Cari lettori di Detti e Fumetti, il cinema ha da sempre affascinato il pubblico fin dagli esordi. I fratelli Auguste e Louis Lumière nel 1887 proiettarono i primi brevi cortometraggi precorritori del moderno cinema. Le reazioni degli spettatori di allora ci fanno sorridere e intenerire allo stesso tempo, come il panico che scoppiò nella sala, quando fu proiettato l’arrivo del treno: molti scapparono terrorizzati perché credevano che il treno l’avrebbe travolti. Ma il cinema è fatto anche di attori, che ci fanno commuovere o entusiasmare con la loro professionalità e bravura; ed è proprio degli attori che voglio parlarvi. Lo faccio con una nuova rubrica intitolata La Memoria. Dove verranno ricordati appunto personaggi che hanno fatto la storia del cinema fini primi del novecento Attrici e Attori ormai dimenticati dai più che sarà interessante riscoprire e valorizzare. Ho coinvolto in questo nuovo appuntamento, il mio amico esperto di cinema Graziano Marraffa che periodicamente ci presenterà un’attrice o un attore dimenticati o sconosciuti ai più.
Ritratto di Graziqno Marraffa di Filippo Novelli
Il primo ritratto per simpatia e riconoscenza vede Graziano Marraffa come protagonista.
Buona lettura. Ci ritroviamo qui. Tra poco. Rimanete connessi.
NOTE BIOGRAFICHE
Nato a Roma il 18 Ottobre 1975, è
Fondatore e Presidente dell’Archivio Storico del Cinema Italiano – Associazione Culturale Onlus, costituito da un patrimonio illimitato di materiali cinematografici originali dagli anni ’30 ai giorni nostri, suddivisi in varie sezioni :
Cineteca, Videoteca, Manifestoteca, Biblioteca, Emeroteca, Fonoteca, Scenografia e Costumi.
Consulente e curatore di mostre iconografiche, retrospettive e Festival realizzati in collaborazione con prestigiose istituzioni internazionali.
Consulente internazionale per vari laboratori di sviluppo, stampa e post-produzione esperto in teoria e pratica del restauro cinematografico su supporti originali in pellicola b/n e colore.
(DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI SEZIONE CINEMA E TEATRO – ARTICOLO DEL 29 ottobre 2022)
Oggi cari lettori di Detti e Fumetti intervisterò l’attrice Gaia Zucchi.
Allora Gaia, sei nata a Roma il 27 marzo 1970, ti sei laureata in psicologia. Ti sei diplomata al centro sperimentale nel 1994 Hai fatto quindici anni di teatro sotto la guida del regista Attilio Corsini al teatro Vittoria. Hai lavorato con Ronconi, Daniele Formica al Sistina, Argentina, Brancaccio, per citarne alcuni. Nel cinema hai lavorato sotto la regia di Tinto Brass, Anna Carlucci, Cinzia Torrini. Hai partecipato in varie fiction: Carabinieri, Distretto di Polizia, La Squadra. Sei apparsa in diversi spot pubblicitari, uno fra tanti quello con Mike Buongiorno e Fiorello.
W. Perché hai voluto fare l’attrice?
Innanzitutto, perché è il mestiere più bello del mondo. Attraverso questo lavoro posso interpretare tutti gli aspetti dell’umanità e tutti i mestieri. Cioè, un giorno puoi essere un dottore, un altro un insegnante, o uno psicologo o un drogato, oppure un ladro e quindi è meraviglioso. Ciò che mi spinse a fare l’attrice furono i film: Kramer contro Kramer, con Meryl Streep e Dustin Hoffman e Mammina cara con John Crawuford Gli avrò visti almeno trenta volte e grazie a questi film, decisi di recitare. Ho intrapreso questa carriera, anche per essere apprezzata, amata, e lasciare così un segno su questa terra. Un altro motivo fondamentale con questo mestiere e che puoi viaggiare e per me viaggiare è la più grande cultura che un essere umano possa avere, perché ti apre completamente la mente
W. Il rapporto professionale con Attilio Corsini cosa ti ha lasciato?
Per me Attilio Corsini è stato uno dei più grandi registi teatrali che il nostro teatro italiano abbia mai avuto. Attilio Corsini mi ha formata, supportata, mi ha fatto credere tantissimo in me stessa, facendomi amare questo lavoro. Mi ricordo un aneddoto in cui Attilio mi chiamò “Animale da palcoscenico” ed io mi offesi. Invece mi disse che era un bellissimo complimento. Ogni volta che c’era la prima, mi portava sempre i fiori in camerino. Ho lavorato con lui per più di dieci anni in tantissimi spettacoli che Attilio scriveva appositamente per me. Ci adoravamo. Un personaggio, Attilio, molto folle e molto capace. Mi ha lasciato tanti bei ricordi e la voglia di studiare. Attilio amava la spontaneità nella recitazione, non amava l’attore impostato e quindi mi diceva di essere me stessa, mi lasciava molto libera, pur dandomi delle direttive. Ha creduto tantissimo in me come attrice e io in lui.
W. Lavorare con Tinto Brass oltre ad arricchirti professionalmente ti ha dato la meritata notorietà, è così?
Accettai di partecipare al film Fermo posta di Tinto Brass proprio per diventare famosa e grazie al film, ho avuto la notorietà in pochissimo tempo; nonostante venissi dal centro sperimentale, da tanti anni di pubblicità e da trasmissioni televisive e spettacoli teatrali, con Tinto Brass sono stata conosciuta dal grande pubblico. Con Tinto mi sono arricchita sicuramente di esperienza, perché pur essendo un bravo regista il film in se, non mi ha arricchito dal punto di vista artistico. Però mi ha dato notorietà. Tanto è vero che poi ho fatto le riviste in tutto il mondo, copertine in Spagna, in Francia. Anche perché sul set quando si girava c’erano i giornalisti dell’espresso e dei più importanti quotidiani italiani. E quando mai ti ricapita.
W. Che cosa è per te l’applauso?
L’applauso è il massimo riconoscimento per un attore, è l’appagamento vero di tutte le fatiche che si fanno. L’applauso, soprattutto ottenuto a teatro, ti riempie il cuore di gioia. Il primo applauso che ho avuto è stato nel mio primo spettacolo al teatro Vittoria con la regia di Attilio Corsini, dove c’erano seicento persone, quando il sipario si è aperto ed è esploso l’applauso, sono svenuta per l’emozione. Mi hanno tirato dentro per i piedi e il sipario si è chiuso.
W. Che cosa è per te il fallimento dal punto di vista professionale?
Il fallimento dal punto di vista professionale è non riuscire a lavorare. Non essere chiamati, non riuscire a far parte di uno spettacolo o non fare un film. In pratica non riuscire ad esprimere la propria arte. Per me questo è il vero fallimento.
W. Per un periodo hai insegnato recitazione ai bambini cosa hanno insegnato loro a te?
E’ stata un’esperienza stupenda anche se dal punto di vista energetico mi ha devastata. Cosa mi hanno dato? Mi hanno fatta sentire amata, mi portavano sempre i fiori e mi hanno ridato l’entusiasmo, quello che nel corso della vita si perde. È stato stupendo lavorare con i bambini, quello che ho dato a loro, me lo hanno restituito tre volte tanto. Era una fascia di età che variava dai due anni agli otto. Abbiamo fatto in questa scuola Il saggio di fine anno che poi è andato su Sky ed è stato bellissimo, ho aperto uno scrigno per far volare dei palloni bianchi con la musica di We are the world e con i bambini che alzavano le loro manine al cielo. A fine spettacolo sono venuti da me abbracciandomi forte, c’era anche mia figlia che aveva recitato con il gruppo dei bambini. È stato emozionante
W. So che stai seguendo un progetto nel sociale, ce ne vuoi parlare?
Sono molto attratta dalla gente che ha una storia da raccontare, per esempio chi ha vissuto il carcere, i drogati, i disadattati; in una parola, gli ultimi. Queste persone potranno accedere gratuitamente ai corsi, dove io metterò a loro disposizione tutta la mia esperienza artistica, dando lezione di recitazione, dizione. Altri artisti daranno lezioni di disegno, musica, pittura, fotografia. Insomma, attraverso l’arte, voglio far riscattare le persone, perché a mio avviso, l’arte guarisce ogni male, perché se riesci ad esprimerti, guarisci te stesso.
W. ll tuo sogno nel cassetto?
Di sogni nel cassetto ne ho tantissimi, come le mie mille personalità, non ne ho uno solo. Nonostante la vita sia stata spesso crudele con me, ancora ho la capacità e la voglia di sognare. Come ho detto prima, vorrei aprire questi centri-laboratorio per aiutare appunto gli ultimi. Questo per quanto riguarda il sociale. Per quanto riguarda me, vorrei finalmente ritrovare la serenità e la pace in una bella casa con i miei figli, tanti animali e l’amore, se ci sarà. Per quanto riguarda la carriera, vincere un oscar per la mia interpretazione in un film internazionale. Fare uno spettacolo dove la gente sia felice di vederlo e dove possa ridere, perché siamo molto angosciati, veniamo da anni difficilissimi, ed ho voglia di far ridere le persone. Anche attraverso questo libro che sto scrivendo; uscirà a dicembre e mi auguro che sia un libro leggero dove la gente possa sorridere ridere e riflettere, perché nella leggerezza ci possono essere delle note profonde che non debbano essere necessariamente pesanti
W. Bene, grazie Gaia per questa interessante chiacchierata, anche a nome dei lettori di Detti e fumetti; non vediamo l’ora di applaudirti a teatro ma soprattutto di leggere il tuo libro. A presto
[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI sezione TEATRO – articlo del 29 settembre 2022]
Cari lettori di Detti e Fumetti, non potevo perdere un importante evento che si svolge al Mattatoio di Testaccio padiglione 9b: Spazio Griot. Ho intervistato per voi Johanne Affricot, curatrice e produttrice culturale indipendente romana, di discendenza haitiana e ghanese, fondatrice nel febbraio 2015 del magazine culturale “GRIOTmag” blog italiano estesasi poi in SPAZIO GRIOT, con il suo collettivo: Celine Angbeletchy (EHUA) e Eric Otieno Sumba, che sono alla continua ricerca di un linguaggio culturale internazionale e locale, che approda nella cultura africana e la sua diaspora, con le sue sfumature artistiche e sonore.
W: A che età hai capito che l’arte avrebbe fatto parte della tua vita?
J: Sai, non saprei dirti con esattezza quando ho capito a che età l’arte avrebbe fatto parte della mia vita. Credo che l’aver fatto discipline artistiche come danza moderna, quando ero bambina, così come teatro, da adolescente, con la grandissima Francesca Maria Romana Coluzzi (scomparsa purtroppo nel 2009), abbia contribuito a maturare il mio interesse verso l’estetica e il linguaggio artistico. Subito dopo la fine dei miei studi universitari, ho iniziato a lavorare per un’organizzazione non governativa; mi occupavo di responsabilità sociale di impresa e relazioni esterne. I progetti che gestivo, o che sviluppavo, erano tutti legati a forme di espressione creativa (cinema, moda, scrittura principalmente). Poi negli anni questa direzione ha assunto una linea più chiara, e in maniera del tutto naturale ho iniziato a lavorare per agenzie creative o associazioni culturali nelle quali, come responsabile di progetto, concepivo sia idee e contenuti, sia dirigevo o coordinavo i progetti. Da Nastro. Say Yes to It, al Teatro Parenti di Milano, al MIT in Town alla Fondazione Auditorium Parco della Musica a Triumphs and Laments, di William Kentrdge, al MAXXI. Tutte attività che ho amato, che si sono depositate nella mia identità, ma a cui mancava qualcosa.
W: Perché lo Spazio Griot?
J: SPAZIO GRIOT perché proprio partendo da varie esperienze lavorative, così come dalla mia esperienza di bambina, prima, donna poi, Nera, cresciuta con l’audiovisivo, la letteratura, la cultura italiana, insomma, non vedevo alcuna rappresentazione di me stessa che fosse reale e presente, nel senso letterale del termine; piuttosto, una narrazione falsata da pregiudizi, stereotipi, da assunzioni, da chiusura. Così, ricca di una forte visione, e di un discreto bagaglio, nel 2015 decido di fondare GRIOTmag. L’idea era ed è quella di colmare la pesante lacuna che c’è nel racconto delle soggettività marginalizzate ed escluse, utilizzando un approccio artistico multidisciplinare, appunto, perché l’arte, nelle sue varie declinazioni, è il linguaggio che sento mi appartenga, probabilmente da sempre. Il focus di GRIOTmag è sempre stato raccontare le comunità artistiche e culturali della diaspora africana e dell’Africa per dirla più semplicemente, delle persone Nere, razzializzate, comprendendo anche altri gruppi, anche se non è un’impresa semplice perché si tratta pur sempre di un progetto indipendente, e portare avanti più istanze culturali e sociali, per quanto siano fortemente interconnesse, è complesso; ma non mi spaventa, bisogna solo strutturarsi meglio e avere un dialogo costante con la comunità, le istituzioni, il settore privato.
W:con che spirito gli artisti afro-italiani affrontano la realtà culturale italiana?
J: È una domanda complessa perché ogni condizione è soggettiva. Bisogna sempre prendere in considerazione che non si parla di un blocco monolitico ma di individualità: come tu sei un individuo e le persone italiane bianche sono individui. Posso dirti, però, che la maggior parte della comunità artistica afro-italiana con cui mi sono relazionata condivide una esperienza comune di alienazione, che assume diverse forme, che deriva da tanti luoghi, cercando e creandosi allo stesso tempo il proprio posto, con tutti gli oneri del caso. Ma c’è anche tanta felicità.
W: Il cinema africano che impatto ha in Italia?
J: Non credo abbia un impatto vero e proprio, anche se sentenziare in questo modo rischia di essere deviante, non avendo dati alla mano. Se parliamo di mainstream, posso dirti però con certezza: zero.
E credo lo veda anche tu; se parliamo di undergound, ci sono stati dei blog che facevano un ottimo lavoro di racconto e archiviazione di cosa viene prodotto nel continente e nella diaspora. Ma sono sempre iniziative indipendenti, non supportate. Poi abbiamo i festival di cinema africano indipendenti: da Roma a Firenze a Verona a Milano, o altre iniziative culturali che al loro interno ospitano l’audiovisivo africano e diasporico africano.
W:Le performance musicali dei giovani quanto sono influenzate dal retaggio culturale africano?
J: Dipende cosa intendi. Se parliamo di musica pop, c’è una onda di giovani sempre più crescente e potente che, partendo dagli UK, dalla Francia, dal Portogallo fino ad arrivare in Italia, sta includendo e diffondendo tutte una serie di sonorità, come l’afrobeats per esempio (con la “S”, perché è diversa dell’aforbeat di FelaKuti, per citarti un nome gigante), che stanno ridefinendo la club culture contemporanea anche nel nostro paese. Se prima l’hip-hop e il rap americani la facevano da padrone, oggi questo genere dirompente ha fatto il suo ingresso, guadagnandosi non pochi apprezzamenti e onori. E mi sembra si sia seduto per restare del tempo.
W: Che ruolo ha il teatro in Africa e come si rapporta qui in Italia?
J: È sempre difficile perimetrare un genere artistico a un continente piuttosto che a singoli paesi. Posso dirti che in Nigeria, in Ghana, in Etiopia ci sono lunghe e antiche tradizioni orali performative, così come letterarie. La difficoltà, qui in Italia, in Europa e così via, sta nello spogliarsi di un approccio o sguardo occidentale a qualsiasi forma artistica che viene dall’Africa—in questo caso. Sicuramente ci sono similitudini, ma anche tante diversità, quindi il gioco che ci farà vincere tutt* sta nel rilassare il nostro giudizio e senso estetico, e farci attraversare da ciò che presenta codici nuovi o molteplici. Poi possono piacere o non piacere, è legittimo, ma questa è un’altra storia. Liliana Mele e Ilenia Caleo il 5 luglio nello spazio esterno tra il padiglione 9a e il padiglione 9b del Mattatoio parleranno proprio di questo, nell’incontro Archivi dispersi e resistenze. Il teatro etiope prima, durante e dopo l’impero di HailéSelassié. Mele, che è italo-etiope ha sviluppato la sua tesi di laurea magistrale proprio su questo, e invito tutt* le/i lettor* di Detti e Fumetti a partecipare a questo incontro culturalmente arricchente e rilevante.
W:Cosa consiglieresti ad una giovane afro-italiana che ha deciso di intraprendere il duro cammino dell’arte?
J: Le consiglierei di ascoltarsi, di trovare o fare comunità; di connettersi con chi ha intrapreso questo percorso da tempo. Questo le consiglierei.
W:Qual è il tuo sogno nel cassetto?
J: Ne ho tanti, sai? Al momento, parlando di sogni concreti, vorrei avere un nostro spazio fisico dove poter sperimentare, esplorare e discutere. Vorrei che SPAZIO GRIOT diventasse un tempo lungo più strutturato, vorrei che fosse sostenuto e non fosse trattato come un trend o un’anomalia del sistema.
W: bene Johanne ti ringrazio anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti.
J: Grazie per lo Spazio, Willy. A Presto.
Cari amici, vi ricordo le date di Spazio Griot in essere al Mattatoio padiglione 9b dal 30 luglio al 4 settembre 2022.
Di seguito il link su cui cliccare per avere tutte informazioni
Cari lettori di DETTI E FUMETTI, amanti del teatro e non, oggi abbiamo avuto il piacere di avere con noi Francesco Lonano, un bravissimo regista teatrale; con lui abbiamo fatto quattro chiacchiere in libertà, spaziando dalla ricerca teatrale alle nuove forme di aggregazione di artisti. Buona lettura.
Fi: Ciao Francesco e benvenuto sul nostro HUB!
Fr. Ciao, ho sentito parlare del vostro “Hub nel Web” delle arti che crea ponti tra la mia, il Teatro, e le altre. Lo trovo un format molto interessante ed una strategia valida per avvicinare il pubblico al teatro, come al fumetto, ecc.. Grazie di avermi invitato.
Fi: Dimmi di piu’ del pubblico, mi interessa:
Fr.: Nel mondo teatrale sono anni che si elencano le tante (troppe) cose che non vanno e ipotetiche soluzioni. Il problema piu’ serio e concreto e’ il distacco tra il pubblico e il teatro.
Noi operatori teatrali, nel nostro piccolo, dovremmo cercare di colmare questo distacco e lavorare costruendo contenuti validi, profondi, moderni ma allo stesso tempo poetici per avvicinare la gente al teatro.
Progetti come il vostro portale, che unisce vari mondi artistici tra di loro, costituendo un ampio raggio di accoglienza al “lettore”, non sono solo utili per generare una nuova cultura giovanile, collante tra le varie esperienze artistiche ma a mio avviso sono vitali per il teatro del futuro.
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Fi; A noi piace raccontare il dietro le quinte, le varie declinazioni dei mestieri del teatro, tanto che a breve uscirà la terza raccolta di questa nostra rubrica, FARE TEATRO. Capisci bene quindi che mi interessa moltissimo sapere come il tuo team si è organizzata per barcamenarsi in questo mondo liquido e le differenze se ce ne sono rispetto alle compagnie teatrali tradizionali.
Fr.: Siamo un collettivo, il collettivo Cenerentola. nasciamo nel 2017 per volere mio, dell’attore Fedele Tullo e del polistrumentista Cesare Secli’.
Cenerentola lavora sulla ricerca artistica senza arrogarsi il concetto di stabilire un linguaggio teatrale univoco e modelli rigidi. a dir la verità non ci piace tracciare confini ma disegnare orizzonti. E’ un cantiere artistico e ogni singolo artista che lavora per il progetto Cenerentola deve sviluppare la sua creatività non per se stesso ma per la collettività.
Ogni giovane professionista che si lega a noi, mette al centro la sua competenza e conoscenza, acquisite dai suoi studi e dalla sua esperienza.
Non vi è nessuna gerarchia, ma “squadra” che deve portare a conclusione il suo obiettivo nel disegno di un progetto collettivo.
Fi: Quale è il messaggio nei tuoi spettacoli?
Fr.:Il messaggio nasce da come si sviluppa il progetto. In tutti i nostri spettacoli ci siamo cimentati in una esperienza totale che si sviluppa dalle nostre vite e dal nostro vissuto.
Sicuramente vogliamo avvicinare la gente al teatro per riflettere sul presente, progettare il futuro non dimenticandoci del passato.
Siamo ragazzi di strada, veniamo dalla provincia, studiamo tanto ma cerchiamo di non distaccarci dalla realta’.
Fi: il vostro spettatore ideale?
Fr.Il nostro spettatore ideale e’ colui che convinciamo a riservare un giorno a settimana per il teatro rinunciando a netflix o alla champions league.
Fi: Progetti presenti e futuri?
Fr.: Dopo tre anni di pausa forzata a causa della pandemia i membri del collettivo hanno continuato a lavorare singolarmente, – nel mio caso, ho lavorato come aiuto regia per Marco Carniti.
Ho avuto la fortuna e il piacere di aver lavorato su tanti autori da Pasolini a Shakespeare (abbiamo debuttato il 24 giugno con “Falstaff e le allegre comari di Windsor” al Gigi Proietti Globe Theatre).
Parallelamente come collettivo continuavamo a lavorare a tavolino sul progetto “Salome'”.
Abbiamo deciso di lavorare su questo classico adattando il testo di Oscar Wilde alla novella “Herodias” di Gustave Flaubert.
Il nostro principale obiettivo e’ quello di sviluppare una vera e propria testimonianza che rifletta sulla natura degli eventi e non l’incarnazione dei personaggi stessi.
Partiamo da un evento biblico per far riflettere su quanto sia nociva l’esasperazione al consumismo e arrivismo ovvero il percorso che sta prendendo la nostra società.
Il disegno registico si sviluppa sull’esaltazione della bellezza estetica creando però un contrasto con la cupezza dei tempi e dei valori.
Questo primo step del progetto si e’ sviluppato in un contesto femminile perche’ la regia l’abbiamo curata io e Sabrina Fasanella mentre in scena nel ruolo di Salome’ Katia D’ambrosio e (credo per la prima volta nella storia) nel ruolo di re Erode l’attrice Eleonora Cimafonte.
[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione TEATRO – Articolo del 9 luglio 2022]
Cari amici di Detti e Fumetti continuiamo a seguire i lavori di un attore che già conosciamo [Vedi Detti e Fumetti del 6 aprile 22] per la sua eccellente interpretazione del Vice Questore Angelo Garzo nella serie tv “Il Commissario Ricciardi” e nei panni del padre nel film “Yara”.
Stiamo parlando di Mario Pirrello che dal 16 giugno al 3 luglio 2022 debutta, in prima nazionale, al Teatro Studio Melato di Milano (via Rivoli 6) con lo spettacolo Carbonio, scritto e diretto da Pier Lorenzo Pisano. Il testo dello spettacolo, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, ha vinto il 56° Premio Riccione per il Teatro. In scena, Federica Fracassi e Mario Pirrello; le scene sono firmate da Marco Rossi, le luci da Gianni Staropoli, i costumi da Raffaella Toni.
La trama: Un uomo [Mario Pirrello] ha un contatto visivo con un alieno che fa saltare tutti gli schemi che fino ad ora hanno regolato la nostra vita. Il dialogo sincopato tra la donna [Federica Fracassi] incaricata di documentare l’accaduto, scardina completamente la struttura che ci siamo creati con l’infinito, portando alla luce la personale paura di rapportarsi con l’altro.
Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16.00; lunedì, riposo (le recite di sabato 19, 26 giugno e 2 luglio sono sovratitolate in inglese). Biglietti: platea 40 euro, balconata 32 euro. Per info 02 21126116.
[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI sezione TEATRO articolo del 16 giugno 2022]
Cari amici di Detti e Fumetti, oggi intervisterò l’attore e regista nonché doppiatore Michele Di Mauro.
MICHELE DI MAURO di Filippo Novelli
Allora Michele sei nato a Torino il 9 luglio 1960. Sei un attore e regista teatrale dal 1980 in poi, hai collaborato con il Teatro Stabile di Torino, il Gruppo della Rocca, il Teatro Settimo e lo Stabile di Palermo.
Hai debuttato come attore cinematografico nel film di Gianluca Maria Tavarelli Portami via (1994); molto spesso inserito nei lungometraggi di Marco Ponti, ed anche ne Il partigiano Johnny (2000) e nel film Ravanello pallido (2001). Hai prestato la sua voce al personaggio di Moud nel lungometraggio di animazione Aida degli alberi (2001).
Ma non solo cinema e teatro nella tua carriera; hai lavorato spesso anche alla radio, conducendo vari programmi su Rai Radio 2 accanto a Ermanno Anfossi, Germana Pasquero e Andrea Zalone, come: Non ho parole (2001). Su Radio Deejay, invece, hai accompagnato Luciana Littizzetto negli sketch da lei proposti nel programma La Bomba.
Nel 2021 per Ad Alta Voce hai letto Il diavolo sulle colline di Cesare Pavese, trasmesso da Rai Radio 3.
Nel 2004 hai partecipato alla miniserie Le stagioni del cuore di Antonello Grimaldi con Alessandro Gassman, Anna Valle, Martina Stella, Tatiana Lepore e Antonella Attili. L’anno successivo hai interpretato Sandrone in Manuale d’amore, mentre nel 2009, hai preso parte a La doppia ora di Giuseppe Capotondi con Ksenija Aleksandrovna Rappoport, Filippo Timi e Antonia Truppo.
Dal 2017 fai parte del cast de I delitti del BarLume, interpretando un goloso e logorroico commissario di polizia.
W. Perché hai voluto fare l’attore?
M. Intanto…le cose scelte dal curriculum sono opinabili, ma…non importa. Vista l’informalità dell’intervista, eviterei di dire cosa ho o non ho fatto.
Per definirmi ai lettori di DETTI E FUMETTI io direi: “MICHELE DI MAURO , operaio dello spettacolo,attore, regista, autore, insegnante”.
E basta. Ora però, caro Willy, rispondo alla domanda.
Non ho, voluto fare l’Attore. Cioè, non in modo classico “era il mio sogno fin da piccolo” o cose così. No. Io ho fatto il Liceo Artistico e suonavo. Ero un ragazzo che negli anni ’80 voleva fare del Rock Progressive (E.L.P. Genesis, YES). E poi…sono inciampato nel teatro e sono rimasto intrappolato anima e corpo in quel Luogo meraviglioso. E poi la TV, il Cinema etc.
W. Che cosa è per te l’applauso?
M. Un meraviglioso modo di continuare la Comunione che il teatro (luogo dell’Applauso per eccellenza) stabilisce col Pubblico (elemento essenziale dell’Atto teatrale). L’applauso è riconoscimento, affetto, musica del corpo, carica e ri-carica immediata. Felicità.
PH Elvis Ranella
W. Dal punto di vista professionale, cosa ti insegna un fallimento?
M. Dirò, come tutti gli attori che vogliono far bella figura e sfoggiare una cultura teatrale di rango, che, come diceva un certo Samuel Beckett (… che poi a voi di DETTI E FUMETTI che state in fissa con gli AFORISMI piacerà di certo):
“Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.
Se invece stò più coi piedi per terra…direi che un fallimento ci sta. Due anche. Al terzo io comincerei ad allarmarmi. E poi…cambierei un po’ di cose sostanziali, nelle procedure “fallimentari”!
W. Davanti al bivio tra cinema e teatro cosa sceglieresti e perché?
M. E’ una domanda … cattiva WIlly!.
Non si può scegliere tra due cose “essenziali” del tuo lavoro (perché così diverse, una dall’altra)! Se però fossi obbligato per via che mi succede qualcosa di irrimediabile…direi che, a questo punto della mia carriera, dopo 40 anni di teatro (luogo che conosco centimetro dopo centimetro)… sceglierei il Cinema (luogo che conosco molto, molto meno).
W. Vuoi parlarci della serie tv appena conclusa Studio Battaglia e se ci sarà una seconda stagione ?
M. E’ finita ieri sera la prima, di stagione. E i frutti, di stagione, maturano col tempo: (dipenderà da Rai Uno, dell’Auditel e da Palomar che l’ha prodotta insieme a Rai Fiction e Tempest Film.).
W. Il tuo sogno nel cassetto?
M. Guarda, i miei cassetti debordano di cianfrusaglie (non butto mai niente) e non c’è posto per i sogni. E poi, devo dire, non sono un sognatore. E se qualcuno ce l’ho … lo tengo nel cofano della mia automobile (insieme a qualche regalo che non ho dato a qualcuno in un Natale passato, un paio di pantaloni che ho comprato ma non ho ancora portato a casa, un dvd di Fassbinder, un libro sulla Juventus e una maschera da Zorro).
Progetti, invece, ne ho. Sto scrivendo un monologo dal titolo:
13 stazioni per una seduta di cannibalismo. Poi. Domani comincio la prima posa di una nuova serie per SKY di cui sono il protagonista. La serie è la versione italiana di CALL MY AGENT (Dis puor cent) e girerò fino a metà luglio (oltre ai 3 nuovi episodi dei DELITTI DEL BARLUME). Farò anche uno spettacolo/concerto su un testo di Vitaliano Trevisan , titolo: SOLO RH e la regia di un altro spettacolo che s’intitolerà DESSERT SARTRE e debutterà ad ottobre al festival PLAY WHIT FOOD. Meno sogni, quindi, e più concretezza!!
Bene caro Michele grazie anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti per questa simpatica chiachhierata
Grazie a te, e saluti belli per tutti. SMACK! (direste voi, no?!!)
[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI – sezione CINEMA E TEATRO – Articolo del 12 aprile 2022]
Le FOTO DI SCENA tratte da “Call my Agent; Le Sedie sono di proprietà dell’autore ogni diritto è riservato.
Cari lettori di Detti e Fumetti, sempre nell’ambito del filone attoriale, oggi intervisterò Eleonora Cimafonte.
Ritratto di Eleonora -Filippo Novelli
W. innanzitutto ti presento; sei nata in un paesino della provincia romana il 16 dicembre del 1995.
A diciannove anni senza nessuna esperienza recitativa precedente, vieni ammessa all’accademia di recitazione Fondamenta di Roma, qui hai modo di studiare e lavorare con attori e registi come Graziano Piazza, Giampiero Rappa, Sergio Basile. Subito dopo il diploma iniziano i primi lavori e soddisfazioni a livello professionale; tra i primi c’è il terzo posto come giovane attrice emergente al festival teatrale “Echi nel bosco” con il monologo di Elettra tratto dall’Oreste di Vittorio Alfieri; da lì hai collaborato con varie compagnie teatrali, tra cui Chiara Guidi e partecipato a vari spettacoli della scena principalmente romana. Sei passata a lavori più contemporanei, cercando sempre di lavorare con registri e personaggi completamente diversi tra loro. Da poco sono arrivati anche i primi lavori nell’ambito dell’audiovisivo, tra cui vari cortometraggi e la serie disponibile su Prime Video “Primordio” con la regia di Gaetano Pasella, di cui avremo presto grandi novità.
W. Perché hai voluto fare l’attrice?
Perché è stata la coincidenza più bella della mia vita. Al liceo ero una ragazzina molto timida, che provava sempre un velato senso di inadeguatezza nei confronti di ciò che la circondava. Alla domanda “cosa farete dopo?” tutti i miei compagni rispondevano in maniera decisa; invece, io a quella domanda che ci facevano innumerevoli volte, non sapevo mai cosa rispondere. Credo che questo sentirmi “persa” mi abbia portato a scavare a fondo su ciò che volevo realmente fare. Pensai che sarebbe stato bello provare a trasmettere agli altri anche solo la metà di ciò che provavo io nei personaggi degli innumerevoli film che guardavo ogni giorno; essere parte di qualcosa che a me per prima faceva stare bene. Ho deciso così di fare il provino in accademia; sono stata ammessa e da lì la mia vita è cambiata; mi sono innamorata follemente di questo mestiere, che mi ha dato la risposta che tanto cercavo.
W. Che cosa è per te l’applauso?
E’ un qualcosa che onestamente mi imbarazza un po’ proprio per il forte valore che gli attribuisco. A ogni battito è come se qualcuno ti stesse dicendo “sono stato qui con te tutto il tempo” ti fa sentire infinitamente grato.
W. Dal punto di vista professionale, cosa ti insegna un fallimento?
Non è un qualcosa che mi destabilizza, tutt’altro, mi spaventerebbe molto di più l’idea di non poter fare meglio di così. La meraviglia di questo mestiere è che ha mille possibilità. Parliamo di rappresentare delle persone, che sono la cosa più complessa che esista, c’è sempre qualcosa che avresti potuto fare meglio, qualcosa sui cui avresti potuto lavorare di più e soprattutto qualcosa che puoi non aver colto della persona che stai provando a raccontare. È stimolante, un po’ come quando credi di conoscere una persona, c’è sempre qualcosa che non sai e che forse non saprai mai, l’unica cosa che puoi fare, nella maniera più umile e rispettosa possibile, è cercare di avvicinartici un po’ di più.
W. L’attore ha delle responsabilità nei confronti della società?
Quello che amo di più di questo mestiere è la libertà. Che sia in teatro o in un prodotto audiovisivo di avere la possibilità, in base alle storie che si raccontano, di poter parlare alle persone. A quello che si sta facendo si può dare un peso e valore sociale e politico, ad esempio, un qualcosa a cui magari ripensi e ti confronti con chi ti sta accanto una volta finito, ma allo stesso tempo si può semplicemente raccontare a qualcuno una storia. Una storia che ti distacca per un’oretta dalla realtà, che magari non ha niente a che vedere con il tuo quotidiano, che ti fa immergere completamente in quello che stai guardando, che ti da un po’ di respiro e di sollievo dalla vita di tutti i giorni. Sapere di poter contribuire, anche in parte ovviamente piccolissima a questo, è davvero tantissimo.
W. Davanti al bivio tra cinema e teatro cosa sceglieresti e perché?
Il teatro, senza nessun dubbio. Amo follemente il cinema, è qualcosa che fa da sempre parte del mio quotidiano, quando ho iniziato avevo una conoscenza blanda del teatro, senza il cinema probabilmente ora non sarei qui ma è un qualcosa che amo vivere più da spettatrice, nonostante i lavori intesi che ho svolto in questo periodo. Con il teatro è tutto l’opposto però, amo il grande lavoro che c’è dietro, le prove, la dedizione, l’importanza a cose apparentemente piccole che lì sopra diventano grandi, l’empatia, l’energia e la sincerità che pretende fino alla fine. Credo che non potrò mai fare a meno di tutto questo, è come un primo amore per me.
W. Ti trovi piu’ a tuo agio con una regista o con un regista?
E’ completamente indifferente, ciò che da merito o demerito ad una persona nell’ambito lavorativo è solo collegato al tipo di essere umano che si ha difronte. Amo farmi guidare da un o una regista che abbia rispetto e serietà per te e per quello che si sta facendo insieme; sono stata molto fortunata finora.
W. Il tuo sogno nel cassetto?
Banalmente continuare così, sono agli inizi e avere la possibilità di fare questo mestiere anche in futuro è il sogno più grande che posso concedermi, non è assolutamente una cosa scontata, tutt’ora sono una privilegiata.
W. Bene Eleonora, grazie anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti
per questa bella chiacchierata
[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI -sezione Teatro- articolo del 1 Febbraio 2022]
Le foto sono di proprietà di Eleonora Cimafonte e protette da copyright. Per l’autorizzazione all’utilizzo contattateci
Amici di Detti e Fumetti, oggi intervisterò Roberta Russo. Inizio con la mia consueta presentazione di Roberta.
W. All’età di sedici anni hai intrapreso i primi studi di recitazione con frequenza biennale presso la Scuola del Teatro Calabria diretta da Rodolfo Chirico, coadiuvato dall’avvicendarsi di numerosi artisti. Hai debuttato a 19 anni al Teatro Politeama Siracusa nel reggino. Hai proseguito il percorso professionale negli anni successivi collaborando con varie compagnie locali. Successivamente sei partita per un’esperienza lavorativa nelle Repubbliche Baltiche come presentatrice per un programma sul gaming online, periodo nel quale hai intrecciato collaborazioni artistiche con rappresentanti della Facoltà di Filologia romanza ed Ambasciata Italiana a Rīga. Ti sei trasferita a Roma nel 2014 arricchendo il suo percorso professionale, formativo ed esplorativo dei vari linguaggi espressivi.
W. Perché hai scelto di fare l’attrice?
R. Quando ero molto piccola ho perso un fratello. Qualche anno dopo, a scuola, mi hanno chiesto di leggere un estratto dall’Antigone di Sofocle che vedevo per la prima volta. Erano tutti più grandi di me e mi sentivo morire al pensiero di leggere in pubblico. Leggendo apprendevo dell’impedimento alla sepoltura di Polinice. Per superare la timidezza, mi sono concentrata tantissimo su quello che stavo leggendo e devo aver applicato quello che oggi so chiamarsi “sostituzione emotiva” perché quando ho alzato gli occhi mi guardavano tutti in silenzio. Ho pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato e mi sono seduta in un angolo, quando una ragazza mi ha passato un biglietto. Dentro c’era scritto il numero di telefono di una scuola di recitazione e la frase “devi per forza andare qui”.
W. Qual è stata la sensazione che hai provato la prima volta che sei andata in scena?
R. Vivevo la mia prima relazione importante. Il mio compagno era lì con me. Mi ha dato un bacio e mi ha spinta in scena. Quando ho visto la gente, invece di accelerare, il cuore si è calmato. Mi sentivo al sicuro.
PH Paolo PalmieriPH Paolo Palmieri
W. Che cos’è per te l’applauso?
R. Il momento in cui cerco con lo sguardo se per caso è arrivato lo spettatore che non c’è.
W. La figura attoriale che responsabilità ha, in questo momento così difficile come la pandemia?
R. Aggiro e rigiro la domanda: come avremmo superato il primo lockdown senza Arte?
PH Paolo PalmieriPH Paolo PAlmieri
Senza ascoltare musica, guardare un quadro, utilizzare un gioco creato da un grafico, leggere un libro, vedere un film, una soap, una serie, un video o la ripresa di uno spettacolo teatrale o circense?
Forse saremmo impazziti. Eppure siamo talmente abituati ad essere circondati di arte da darlo per scontato. Come certi contadini dell’Ex Magna Grecia che rinvengono reperti archeologici nei giardini e li adoperano come sottovasi. Così è l’artista oggi in generale e l’attore nel particolare. La pandemia non ha fatto che portare alla luce la terrificante precarietà delle nostre condizioni lavorative che però era reale e tangibile anche quando stava nascosta sotto al tappeto. L’attore, in questo momento, ha una forte responsabilità innanzitutto verso sé stesso: quella di fare rete coi colleghi per farsi riconoscere e rispettare come lavoratore.
W. Cosa sceglieresti di recitare un dramma o un musical e perché?
R. Sarò sicuramente impopolare: non mi piacciono I musical. Non riesco a decifrare il codice linguistico e mi innervosisco appena si comincia a cantare. Penso invece di potermi definire melomane. In un’opera, il codice condiviso inizialmente – secondo il quale TUTTO si esprime in musica – per me è molto più facile da seguire e dunque mi è più naturale partecipare emotivamente a ciò che vedo. Quando vivevo a Rīga, I biglietti base, all’Opera Nazionale, costavano appena 4 lat (circa 6 euro). Ci andavo spesso… ma divago. La risposta è intuibile e se potessi scegliere, in questo momento, mi piacerebbe molto lavorare su Ibsen. Possibilmente su “la donna del mare” (la mia preferita), ma non solo.
W. Se la figlia della tua migliore amica volesse fare l’attrice, cosa le diresti?
R. Innanzitutto aspetterei che chiedesse la mia opinione, poi le direi quello che hanno detto a me: “Non ti svendere, fallo solo se ti scappa come la pipì e non aspettarti che qualcuno ti insegua o ti ringrazi. Bisogna guadagnarsi tutto”.
W. Il tuo sogno nel cassetto?
R. Avere una casa mia dove far riposare I miei poveri libri, stanchi di essere impacchettati ogni tre mesi.
W. Bene cara Roberta, grazie anche a nome dei nostri lettori di Detti e Fumetti per questa bella chiacchierata.
[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – Sezione Teatro – articolo del 24 gennaio 2022]
Cari lettori di DETTI E FUMETTI oggi abbiamo con noi Carmelinda Gentile.
RItratto di Carmelinda Gentile di FIlippo Novelli
W. Ciao Carmelinda innanzitutto ti presento. Sei nata nel 1973 a Siracusa. Muovi i primi passi nella scuola di teatro classico Giusto Monaco. Dopo il diploma e la scuola di teatro, hai deciso di trasferirti ad Amsterdam e raggiungere i tuoi fratelli, rimanendoci per cinque anni. Poi ritorni in Italia e lavori con Luca Ronconi, Albertazzi, Piera Degli Esposti, Paola Gassman, Ugo Pagliai. Sei stata scelta per il ruolo di Beba in Montalbano, hai lavorato per molte edizioni degli spettacoli dell’Inda, hai fatto corsi nelle scuole preparando i ragazzi a partecipare al Festival dei Giovani a Palazzolo Acreide, ideato dal professor Giusto Monaco. Poi a quarant’anni ritorni ad Amsterdam e fondi una compagnia amatoriale Korego Theater group, dove insegni recitazione a giovani italiani che vivono come te ad Amsterdam.
W. Hai sentito l’esigenza di fondare questa compagnia teatrale perché?
C.Perché senza teatro non sono più io e perché il teatro consola chi lo fa e chi lo guarda , e chi meglio di noi che viviamo lontano ha bisogno di consolarsi e condividere momenti di bellezza .
W. Recitate in Italiano ?
C.Si cerchiamo di essere testimoni della nostra lingua e cultura e di non perdere le nostre radici .
W. la risposta del pubblico quale è stata?
C. Abbiamo un pubblico appassionato che ci segue , sia di italiani che olandesi amanti della cultura italiana.
W. L’emozione più forte la provi sul palcoscenico o su un set cinematografico?
C. Sono due emozioni diverse , ma sicuramente il teatro da emozioni molto più forti a cui è difficile rinunciare .
W. Nella fiction “il Commissario Montalbano” interpreti prima la fidanzata poi la moglie del vice commissario Mimì Augello, interpretato da Cesare Bocci. Cosa ti ha lasciato il personaggio di Beba?
L’ affetto del pubblico.
W. Cosa diresti a tua nipote che vuole seguire il tuo esempio?
C. Il teatro è fatto di tantissime prove, sacrifici , delusioni e rinunce ma è quel luogo non luogo dove tutto diventa possibile e dove si è veramente liberi .
W. Il tuo sogno nel cassetto?
Lo sto vivendo
W. Bene, ti ringrazio per questa chiacchierata Carmelinda anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti
[Dario Santarsiero per Detti e Fumetti- sezione TEATRO – articolo del 18-12-2021]
Cari lettori di Detti e Fumetti, oggi parleremo con l’attore Luigi Di Fiore.
Ritratto di Fiore di Filippo Novelli
W. Allora Luigi, sei nato Milano, 18 luglio 1964 Ti diplomi nel 1985 alla bottega teatrale diretta da Vittorio Gassman. L’anno successivo vieni scelto, tra 1000 candidati, per rappresentare il ruolo di Don Giovanni nell’Elvira o la passione teatrale diretta da Giorgio Strehler. L’anno successivo vieni chiamato a Roma per interpretare l’agente Quadri nella miniserie televisiva La piovra 4. Interpreti numerose fiction televisive e partecipi a film di respiro internazionale, senza abbandonare mai l’attività teatrale.Dal 1996 fino al 2001 vesti i panni di Luca De Santis nella soap spia, Marco e Laura, La ragnatela, La piovra 5 Il cuore del problema, Amanti e segreti, Cuore contro cuore, Distretto di Polizia ed Incantesimo. Nell’ottobre 2001 gi r i inol tre alcuni documentari per Geo & Geo. Dal 2009 hai interpretato il ruolo di Franco nella terza e quarta stagione de I Cesaroni. Nello stesso anno vinci il palmarès come migliore attore al Festival du cinema de Paris. Nel 2013 hai interpretato il ruolo di Druso Pollione in Barabba. Nel 2013 hai interpretato il ruolo di Corrado Muraro ne Il commissario Nardone al fianco di Sergio Assisi Nel 2013 interpreti il personaggio di Vittorio, nella fiction Rosso San Valentino. 2013 interpreti il personaggio di Giancarlo in CrossingLines Nel 2013 sei sul set di Provaci ancora prof 5 e Mani pulite.
W. Perché hai scelto di fare l’attore?
Periodicamente questa domanda mi è stata rivolta più volte nel
corso della mia carriera. La risposta più istintiva dovrebbe essere
legata alla “chiamata”. Sono stato scelto non ho scelto io. Una sorta
di vocazione religiosa, una questione dello spirito, o degli spiriti,
come avrebbe detto Louis Jouvet. Il primo spettacolo teatrale a cui
ho assistito fu il “Fanfani rapito” di e con Dario Fo. Ne rimasi incantato. Avevo 11 anni. Quel giorno mi sono detto che non avrei
immaginato altra vita se non quella che sembrava trasparire dalla “Comune” fondata da Dario Fo. Sono stato fortunato, casa mia distava dalla Palazzina Liberty, sede del Teatro della Comune, non
più di 150 metri. Dal giorno dello spettacolo cominciai a frequentarla tutti i pomeriggi. Sono diventato una specie di mascotte della comunità, la scelta, a quel punto, non era più detraibile.
Foto concessa da Luigi FIore
W. All’inizio della carriera essere scelto da Strehler tra mille
candidati che sensazione hai provato?
Dopo essermi diplomato alla “Bottega” di Vittorio Gassmann entrare
nel tempio della cultura europea diretto dal più grande regista del
‘900 significava solo una cosa. Il massimo. L’iperbole. La gioia pura.
Sono stati due anni magnifici in cui ho affinato i miei studi come mai
avrei potuto immaginare di poter fare. Gli anni più belli della mia
vita personale e professionale.
Foto concessa da Luigi Fiore
W. Che cosa è per te il talento?
Il talento è un insieme di imprinting ereditati dalla famiglia, le prima esperienze sociali, intendo proprio la scuola materna, ci includo anche le prima esperienze erotico-sentimentali con la Cinzia quando si giocava al dottore e all’infermiera e ci nascondeva nelle cantine o nei solai del condominio. Tutto questo concorre a formare una tua sensibilità rispetto ai sentimenti. Ma tutto questo non basta. Il talento per il talento non vale niente se non è sottoposto ad una
talenti ho visto smarrirsi per aver immaginato che bastasse solo
quello per riuscire nella professione.
W. Aver ricoperto per cinque anni il ruolo di Luca De Santis nella
soap opera Un posto al sole, cosa ti ha lasciato?
Tanto amaro in bocca. Una famiglia che ha dimenticato i suoi figli
mandati al “fronte” a combattere una guerra che scongiurasse la chiusura del Centro di produzione di Napoli. Una volta vinta la guerra era necessario rinnovare i “soldati”, tanto per rimanere nella
retorica della metafora, diritto sacrosanto, quello che risulta manchevole è la condanna all’oblio, come se tutto quello che hai fatto in 5 anni della tua vita personale e professionale non valesse
nulla.
W. Quale responsabilità ha un attore nei confronti della società?
In questo tipo di società praticamente nullo. In una comunità ideale
dovrebbe essere una figura di riferimento per tutte le nuove generazioni, a partire dalla scuola. Gli attori sono gli unici in grado
di trasmettere il sapere per via pedagogica con un forte elemento
emotivo, l’unico in grado di trascendere lo spirito di uno studente o
studentessa. Ma non lo capiranno mai.
W. Cosa consiglieresti ai giovani che vogliono recitare?
Di diventare ricchi, se ancora non lo sono, trovando altre strade. Poi
potranno dedicarsi anima e corpo ad un lavoro che non esiste e non
è riconosciuto, nelle sue peculiarità da una società malata, profondamente malata, in coma direi.
W. Quale è il tuo sogno del cassetto?
La pace nel mondo ed una morte veloce, istantanea. Tra cento anni.
W. Bene Luigi grazie anche ha nome dei lettori di Detti e Fumetti
per questa bella chiacchierata
[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – sezione teatro articolo del 17 dicembre 2021]
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