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Willy alias Dario Santarsiero intervista il regista Alessandro Pondi Regista per DETTI E FUMETTI

Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti oggi parleremo con lo sceneggiatore e regista Alessandro Pondi.

ALESSANDRO, ritratto di Filippo Novelli

Allora Alessandro, nasci a Ravenna il 20 gennaio 1972. Esordisci nel 1997 con il romanzo Gli angeli non mangiano hamburger. Il libro viene letto da Matilde Bernabei della Lux Vide che ti propone di entrare nella sua squadra di sceneggiatori; inizia così a scrivere per la televisione e il cinema vicino a Luciano Vincenzoni e Tonino Guerra. Dal 99’ scrivi le sceneggiature di: “Questa casa non è un albergo”, “Compagni di scuola”, “Grandi domani”, “Don Matteo”, “Il bambino della domenica”, “L’uomo che cavalcava nel buio”, “Il signore della truffa”, “K2 – La montagna degli italiani”, “Trilussa – Storia d’amore e di poesia”, “L’oro di Scampia”, “I fantasmi di Portopalo” e molti altri. Hai ideato la soap opera “Cuori rubati” la serie televisiva “Il commissario Manara”. Per il cinema firmi pellicole d’autore come “K. Il bandito” di Martin Donovan, “Litium “Cospiracy” di Davide Marengo, che commedie sentimentali come “Poli Opposti”, “Copperman” e “Divorzio a Las Vegas”. Scrivi il noir di Marco Bocci “La caccia”, la horror comedy “Il mostro della cripta” e “Rapiscimi”. Ma anche Cinepanettoni campioni di incassi come: “Natale a Beverly Hills” e” Natale in Sudafrica”, dove sei altamente criticato per il basso livello di comicità, ma vinci due Biglietti d’oro con un incasso complessivo di 40 milioni di euro al botteghino. Nel 2007 esce un tuo racconto Noir “Nessuno di noi” nella raccolta “Omicidi all’italiana” edito da Colorado Noir e distribuito da Mondadori. Nello stesso anno collabori con Paolo Logli, e con lui fondi – insieme a Riccardo Irrera e Mauro Graiani – la factory di scrittura creativa 9 mq storytellers. Nel 2008 vinci il premio per la miglior sceneggiatura al Festival Internazionale di Salerno con il film “Il bambino della domenica”. Nel 2012 il premio per il miglior soggetto e sceneggiatura alla 33 esima edizione “Una vitaper il cinema”, con il film “K2 – La montagna degli italiani” e due premi Moige per “L’oro di Scampia” e i “Fantasmi di Portopalo”. Per il teatro firmi la commedia sentimentale “Unadonna in casa”, e i due musical “Un po’prima della prima” con Pino Insegno e “Il pianeta proibito” con Lorella Cuccarini. Hai collaborato con sceneggiatori importanti come Martin Donovan, Tonino Guerra, Sandro Petraglia, Andrea Purgatori, Alessandro Camon e Luciano Vincenzoni.

D: Poco più che ventenne scrivi Il tuo primo romanzo “Gli angeli non mangiano hamburger” dove un giovane di nome Piero intraprende, in compagnia di un alter ego Pier, un viaggio verso Roma. Chi o cosa ti ha ispirato?

A: Mi stavo affacciando alla scrittura, ero appena arrivato a Roma con una valigia piena di sogni, volevo fare cinema ma mi sembrava un traguardo ancora molto lontano. “Gli angeli non mangiano hamburger” è nato un po’ per gioco, tanto per rompere il ghiaccio e mettermi alla prova nel racconto lungo. Nasce senza troppe aspettative, anche se alla fine è stato il mio biglietto da visita per iniziare con la televisione e il cinema. Matilde Bernabei, di Lux Vide, lesse il mio romanzo e mi chiamò a sceneggiare una serie televisiva giovanilistica dal titolo “Questa casa non è un albergo” e da lì è cominciato tutto.

D: Nel 2017 scrivi, insieme a Giuseppe Fiorello, Paolo Logli, Salvatore Basile, Alessandro Angelini, che firma anche la regia, la mini serie “I Fantasmi di Portopalo.” Ispirato da una storia vera: Il naufragio della F174, del 1996. Cosa ti ha lasciato?

A: Mi ha lasciato sentimenti forti come la rabbia, ma anche tanta umanità e amore per il prossimo. È un film scomodo, un film inchiesta che racconta la tragedia di un naufragio di clandestini avvenuto nel Natale del ’96, davanti alle coste siciliane, nella totale indifferenza della gente. È avvenuto durante un giorno di festa, che rende ancor più triste e dolorosa la tragedia. È una storia di disperazione, di omertà, ma anche di speranza. Prima di scrivere la sceneggiatura, io, Logli e Fiorello siamo stati in Sicilia, a Portopalo, a intervistare le persone che hanno vissuto la tragedia. È stato un lavoro complesso ed emotivo. Abbiamo trovato resistenze, molti volevano dimenticare quella storia, non volevano che la raccontassimo. Credo che avessero paura di come l’avremmo narrata, perché lì c’erano state colpe gravi da parte di molti, abitanti e istituzioni. Ci siamo sentiti addosso un profondo senso di responsabilità, ma alla fine siamo riusciti a trovare una chiave di racconto empatica e il film ha emozionato milioni di italiani e sensibilizzato le istituzioni. Abbiamo acceso un piccolo faro, siamo stati invitati alla Camera dei Deputati per ricordare la tragedia e il film ha ottenuto il premio più importante, quello del pubblico, il Moige.     

D: Quando consegni una sceneggiatura metti in conto che ci saranno dei tagli?

A: Una buona sceneggiatura non dovrebbe avere scene superflue, o fronzoli, tutte dovrebbero susseguirsi in un crescendo cinematografico di emozioni e informazioni dentro uno schema drammaturgico di tre atti. Quindi sì, lo metto in conto, ma per evitare che succeda e sperare che il film venga girato esattamente come l’hai immaginato quando l’hai scritto. Ma poi c’è il montaggio, e può succedere che ti accorgi che l’attore è stato meno incisivo di quanto ti aspettassi o che una scena è venuta un po’ troppo lunga e allora, se serve al film, meglio tagliare.

D: Sempre nel 2017 esordisci nella regia con il film “Chi mi ha visto?” con Pierfrancesco Favino e Giuseppe Fiorello; perché la scelta di fare il regista?

A: La regia cinematografica è sempre stata la mia aspirazione, sin da subito, da quando sono arrivato a Roma. Ma chi avrebbe scritto un film ad un ragazzetto di vent’anni appassionato di cinema? Nessuno. Sapevo che avrei dovuto pensarci io, e così ho iniziato a scrivere. E dopo averne scritti una ventina per altri registi, alla fine ho diretto “Chi m’ha visto”. Ed è stato liberatorio e avvincente. Liberatorio perché finalmente ero riuscito a realizzare il mio desiderio, avvincente perché non c’è cosa più bella che lavorare sul set con gli attori e coordinare un gruppo di artisti, un po’ come fa un direttore d’orchestra.

D: Secondo te, cosa dà più risalto, la sceneggiatura o la regia?

A: La storia è alla base di tutto. Se non hai una bella storia per le mani puoi avere anche il più bravo regista del mondo, ma il film non sarà mai un gran film. Diversamente, con una storia vincente puoi anche permetterti di sbagliare il regista.

D: Hai diretto Enrico Brignano in due film: “Tutta un’altra vita” 2019 e “Una commedia pericolosa” 2023. Come è stato lavorare con lui?

A: Divertente e faticoso. Enrico è un grande professionista, dotato di un talento straordinario, con i tempi sia della commedia che del dramma. È un artista completo e generoso, ma allo stesso tempo è una super star, quindi molto impegnato e alla fine rimane sempre poco tempo per provare. Sia Tutta un’altra vita che Una commedia pericolosa li abbiamo girati in poche settimane, un po’ per alleggerire i costi di produzione, ma soprattutto perché li abbiamo girati nella finestra di uno spettacolo e l’altro di Enrico.  

D: Come sai, nel mondo del cinema o del teatro è più difficile far ridere che far piangere; sulla base di ciò, hai mai pensato di scrivere un dramma?

A: Ho scritto diversi film drammatici. “L’oro di Scampia”, “Mio papà”, “I fantasmi di Portopalo”, ho scritto film anche molto duri come “La caccia” di Marco Bocci, però non ho ancora affrontato un film drammatico da regista. Ed è una cosa che non mi sento di escludere nel mio futuro.

D: Il tuo sogno nel cassetto?

A: Sono molto scaramantico e i sogni nel cassetto ci sono, ma li lascio chiusi nel cassetto finché non si realizzeranno e allora vi dirò: questo era il mio sogno.

D: Grazie caro Alessandro anche a nome delle Lettrici e Lettori di detti e Fumetti per questa piacevole chiacchierata

A: Grazie a te e un caro abbraccio a tutti i lettori di Detti e Fumetti.

Alla prossima.

[DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI- SEZIONE CINEMA- ARTICOLO DEL 2 MAGGIO 2025]

INTERVISTA A GIORGIA LATTANZI SUL MONDO DEL MOSAICO

Cari Lettrici e Lettori di Detti e fumetti, oggi intervisteremo Giorgia Lattanzi, Mosaicista.

Giorgia mi è stata presentata da amici comuni, quando ho scoperto che esprimeva la sua arte con il mosaico, ne ho subito approfittato per intervistarla.

Giorgia di Filippo Novelli
Ph Silvia Saccucci

Allora Giorgia, Sei nata a Roma nel 1983, vivi a Palombara Sabina e lavori tra Roma e provincia. Ti sei diplomata prima al Liceo Artistico sperimentale indirizzo beni Culturali poi presso la Scuola Mosaicisti del Friuli nel 2006. Nel 2008 collabori nella realizzazione dei mosaici nella Metropolitana di Napoli per la stazione di Toledo sui disegni dell’artista sudafricano W.Kantridge. Nel 2014 vinci il Bando Nazionale per il restauro dei mosaici del periodo Modernista a Barcellona ( casa Batllo, Parc Guell) e frequenti un corso breve di restauro .  Realizzi i tuoi mosaici in una grande villa nelle Isole Baleari, Spagna.

Dal 2013 partecipi alla mostra di Nazzano Romano dove i mosaicisti contemporanei provenienti da tutto il mondo si incontrano e realizzano oltre alla mostra dei mosaici parietali visibili presso Nazzano.

Nel 2007 realizzi con gli allievi della classe V elementare della scuola Ghandi di San Basilio, quartiere alla periferia est di Roma, un mosaico applicato all’esterno dell’edificio scolastico.

Nel 2019 vince il bando per la realizzazione di un mosaico istallato nel parco dei Mosaici di Blevio in provincia di Como.

 Insegni Mosaico mediante corsi e workshop.  Lavori come mosaicista nella progettazione e realizzazione di mosaici contemporanei Attualmente sei studente presso l’Accademia di Belle Arti di Roma indirizzo di Pittura
In primavera aprirai un  corso di mosaico a Poggio Mirteto.

 

D: A che età hai scoperto il mosaico?

G:A 13 anni visitavo uno studio di Pesaro per il quale mio padre faceva da rappresentante. Li ho visto per la prima volta delle ragazze che eseguivano dei mosaici.

Ph Silvia Saccucci

D:Perché il mosaico è visto come un’arte minore?

G: A mio parere il mosaico è legato a doppio taglio con l’arte antica. Dove le arti maggiori erano La Pittura, la Scultura e l’Architettura. In tal senso il mosaico è un’arte applicata in quanto non vive di vita propria ma necessita un supporto di natura architettonica per l ‘applicazione, pittorico per la fase progettuale e per la scultura quando si riveste una forma predefinita.

Ph Silvia Saccucci

D: Che senso ha il mosaico nella società odierna?

G: L’arte segue il potere e se prima gli imperatori ad esempio del periodo ravennate utilizzavano il mosaico per rafforzare ed imporre il proprio potere appunto, ora nella società contemporanea è forse la grafica e la fotografia a ricoprire questo ruolo. Il mosaico ha tutt’ora, per lo meno in Italia, un identità  legata all’ arte antica e non ha conquistato l’interesse delle masse, non ha ancora avuto il suo Andy Warhol che con la PoP Art ha accorciato le distanze tra la classe colta e quella popolare.

D: In primavera aprirai un corso di Mosaico a Poggio Mirteto ce ne vuoi parlare?

G:Si, sarà un corso promosso dalla regione Lazio presso l’Associazione B-Art, dove ragazzi volenterosi esperti di teatro e di musica sostengono e promuovono l’Arte nelle sue varie sfaccettature tra cui il mosaico. Sarà un corso di base e chi vuole può avvicinarsi a questa tecnica dove non sono richieste esperienze o capacità particolari. E’ più un occasione per stare insieme e imparare divertendosi !

D: Che sensazioni hai quando termini  un mosaico?

G: Una liberazione, mi sembra come di aver messo al sicuro un tesoro, tiro un sospiro di sollievo ecco. Dopo tante ore di lavoro dove l’attenzione è molto alta vedere fissate tutte queste tessere con una buona dose di colla cementizia mi tranquillizza mi dà stabilità.

D: Il mosaico per la sua natura narrativa,  può essere paragonato ad una pratica zen?

G: Penso proprio di si perché mentre si realizza un mosaico tutto intorno si silenzia e ci si immerge in un’atmosfera nuova dove il ritmo è scandito dalle tessere. Tagliarle, prenderle ed una la volta sovrapporle al disegno. Gesti ripetuti ma non con  meccanicità. Tutto scorre tra le nostre mani che sono collegate al ritmo del nostro cuore e questo si sperimenta davvero quando si realizza il mosaico.

D: Distruggeresti un tuo mosaico come si fa con i mandala?

G: Non con l’intento preciso di farlo anche se poi  mi è capitato di vedere  lo sgretolarsi di un mosaico per aver sbagliato la combinazione delle colle utilizzate, o di dover smontare un lavoro per aver invertito l’orientamento del disegno. Quando si fanno delle prove rapide in fase di studio si assemblano le tessere e poi si riprendono. E’ una pratica simile al Mandala ma si fa con una  differente  devozione …

D: Qual è il tuo sogno nel cassetto?

G: Dirigere una scuola d’Arte dove si insegna la tecnica del mosaico ai ragazzi. Praticando il buonumore e la gioia e creare insieme delle opere bellissime piene di colore, e perché no cancellare anche le guerre incollandoci un bel mosaico enorme sopra così da  farle sparire.

D: Bene cara , grazie anche a nome delle Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti per aver aperto una finastra nel mondo del mosaico.

[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI – SEZIONE ARTE- ARTICOLO DEL 2 APRILE 2025]

 

 

Dario Santarsiero intervista Pietro Romano

Amici di DETTI E FUMETTI oggi abbiamo intervistato l’attore Pietro Romano.

Pietro Romano , ritratto di Filippo Novelli

Allora Pietro faccio una tua breve presentazione per i nostri amici: Nasci a Roma nel 1974 da una famiglia di artisti: tua madre è stata una cantante lirica ed insegnante di educazione musicale; tuo padre, capogruppo e attore. A sedici anni frequenti l’Accademia d’Arte Drammatica Pietro Scharoff. Nel 1997, entri a far parte della “Compagnia stabile del teatro dialettale romano Checco Durante” diretta da Alfiero Alfieri, nella quale resterai fino al 2005.

Pietro Romano Ph Giorgio Amendola

Dal 2000 pur continuando a prestare la tua opera per il teatro popolare, inizi una collaborazione con il teatro Sistina di Roma. Oltre ai molteplici ruoli che hanno segnato il tuo esordio nella televisione, altro importante capitolo è, sicuramente, l’approdo al mondo pubblicitario dove, dal 2000, presti, volto e voce per le più grandi aziende nazionali ed internazionali.

Pietro Romano in UN ROMANO A ROMA Ph Marco De Gregori


W. Qual è il ruolo dell’attore in questo periodo scosso prima dalla pandemia ed ora dalla guerra?
P. Al di là delle difficoltà del periodo che hanno oggettivamente colpito il nostro settore più di altri, sicuramente chi, come me, porta in scena la comicità, ha sentito, forse come non mai, quasi la responsabilità di far sorridere: una sorta di dovere morale di offrire leggerezza, di riportare, proprio con questo scopo, il Pubblico a teatro. Quanto agli altri
generi artistici, senza dubbio cultura e bellezza offrono la possibilità di distogliere l’attenzione dal momento storico, per rinfrancare lo spirito… credo ce ne sia realmente bisogno!
A tal proposito, sulle mie pagine social, ho proposto, a chi ha la bontà di seguire i miei percorsi professionali, dei brevissimi video o reels, che dir si voglia, sia per contrastare volgarità e violenza che si tende a divulgare sul web e sia per rendere il teatro tascabile. Allontanandomi, dunque, dalle varie tendenze, ho – dicono “coraggiosamente” – scelto di
presentare la poesia del grande Trilussa (scrittore e giornalista vissuto tra fine ‘800 e metà ‘900 noto soprattutto per le sue composizioni in dialetto romanesco) in una nuova veste, mai vista fino ad ora, utilizzando i potenti mezzi tecnici che la modernità dei tempi in cui
viviamo ci mette a diposizione. Troverete, tra l’altro un’affinità col mondo dei fumetti.

Pietro Romano Ph Giampiero Rinaldi

Qualora ne aveste la curiosità vi consiglio di fare due passi sui miei profili:
YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=CWYDjNeYdG0&list=PLs892F6tcJQHRjBnPR2fphBRzwaaUkghm
Facebook: https://www.facebook.com/watch/248143165226509/2609524699180302/
TikTok: https://vm.tiktok.com/ZMLyc3fMp/

Pietro Romano in IL SOLITO IGNOTO Ph Roberto Passeri

W. che cos’ è per te l’applauso?
P. È il rinnovarsi di un’alleanza che si suggella ogni sera, ad ogni replica, battuta dopo battuta, scena dopo scena. È come sentire l’abbraccio del Pubblico per dire “hai vinto pure stavolta e noi siamo con te!”: la magia, insomma, di un legame profondo, fatto di aspettative e di promesse mantenute…


W. Dal punto di vista professionale, cosa ti insegna un fallimento?
P. L’intelligenza dell’autoanalisi, sempre necessaria, com’è necessaria l’umiltà di riconoscere che c’è sempre qualcosa da imparare: non c’è niente di più grave e rischioso, nel mio mestiere, ma – credo – in tutti, del sentirsi arrivati al traguardo, del perdere la capacità di sorprendere e di sorprendersi…


W. Come sei approdato alla pubblicità?
P. Pare che un volto naturalmente espressivo e un “pizzico” di talento abbiano una notevole valenza commerciale… sarà per questo! Al di là di una simpatica risposta, sentivo la necessità di allargare gli orizzonti, sperimentare linguaggi diversi, mettermi alla prova condensando in pochi secondi un messaggio che in teatro si dilata nello spazio della sala e nel tempo del racconto. Sono passati 22 anni dal mio primo spot e sono oltre 50 i filmati realizzati fino ad oggi con le più note Aziende sia nazionali che internazionali tanto da ricevere, nel 2021, il prestigioso premio “Facce da Spot” presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio. Per me è stato come vincere l’Oscar!

Pietro Romano SONO ROMANO E SI SENTE Ph Roberto Passeri


W. Dal 19 al 29 maggio 2022 al Teatro Anfitrione è andata in scena la commedia “Il solito ignoto”, ce ne vuoi parlare?
P. Il mio ultimo lavoro, che interpreto e di cui firmo testo e regia: si tratta di una commedia nel rispetto della tradizione stilistica della Commedia dell’Arte, alla quale spesso mi ispiro che si snoda persino giocando con contenuti che suscitino nel Pubblico sentimenti e sensazioni vagamente d’altri tempi, tuttavia affatto démodé. La storia si intreccia nell’evoluzione dell’equivoco amoroso, in una coppia d’evidente agiatezza sociale ed economica, ma stanca della solita routine.

Pietro Romano Spot AMAZON ALEXA 2021

Il piattume di una cadenza ritmica ormai insopportabile viene, però, scosso da un arrivo sorprendente… L’avvicendamento di fatti, caratteri e letture spesso introspettive, lasciano che lo spettacolo scorra godibile e senza tempo. La romanità rimane l’energia di un lessico immortale, che conferma la scelta letteraria e culturale del Teatro Dialettale, senza cedere il passo al compromesso del neologismo, che indebolirebbe, a mio avviso, lo spessore popolare e ne sbiadirebbe le tinte. Il resto è da vedere in teatro, consentimi, anche per la forza dei miei straordinari attori: Serena D’Ercole, Gianfranco Teodoro e Marta Forcellati. Le musiche sono di Simone Zucca…

Pietro Romano – Spot Facile.it 2021


W. Quando ti vedremo di nuovo a teatro?
P. Fosse per me, stasera! Battute a parte, potrebbero esserci belle sorprese in via di definizione. Chi vorrà, potrà trovare tutti gli aggiornamenti riguardanti gli eventi dal vivo anche dal sito. http://www.pietroromano.it.


W. Il tuo sogno nel cassetto?
P. In realtà, ne avrei moltissimi… quello che, forse, “scalpita” di più e fin da bambino, è senza dubbio il desiderio di interpretare “Rugantino” (l’unico, quello “vero” di Garinei e Giovannini) al Sistina, magari con relativa tournée, o Don Silvestro in “Aggiungi un posto a tavola”, sempre a firma della gloriosa “premiata ditta”… Al cinema, invece, mi piacerebbe
affiancare lo straordinario Giancarlo Giannini, o la Signora Loren, splendida ed indiscussa regina della nostra storia artistica, meravigliosa icona del cinema italiano; naturalmente, lavorerei volentieri con Sergio Castellitto, di sicuro tra i più grandi del momento, e ancora, aggiungerei la regia di Sorrentino; e tra sogni e cassetti c’è sicuramente Roberto Benigni, al quale, peraltro, si dice che somigli… e visto che si sogna gratis, potrei andare avanti per ore…


W. Bene, grazie Pietro per questa bella chiacchierata, anche a nome dei lettori di Detti e Fumetti.


P. Grazie a Voi per avermi ospitato tra le pagine di Detti e Fumetti e, per restare in tema, come dice uno dei tanti detti: “A buon rendere”!

[Dario Santarsiero per DETTI E FUMETTI – Sezione Cinema e Teatro – articolo del 20 settembre 2022]

SANDCASTLE – IL CONCERTO DEI MARDI GRAS – 26.02.25 – AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA DI ROMA

Cari lettori di DETTI E FUMETTI il 26 febbraio 2025 alle ore 21  all’Auditorium Parco della Musica -teatro Studio Borgna per la presentazione del disco SANDCASTLE

Orgogliosi di aver partecipato alla realizzazione di questo progetto mediante la   produzione dell’omonimo fumetto il graphic Novel SANDCASTLE

Scritto da Fabrizio Fontanelli, Dario Santarsiero e Filippo Novelli e disegnato da Filippo Novelli

Alcuni disegni del fumetto compaiono nella Intro di The Dance of the Sand che potete vedere al seguente link

Video di The Dance of the sand

Articolo CORRIERE DELLA SERACorriere della sera SANDCASTLE

[ Dario Santarsiero e Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI sezione Musica- articolo del 18 febbraio 2025]

WILLY INTERVISTA SILVIA CASINI coautrice di “La ragazza che amava Miyazaki”

Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti, oggi sono in compagnia di Silvia Casini;

Silvia -E-Bic – di Filippo Novelli

scopriamo insieme la sua biografia: dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere, hai ricoperto il ruolo di project manager presso l’Istituto Internazionale per il Cinema e l’Audiovisivo dei Paesi Latini di Gillo Pontecorvo e Sandro Silvestri. Ti sei occupata di relazioni internazionali e della promozione dei film italiani all’estero. In seguito, ti sei specializzata in marketing strategico e hai iniziato a collaborare con diverse case di produzione e distribuzione cine-tv nel settore del product placement. Negli anni, hai collaborato con diversi siti web e testate giornalistiche. Attualmente gestisci Upside Down Magazine, sei consulente esterna della Hop Film, ghostwriter per l’agenzia Comon e scrivi le riviste Anime Dossier, Anime Enciclopedia e Confidenze. Hai curato la sezione cinematografica della mostra Itadakimasu – Piccole Storie Nascoste nella Cucina degli Anime (Palazzo della Meridiana, dal 12 ottobre 2023 al 28 gennaio 2024). A Roma sei responsabile della programmazione culturale dei Japan Days del Mercatino Giapponese. Nel 2024 con Raffaella Fenoglio e Francesco Pasqua, avete scritto “La ragazza che amava Miyazaki”. Mentre Giulia Tomai ne ha illustrato le pagine.

D. Com’ è nata la passione per Hayao Miyazaki?

S. Tanto tempo fa mi sono innamorata di Miyazaki. È stata una vera epifania.

Principessa Mononoke e La città incantata mi hanno catturato nel profondo, e da lì tutto il resto della sua straordinaria filmografia. Condivido con Miyazaki la stessa passione per lo stupore, per l’eccezionale che si manifesta nel quotidiano, per le parole che toccano il cuore e per i sentimenti che possono spaventare e travolgere.

D. Qual è il punto focale del lavoro del regista Miyazaki?

S. Hayao Miyazaki è noto per il suo approccio unico nel mescolare elementi fantastici con temi universali, dando vita a narrazioni che non solo intrattengono, ma invitano anche ad una riflessione critica sul mondo contemporaneo. Una delle sue caratteristiche più distintive è l’abilità di costruire mondi immaginari ricchi di fascino.

Film come Il mio vicino Totoro e Ponyo sulla scogliera trasportano gli spettatori in universi dove la natura e la magia si intrecciano in una perfetta simbiosi. Tuttavia, dietro questa bellezza visiva si nasconde un messaggio profondo sulla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Infatti, Miyazaki mette spesso e volentieri in luce l’importanza della preservazione di Madre Natura, un tema sempre più urgente nel contesto odierno. Inoltre, i personaggi di Miyazaki sono perlopiù giovani in cerca del loro vero sé. Attraverso le loro peculiarità intrinseche, vengono esplorate questioni come l’identità, l’autorealizzazione e le relazioni interpersonali. Un altro aspetto fondamentale è sicuramente l’inserimento di elementi folkloristici e culturali. Le sue opere sono intrise di riferimenti a piatti tipici, a miti, a leggende e a tradizioni storiche, contribuendo a creare un senso di forte autenticità. In questo modo, Miyazaki riesce a evocare emozioni profonde attraverso sequenze visivamente straordinarie, creando un’esperienza cinematografica indimenticabile. Motivo per cui la sua arte diventa un mezzo per sviscerare le complesse sfumature dell’esistenza umana. Infatti, i suoi lungometraggi non solo rivelano un’eccellente maestria artistica, ma anche un forte impegno verso questioni sociali ed ecologiche di indubbia importanza.

D. Con la Città Incantata Miyazaki vuole inviarci dei messaggi positivi, sei d’accordo?

S. Uno degli aspetti più significativi del film è il viaggio di crescita della protagonista Chihiro. Attraverso le sue avventure in un mondo magico e misterioso, ci si confronta con tematiche universali come l’identità, la responsabilità e la determinazione.

La trasformazione di Chihiro, da ragazzina capricciosa a umana coraggiosa, simboleggia il potere della scoperta interiore. Lungo il suo arduo cammino, apprende che l’amore e il supporto sono essenziali per affrontare le sfide della vita, e che anche nei momenti difficili è possibile trovare forza per andare avanti. La dimensione ecologica del film è altrettanto importante. Miyazaki ci invita a riflettere sull’interazione tra gli esseri umani e l’ambiente naturale. La città incantata è popolata da creature straordinarie e meraviglie naturali, ma è anche un luogo minacciato dall’avidità e dalla disconnessione degli esseri umani. La figura del dio putrido, bistrattato e inquinato, rappresenta le conseguenze scellerate delle azioni umane. Inoltre, negligenza e avidità si trovano in apertura con la trasformazione dei genitori di Chihiro in maiali, ma qui potrei soffermarmi per ore e non voglio tediare nessuno. Un altro punto focale del film è il tema della memoria. Molti personaggi, come Haku, non ricordano esperienze passate o addirittura il proprio nome, perché la strega Yubaba rappresenta lo schiavismo per eccellenza. Sottrae sempre parzialmente il nome dei malcapitati che finiscono nella città degli spiriti, motivo per cui a un certo punto non hanno più coscienza della loro identità. E anche su questo aspetto potrei dilungarmi per ore, ma faccio la brava e chiudo sottolineando il fatto che Miyazaki è bravissimo a mettere in evidenza l’importanza di onorare le proprie origini e il proprio passato, perché solo attraverso i ricordi, possiamo costruire un futuro migliore.

D. Aver scritto insieme a Raffaella Fenoglio e Francesco Pasqua “La ragazza che amava Miyazaki” cosa ti ha lascito?

S. Il libro è nato da un’idea di Francesco Pasqua e, dopo un brainstorming con me, ci siamo subito messi in contatto con Raffaella Fenoglio. Da quel momento, abbiamo iniziato a lavorare sulla sinossi. Raffaella e io abbiamo poi redatto la prima stesura del testo. Dopo un primo giro di bozze, il manoscritto è finito nelle mani di Francesco, che, in qualità di story editor, ha riorganizzato interi blocchi. Infine, è tornato nelle mie mani e in quelle di Raffaella per l’editing finale. Dopodiché, è magicamente uscito per Einaudi Ragazzi.

È stata un’avventura che abbiamo amato molto. E senza ombra di dubbio, è stata straordinaria. Francesco ha conosciuto una ragazzina che viveva in una mansarda, proprio come Kiki. Da quel momento, l’idea del libro ha preso forma nelle nostre menti. Infatti, La ragazza che amava Miyazaki è un libro perfetto per chiunque abbia voglia di sognare.

D. Quanto il personaggio di Sofia ti rappresenta?

S. La ragazza che ama(va) Miyazaki sono io, che cerco la vibrante energia umana in ogni sguardo, in ogni gesto, in ogni cuore spezzato.

Io che amo a dismisura il Giappone, tant’è che a Roma sono la responsabile culturale dei Japan Days, una manifestazione di J-culture molto seguita. E in caso qualcuno sia interessato agli anime, ai manga e più in generale all’universo culturale del Sol Levante, vi dico subito che l’inaugurazione dell’edizione primaverile è prevista per il 15 e il 16 marzo. Si terrà presso l’Ippodromo di Capannelle e sì… l’entrata è gratuita. Inoltre, condivido con Sofia anche l’amore per i manga. Sofia vuole diventare una mangaka, io invece sono una manga editor per una casa editrice. Quindi, ci accomuna la passione per questo bellissimo linguaggio espressivo.

D. Puoi anticiparci qualcosa sul tuo nuovo lavoro letterario?

S. Al momento, sono in fase di stesura e purtroppo non posso dire nulla per motivi di riservatezza. La policy degli scrittori rappresentati da agenzie letterarie è molto “rigida” in questo senso.

D. Bene cara Silvia, grazie anche a nome delle Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti per la bella chiacchierata.

S. Grazie a voi per l’intervista!

[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI – sezione Letteratura -articolo del 11 febbraio 2025]

A STAR BENE SI IMPARA. DARIO SANTARSIERO intervista l’autrice, la sociologa Chiara Narracci per DETTI E FUMETTI

A star bene si impara!

“In un mondo che viaggia fin troppo velocemente si dimentica spesso di prendersi in considerazione in prima persona e nel presente.”

Ritratto di Chiara di Filippo Novelli

Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti vorrei presentarvi Chiara Narracci, sociologa; con lei parleremo del suo libro “A star bene si impara!” Edizioni G.A.Z.. Prima però, due righe di presentazione. Nata a Roma l’08/04/76, ti sei laureata in Sociologia a La Sapienza, hai due master in Consulenza e in Mediazione Familiare, collabori con: il consultorio Centro la Famiglia al Vicariato da 20 anni e con diversi avvocati matrimonialisti. Sei responsabile di diversi sportelli d’ascolto nelle scuole. Docente di Sociologia della famiglia nelle varie sedi italiane della Sicof [Scuola Italiana Consulenti della Coppia e della Famiglia].

Autrice dei seguenti libri: la grande abbuffata, pubblicato con la Regione Sicilia; le favole di Pietro, edizioni progetto cultura; le favole di Bruno, edizioni progetto cultura; le favole di Elena, edizioni progetto cultura.

Il libro di Chiara Narracci “A star bene si impara!” suggerisce come gestire le nostre emozioni e tentare di risolvere al meglio le proprie insicurezze e paure in tutti i campi della nostra vita, che minano il nostro equilibrio sia psichico che fisico. Nella seconda parte del libro, Chiara indica, tramite le favole, dedicate ai propri figli, come i miti e le leggende, ci aiutano ad accogliere e normalizzare le resistenze e le credenze cognitive.

D. Allora Chiara, come mai hai sentito l’esigenza di scrivere “A star bene si impara!”?

C. Per sfatare diversi pregiudizi che ci bloccano nella crescita personale, portandoci a vivere trascinando i piedi…

troppe volte sento affermazioni tipo: le persone non cambiano, al massimo peggiorano! O anche: sono fatto così! 

Di qui l’idea della copertina, dove la pecora Rosa è colei che ha imparato a conoscersi e a volersi bene pertanto sceglie consapevolmente come gestirsi nelle varie situazioni.

D. Perché Conoscere la propria storia di vita e le relative dinamiche relazionali è fondamentale?

C. Ognuno di noi costruisce la propria peculiare storia di vita, in base a come viene più spesso definito dalle figure di riferimento… conoscere come ci siamo strutturati; comprendere come funzioniamo nelle dinamiche interne e relazionali; perdonare le mancanze ricevute ed imparare a compensare da soli

È la strada per la libertà di scegliere quali condizionamenti ricevuti fare propri, perché buoni per noi e quali lasciare andare.

È l’ignorare che ci porta a subire noi stessi e a farci sentire vittime degli altri e degli eventi… possiamo però imparare a gestire il nostro mondo emotivo.

D. Nella tua lunga esperienza come consulente e mediatore familiare, affermi che ciò che ci destabilizza ad ogni età è il mondo emotivo; ce ne vuoi parlare?

C. Grazie all’analisi transazionale di Berne compresi che il mondo emotivo è fermo all’infanzia e che l’imprinting emotivo ha effetti anche sui comportamenti associati alle varie emozioni che adottiamo nel presente. 

Esser consapevoli che gli eventi di oggi sono tanto destabilizzanti perché a percepire la realtà è il bambino che eravamo e non l’adulto che siamo diventati aiuta a ricentrarsi velocemente. Come? Leggi il libro! [Sorride N.D.S.]

D. Quanto la comunicazione influisce sul nostro vissuto?

C. Moltissimo perché le parole deformano, definiscono e limitano la percezione della realtà esterna e interna, se un bambino viene spesso definito pigro si convincerà di esserlo e metterà in scena atteggiamenti in linea con questa etichetta pur di sentirsi considerato. 

Pertanto, conoscere le proprie etichette, comprenderne il peso avuto e scegliere di non metterle in scena è liberatorio.  

D. Nel libro indichi quali sono le regole di base della comunicazione e quali sono gli errori da evitare; ce ne puoi anticipare qualcuno?

C. Penso agli out-out! A tutte le volte che esasperati dall’atteggiamento disturbante di qualcuno gli intimiamo di cambiare pena il perderci… non funzionano! Nella migliore delle ipotesi producono un cambiamento momentaneo dettato dalla paura non dall’amore.

Sono convinta che l’unica leva che funzioni sia l’amore: il mettere in evidenza ciò che amiamo dell’altro, ci aiuta ad esempio ad avere maggior tolleranza verso ciò che ci piace di meno, portandoci ad ingentilire le etichette: un conto è dire ad un figlio, spesso e volentieri, che è un bugiardo, un conto è rimandargli che ha molta fantasia!

D. perché le favole hanno un significato socio pedagogico?

C. Le favole come i miti e le leggende si rivolgono direttamente al mondo emotivo, che come ho accennato e’ fermo all’infanzia pertanto ci livellano tutti ad un comune sentire bypassando le resistenze cognitive e culturali.

Con le favole si esplora il mondo emotivo e lo si normalizza consentendoci di accettarlo come parte di noi e della nostra storia.

Solitamente da adulti quando siamo in preda a forti emozioni ci giudichiamo come inadeguati portandoci a sentirci ancor più destabilizzati, la chiave invece è nel guardare al bambino che eravamo con tenerezza e tranquillizzarlo… per poi godere delle nostre risorse da adulti per gestirci al meglio nel presente.

D. Bene. Cara Chiara, sicuramente hai stimolato i nostri lettori a leggere il tuo libro “A star bene si impara!” G.A.Z. edizioni. Ed approfondire così il tema dell’emotività interiore.

C. Un saluto a te e alle lettrici e lettori di Detti e Fumetti

[WILLY ALIAS DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI- SEZIONE LETTERATURA- ARTICOLO DEL 4 SETTEMBRE 2024]

L’ispirazione

Ricetta per una commedia -L’editoriale di DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI

Prima o poi c’è sempre qualcuno che mi chiede “Ma dove trovi l’ispirazione per scrivere le tue commedie o i monologhi interiori?” In pratica, “Ma come te vengono in mente!?” Non è facile rispondere a questa domanda, non basta dire mi sono ispirato guardando fuori dalla finestra o camminando per strada. Sarebbe troppo riduttivo.

Illustrazione di Filippo Novelli

Credo che sia un miscuglio di vari fattori: innanzitutto, saper osservare cosa succede attorno a noi, è una buona fonte di ispirazione; poi, aver letto testi teatrali e andare spesso a teatro. Questo particolare mi ricorda che, quando ero poco più che ventenne, nel mio girovagare per i teatri, conobbi “Er Sor Giulio”, un simpatico vecchietto che cercava gente per fare la claque nei teatri di Roma [Per i neofiti: fare la claque [si legge: clack] significa applaudire e gridare bravo! E bravi! Durante lo spettacolo. Ma non bisognava esagerare però, altrimenti si scadeva nel ridicolo]. Ovviamente ho accettato e per molto tempo, assieme ad un eterogeneo gruppo di persone, ho presieduto alle prime nei grandi teatri o dove e quando c’era bisogno della squadra. Ma torniamo all’argomento principale, cioè, come si fa a scrivere una commedia, oltre a quello che ho detto prima, entra in giuoco l’immaginazione che aiuta molto nel buttare giù il corpo centrale dell’idea. 

Un altro fattore molto importante è lasciare piena libertà ai personaggi. E sì, non è possibile ignorare i protagonisti di una commedia o di un dramma o di una tragedia, non si va da nessuna parte. I personaggi sono si frutto dell’immaginazione, ma appena escono dalla mente prendono una forma seppur immaginaria, divengono sensienti e acquistano sia personalità che temperamento. Un esempio tra tutti è che, se un personaggio non ha intenzione di muoversi o esprimere un’opinione, non lo farà e se costretto, lo farà mal volentieri, inficiando il resto della scena. Bisogna scendere a patti con il personaggio, cercando di capirne la personalità e convincerlo, quando non è del tutto d’accordo a compiere quell’azione. Solo così la commedia potrà continuare.

Da ultimo, ma non per questo meno importante, la pazienza di rileggere tutta la commedia per scovare refusi, aggiungere parole o addirittura paragrafi. Mi fermo qui, altrimenti dovrei scrivere un trattato, e non è detto che prima o poi non lo faccia.

[DARIO SANTARSIERO per DETTI E FUMETTI – Sezione Teatro – articolo del 29 maggio 2024]

OLIVIA, LA SALUTE E LA SICUREZZA RACCONTATA AI RAGAZZI E’ ON LINE

Cari amici di DETTI E FUMETTI ci siamo, da oggi potete avere OLIVIA LA SALUTE E LA SICUREZZA RACCONTATA AI RAGAZZI,

Olivia, la salute e la sicurezza raccontata ai ragazzi è la terza stagione di MARTA, e nasce con l’intento di parlare di queste tematiche alla fascia dei ragazzi più grandi, prossimi ad entrare nel mondo del lavoro.

L’intuizione di coinvolgere un gruppo di esperti di sicurezza nasce dalla consapevolezza che oggigiorno il fumetto è divenuto un veicolo potente per trasferire cultura e nella fattispecie la cultura della sicurezza a tutte le fasce di età.
Trattare temi come la sicurezza stradale, il junk food e altre tematiche di educazione civica con questo medium pensiamo valga per i più piccoli piu’ di mille ramanzine e raccomandazioni. Leggendo Marta o Salvo o ora Olivia, il lettore compirà quel percorso virtuoso che dal conoscere il pericolo, passa per il saper essere coscienzioso, per arrivare quindi a sentire i comportamenti corretti e sicuri come parte del proprio agire quotidiano. Un iter formativo vero e proprio in materia di salute e sicurezza, nel quale l’immedesimazione che avviene nel fumetto e il desiderio di emulare i suoi eroi, tipico della giovane età, completerà il percorso di consapevolezza che tutti auspichiamo.

Ci teniamo a ringraziare IL TEAM DI ESPERTI :Michele Rovida, Ivan Mainardi, Paola Favarano, Stefano Paglino, Elena Magno,Filippo Novelli,Vito Schiavone e Carla Mammone .

Ringraziamo anche chi nelle precedenti stagioni han fatto parte del TEAM MARTA: Alessandro Nanni, Veronica Bonanomi, Maria Grazia Apuzzo, Paolo Zambianchi, Stefano Pancari

TESTI del fumetto di Dario Santarsiero e Filippo Novelli

Disegni: Filippo Novelli

Contiamo di condividere il progetto tramite il terzo settore e i nostri amici sponsor in tutte le scuole di Italia. Se siete interessati a partecipare scrivete a filipponovelli.911i@gmail.com

INFO UTILI

Potete acquistare OLIVIA su AMAZON con un semplice click QUI

[Filippo Novelli per DETTI E FUMETTI – sezione Fumetto – articolo del 29 novembre 2023]

NAO IL ROBOT GUIDA MUSEALE DEL FUTURO. Willy intervista il progettista l’ingegnere Filippo Cantucci

Care Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti, l’intervista che segue è leggermente fuori dai canoni a cui siete abituati. Cosa c’entra l’ingegneria elettronica? C’entra, perché in un prossimo futuro un robot sarà la nostra guida all’interno di una mostra o di un museo. Prima una breve spiegazione, poi Lascero’ la parola a Filippo Cantucci ingegnere elettronico dell’ISTC.

L’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) è un istituto interdisciplinare, con numerose integrazioni fra i laboratori e temi di ricerca.

Gli obiettivi di ricerca di ISTC convergono sull’analisi, la rappresentazione, il ragionamento automatico, la simulazione e l’interpretazione critica dei processi cognitivi e sociali negli umani e nei primati non umani, dal livello fisiologico a quello fenomenologico e computazionale.

L’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione nasce nel 2001, grazie al progressivo cambiamento dell’Istituto di Psicologia, che ne rappresentava il troncone principale cui si aggiunsero l’Istituto di Dialettica e Fonologia operante a Padova e gruppi provenienti da altri Istituti (Istituto di Tecnologie Biomediche di Roma, LADSEB di Padova e Istituto di Elettronica degli stati solidi di Roma).

W. Ingegnere elettronico si nasce o si diventa?

Nel mio caso si diventa. Non ho mai avuto una particolare passione per la tecnologia (tutt’ora cerco di evitarla e fallisco sistematicamente), nonostante  io abbia vissuto la transizione dall’analogico al digitale e il boom di internet. Tuttavia ho sempre subito il fascino dell’ingegneria come disciplina fortemente orientata alla progettazione. Sono un appassionato di Sherlock Holmes e il mio mito è sempre stato il professor Moriarty: un vero e proprio ingegnere del crimine. Ero indeciso tra elettronica e meccanica e alla fine ha vinto la prima, senza un particolare motivo. Ho vissuto la scelta di ingegneria elettronica come una sfida, non come una scelta naturale. Alcuni miei ex compagni di università ce l’avevano proprio nel sangue, io no.

W. Dopo la laurea, quale è stato il tuo percorso?

Dopo avere conseguito la laurea a Bologna, mi sono trasferito a Roma, non per lavoro ma per amore. Fortunatamente, sono riuscito subito ad inserirmi nel mondo della ricerca, e dopo una breve esperienza in un laboratorio di robotica all’università La Sapienza, sono stato assunto presso l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, dove tutt’ora svolgo la mia attività. In ISTC continuo ad occuparmi di robotica, ma la mia attività di ricerca è più orientata alla progettazione e lo sviluppo di modelli computazionali di supporto alla interazione tra umani e sistemi artificiali, come ad esempio i robots. 

W. Come vede il futuro un ingegnere elettronico?

Personalmente vedo un futuro in cui l’intelligenza artificiale avrà un forte impatto nella società, penso che sarà necessario ripensare molte cose alla luce della introduzione di sistemi artificiali sempre più sofisticati e collaborativi. Penso che diventerà naturale interagire con tali sistemi, siano essi robots o sistemi virtuali, ma penso che tutto ciò potrà avvenire in un ambiente che sarà progettato ad-hoc per favorire interazioni sempre più utili ai bisogni dell’uomo. Non penso che l’AI ci ruberà il lavoro, anzi penso che collaborare con i robots diventerà spontaneo come accendere o spegnere la luce.

W. Riusciremo a realizzare il cervello positronico?

Me lo auguro, e mi auguro anche che riusciremo a non fare la fine di Will Smith nel film “Io,Robot”! Realizzare robots super intelligenti, in grado di interagire come gli umani nel mondo, per come ce li ha descritti Asimov è di sicuro il sogno proibito di ogni ingegnere che lavora in questo campo. La realtà poi ci riporta coi piedi per terra e ci mostra come sia estremamente complicato progettare robots, pensando che possano autonomamente anche solo superare i limiti di un ambiente imprevedibile come quello in cui noi siamo immersi quotidianamente. 

W. Parlaci di Nao, il robot che ci guiderà all’interno di un museo

NAO

Nao è un robot umanoide, dalle sembianze di un bambino, alto 58 cm ed è largamente utilizzato in ambito di istruzione e ricerca. Il suo aspetto e le sue capacità interattive lo rendono particolarmente adatto a studi di interazione uomo-robot. Nel nostro caso, stiamo cercando appunto di sviluppare un sistema robotico che sia in grado di ricoprire il ruolo di assistente museale, e che possa sfruttare la propria autonomia decisionale per pianificare la visita ad un museo più adatta ai bisogni di ogni utente che intende usufruire del suo servizio.

NAO dovrebbe comunicare anche con altri sistemi intelligenti inseriti all’interno del museo e coordinarli per soddisfare a pieno i bisogni dei visitatori.

W. Il tuo sogno nel cassetto?

Ovviamente progettare e realizzare il cervello positronico!

W. Bene Filippo aspettando con curiosità l’arrivo di Nao nei nostri musei,ti ringrazio anche a nome delle Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti per questa interessante chiacchierata. 

[Dario Santarsiero per Detti e Fumetti – sezione Scienza e Tecnologia- articolo del 05-08-2023] 

WILLY ALIAS DARIO SANTARSIERO INTERVISTA FERNANDA PINTO PER DETTI E FUMETTI

Cari Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti, oggi intervisterò l’attrice Fernanda Pinto. Buona lettura!

La Fernanda Pinto di Filippo Novelli

Allora Fernanda la protagonista della serie web “Casa Surace”, Casa di produzione sul web con 400 milioni di visualizzazioni, enfatizzando l’eterno campanilismo t, sei nata a Napoli il 22/07/95.Ti sei fatta conoscere dal grande pubblico come ra nord e sud. Il tuo primo debutto è a teatro all’età di 16 anni nel musical “Rent in Neapolitan Language”, regia di Enrico Maria Lamanna, in scena al Festival di Benevento Città Spettacolo e al teatro Trianon di Napoli. Partecipi a diversi Stage con Mimmo Borrelli, a teatro, Francesco Munzi, al cinema e con altri esponenti del Musical Italiano. Ti formi presso il laboratorio teatrale Artefia con il maestro e attore Vincenzo Maria Saggese.Con la sua regia partecipi a diversi spettacoli nei maggiori teatri napoletani e al Festival della Filosofia di Velia. Nel 2013 inizi il tuo percorso di formazione come performer presso il laboratorio di Musical Mind the Gap a Napoli, una tra le prime scuole di Musical in Italia, diretto da Fabrizio Miano. Nel 2015 vinci una borsa di studio nella prestigiosa Accademia MTS MUSICAL THE SCHOOL di Milano, scegli però di restare a Napoli, perché nello stesso anno inizi a lavorare con la Casa di Produzione sul Web. Nel 2017 frequenti per circa un anno il Nuovo Teatro Sanità e lavori come attrice protagonista a diversi spettacoli con la regia di Mario Gelardi.  Successivamente: “Ritorno del Mammasantissima” con la regia di Luciano Saltarelli. Nel 2018 ti sei laureata presso l’Università Suor Orsola Benincasa con indirizzo Comunicazione e attualmente prosegui i tuoi studi presso l’Università Federico II di Napoli. Nel  2023 hai lavorato nella compagnia di Vincenzo Salemme con lo spettacolo scritto diretto e interpretato da Vincenzo Salemme dal titolo “ Napoletano? E famme ‘na pizza!”. Hai preso parte in alcune fiction Rai e Mediaset, come un Posto Al Sole, Rosy Abate 2. E come ospite Vip nel programma Pizza Girls in onda su La5.

W. Perché hai deciso di fare l’attrice?

In realtà non ho mai deciso di fare l’attrice. Direi che piuttosto è successo e basta. Ho iniziato un po’ per gioco a casa, poi a scuola, e poi non ho più smesso di giocare!

W. Che senso ha recitare?

Per me più che avere un senso credo sia una risorsa. Ho la possibilità di dare voce a quello che c’è dentro di me, e soprattutto, spesso a quello che non ho. Mi fa sperimentare e soprattutto mi diverto. Sai che c’è finzione, immaginazione, eppure c’è un tacito patto col pubblico, ci crediamo insieme e diventa tutto vero. Ed è bellissimo!

W.Chi ti tenta di più il teatro il cinema o la televisione? E perché?

Ho sempre lavorato maggiormente a teatro e mi piace davvero tantissimo. Però mi tenta tanto il cinema, e spero presto di farne esperienza!

W.Perché hai rinunciato alla borsa di studio dell’Accademia MTS MUSICAL THE SCHOOL di Milano, per la Casa di Produzione Web?

A malincuore rinunciai alla borsa di studio perché si, iniziavo il mio lavoro con Casa Surace, è stato istintivo, anche se non sapevo bene dove mi avrebbe portata quella scelta. Alla fine direi che è andata bene e oggi nonostante mi dispiaccia per non aver iniziato un percorso a Milano, non me ne pento. Il musical è stata una parte importantissima della mia vita e lo è ancora oggi, quindi mai dire mai!

W. E poi Casa Surace, ce ne vuoi parlare?

Faccio parte di Casa Surace da otto anni ormai. All’epoca avevo solo 19 anni ed ero l’unica donna del gruppo. È stato un fulmine a ciel sereno nella mia vita, in senso positivo ovviamente. Inaspettato. Ho imparato molto grazie a questa esperienza insieme a loro e ho ricordi bellissimi. Oggi andiamo avanti, spero con progetti sempre più grandi!

W. Cimentarti come pizzaiola nel programma Pizza Girls in onda su La5, ti ha aperto nuove prospettive?

L’esperienza a Pizza Girls è stata divertente, per una ragazza del SUD atipica che non sa cucinare, soprattutto. Nuove strade non saprei, ma sono una curiosa nel mio lavoro e cerco sempre di impegnarmi in quello che faccio. Non mi dispiacerebbe condurre un programma!

W.Il tuo sogno nel cassetto?

Mi hanno insegnato a non svelare i sogni, si sciupano e poi non si avverano.. posso dire però che è ancora lì nel cassetto. Incrociamo le dita!

W. Bene Fernanda, grazie anche a nome delle Lettrici e Lettori di Detti e Fumetti per questa interessante chiacchierata!

(DARIO SANTARSIERO PER DETTI E FUMETTI SEZIONE TEATRO – articolo del 2 luglio 2023)