potete andare sul sito mediante il link facendo click QUI

Il libro presenta oltre un centinaio di immagini d’epoca, con personaggi difficilmente visti da giovani tra i quali Mazzini, Garibaldi e perfino Karl Marx.

La presentazione ufficiale sarà il 27 settembre prossimo, in occasione dei 150 anni di Roma Capitale d’Italia (in ritardo per il Covid), alle ore 18:30 presso la Fondazione Studi per il Giornalismo Paolo Murialdi, via Augusto Valenziani 11 (piazza Fiume). Sarà presente Giuseppe Garibaldi, pronipote dell’Eroe, presidente dell’Istituto di Studi omonimo che ha sostenuto la pubblicazione del libro.

La bandiera della Repubblica Romana

F. Grazie a nome dei lettori di DETTI E FUMETTI, l’hub nel web che collega le diverse arti, in primis la letteratura.

M. Grazie a tutti voi! A presto.

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione Letteratura- articolo del 1 settembre 2022]

PRESENTAZIONE DEL LIBRO “Non eravamo dominati che dal cielo” – La riscoperta ottocentesca dei Monti Sibillini nei documenti del Club Alpino Italiano di MICHELE SANVICO

Cari lettori di DETTI e FUMETTI, vi proponiamo oggi un’intervista al fisico e scrittore Michele Sanvico, autore di un volume dal titolo “Non eravamo dominati che dal cielo – La riscoperta ottocentesca dei Monti Sibillini nei documenti del Club Alpino Italiano”, pubblicato da Edizioni Il Lupo.

Ritratto di MICHELE SANVICO di Filippo Novelli

Siamo curiosi di scoprire, assieme a voi, perché il nostro amico Michele abbia deciso di dedicare un libro proprio ai Monti Sibillini e perché queste montagne, che molti non conoscono nemmeno, possano rappresentare una interessante scoperta non solo per il lettore ma anche per l’escursionista più appassionato.

F. Michele, i Monti Sibillini, questi sconosciuti, che come saprai è una delle location del nostro fumetto OSVY quindi luogo a noi caro.

Perché scrivere un libro proprio sui Monti della Sibilla, una serie di picchi appenninici situati tra l’Umbria e le Marche?

M. Quando si parla di Monti Sibillini ovviamente la Sibilla c’entra sempre: è lei la protagonista di questi luoghi. Molti non sanno che ben prima che nascesse il moderno escursionismo, e parliamo dunque di centinaia e centinaia di anni fa, i Monti Sibillini erano già famosi e conosciuti in tutta Europa a causa delle oscure leggende che vivevano tra quelle cime.

A partire dal Trecento molti studiosi e letterati ne hanno scritto e moltissimi viaggiatori si sono recati a Norcia, in Umbria, o a Montemonaco, piccolo borgo situato sul lato marchigiano, per salire fino alle vette di quelle montagne disabitate, alla ricerca di un sogno la cui fama ha avuto modo di diffondersi addirittura fino ai Paesi nord-europei.

F. :Viaggiare a quell’epoca non era certo facile; perché questi visitatori decidevano di affrontare i rischi di una visita in terre così desolate e al di fuori dei percorsi canonici, come quelli che i pellegrini erano soliti seguire per recarsi a Roma o in Terrasanta?

M. : Perché i leggendari racconti che abitavano i Monti Sibillini erano tali da suscitare grande emozione, e anche aspettative molto particolari.

Si era sparsa la voce, infatti, che la grotta che si trovava proprio sulla cima del Monte Sibilla permettesse di accedere al regno sotterraneo e magico governato dalla Sibilla degli Appennini, presso la quale sarebbe stato possibile vivere una vita di sensualità e lussuria, tra bellissime damigelle e ricchezze senza fine. E questo non era tutto, perché a poche miglia di distanza una seconda leggenda abitava la cima del Monte Vettore: nel gelido laghetto glaciale che lì si trovava (e si trova ancora) sarebbe stato seppellito il corpo di Ponzio Pilato e sarebbe stato possibile consacrare libri magici ai dèmoni che in esso dimoravano. Insomma, un complesso leggendario multiforme, che neanche le Alpi hanno mai dimostrato di ospitare.

F.:. Che storia! Molto affascinante! Lo racconti nel libro?. Ma cosa c’entra il Club Alpino Italiano? E perché il tuo volume si intitola “Non eravamo dominati che dal cielo”?

M.:ll Club Alpino Italiano rappresenta il momento della riscoperta dei Monti della Sibilla. Il CAI nasce infatti nella seconda metà dell’Ottocento, a Torino, quando già la fama internazionale dei Monti Sibillini era venuto meno con il progredire delle scienze e l’abbandono delle antiche leggende. Proviamo a immaginarci, oggi, questi aristocratici notabili del primo Club Alpino (un’associazione che in origine ha avuto un carattere particolarmente esclusivo), che iniziavano a percorrere la penisola italiana da poco riunificata sotto i Savoia, esplorando montagne che, per loro, abituati alle sole Alpi, rappresentavano una sorta di “terra incognita”.

L’incontro con i Monti Sibillini è subito esplosivo: il fascino emanato da quei luoghi, da quelle vette incontaminate, cariche di leggende affascinanti ed anche un poco spaventose, colpì immediatamente la fantasia di quei gentiluomini, che ne scrissero sui primi “Bollettini” del CAI raccontando le proprie esperienze e le proprie impressioni. Il mio libro raccoglie proprio questi racconti, narrando di tanti luoghi visitabili anche oggi e di quelle persone oggi dimenticate che, all’epoca, ne percorsero i sentieri.

F. : Sì, ma non mi hai spiegato il perché di quel titolo, “Non eravamo dominati che dal cielo”

M.: È una frase speciale, scritta in una lettera vergata dalla contessa Lucia Rossi Scotti: una donna meravigliosa, che nel 1879 ebbe il fegato di unirsi a una escursione alla quale partecipavano solamente uomini, tutti aristocratici soci del CAI, risalendo gli scoscesi fianchi del Monte Vettore fino alla cima e scrivendo parole che, oggi, possono agevolmente risuonare nel cuore di ogni moderno escursionista: lassù, «non eravamo dominati che dal cielo», una frase bellissima che ho voluto utilizzare nel titolo.

Ma il libro contiene anche molte altre storie, come quella di Giovanni Battista Miliani, il grande imprenditore delle cartiere di Fabriano, appassionato dei Monti Sibillini; o come la vicenda di Grace Filder, pioniera del volo in pallone aerostatico e provetta alpinista, che ai primi del Novecento scalò sia il Vettore che il Monte Sibilla, scrivendo che questi luoghi custodivano «storie di spiriti e di diavoli da far rizzare i capelli».

F.: Michele ci hai proprio incuriosito. Ma quanto sono affascinanti i Monti Sibillini e dove possiamo trovare il libro?

M.: Moltissimo, fidati! Il libro può essere acquistato presso l’editore a questo link facendo click sulla foto o al link sotto riportato

LINK

e in tutte le librerie della zona dei Monti Sibillini ovviamente.

F. grazie per la bella chiacchierata!

M. Grazie a voi e ai lettori di DETTI E FUMETTI

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione Letteratura – articolo del 30 agosto 2022]